Auto-fallimento da riformare: architettare nuove tutele per imprese attive, ma insolventi

24 Maggio 2012

L'Autore, per valorizzare ancora, nonostante il dissesto, il vincolo economico impresso ai beni aziendali e per consentirne una rapida riallocazione, rappresenta i benefici di una procedura specifica e semplificata di auto-fallimento come strumento idoneo a contemperare due funzioni delle procedure concorsuali: quella del soddisfacimento dei creditori e quella del risanamento della impresa.

L'Autore, per valorizzare ancora, nonostante il dissesto, il vincolo economico impresso ai beni aziendali e per consentirne una rapida riallocazione, rappresenta i benefici di una procedura specifica e semplificata di auto-fallimento come strumento idoneo a contemperare due funzioni delle procedure concorsuali: quella del soddisfacimento dei creditori e quella del risanamento della impresa.

Per la celere emersione delle situazioni di insolvenza e per la rapida definizione delle procedure concorsuali - obiettivi non del tutto conseguiti nonostante le riforme introdotte nella legge fallimentare con i decreti legislativi nn. 5/2006 e 169/2007 - vanno individuati percorsi nuovi ed alternativi, sia de jure condito che de jure condendo, non solo per gli imprenditori che si trovano in uno stato di mera crisi economica, ma anche per quelli che già siano in situazione di conclamata insolvenza; itinerari da conformare in termini di minore costo sia per il debitore che per i creditori e di semplificazione delle procedure.
Sta di fatto che, tanto con la riforma quanto con il correttivo, il legislatore ha scelto di non recepire le proposte delle due Commissioni Trevisanato laddove introducevano istituti al fine di far “coesistere due anime contrapposte: il soddisfacimento dei creditori con la conservazione dell'attività”, attribuendo invece ai soli creditori - tanto in sede di approvazione della proposta di concordato preventivo quanto in sede di valutazione della convenienza dell'affitto dell'impresa e di prosecuzione dell'esercizio provvisorio dell'impresa - ogni valutazione circa “l'assunzione del rischio da conservazione dell'azienda” (S. Pacchi, La riforma del concordato fallimentare: uno sguardo al passato, in Il Concordato fallimentare, a cura di S. Pacchi, Milano, 2008, 4 e 23).
Nel giugno 2003 la prima Commissione Trevisanato (tanto nello schema di maggioranza, quanto in quello della minoranza) aveva proposto l'introduzione, con l'art. 4 della legge delega, di una “Procedura di composizione concordata della crisi” con “conservazione della gestione dell'impresa e del patrimonio in capo al debitore, salvo il potere del tribunale di nominare un commissario in sua sostituzione in caso di necessità”. Parimenti, nell'art. 19 del disegno di legge del maggio 2004 della seconda Commissione Trevisanato si prevedeva la possibilità di una gestione (sempre soggetta a controllo) dell'impresa e del patrimonio in capo al debitore.
In quest'ottica di valorizzazione non tanto del ruolo del debitore, ma del vincolo apposto dall'imprenditore ai beni aziendali per l'esercizio di una concreta attività economica, già vi sono alcuni istituti utilizzabili in situazioni di crisi per giungere ad un risultato economico, che in taluni casi potrebbe essere anche migliore rispetto a quello conseguibile attraverso gli strumenti “preventivi” disciplinati dagli artt. 182-bis e 160 l. fall.. Tuttavia potrebbe essere ancor più utile proporre estensioni dell'area di operatività di altri istituti già presenti o affiancarli con istituti nuovi. Del resto, come si è incisivamente osservato in dottrina, dopo la dichiarazione dell'insolvenza “l'impresa diventa contendibile sul mercato” (L. Panzani, Prefazione a Il Concordato fallimentare, a cura di S. Pacchi, Lavis, 2008), ma, si permetta di aggiungere, solo se sia entrata tempestivamente in procedura e celermente ceduta in blocco, così salvaguardando il suo “valore sistemico” e così evitando la distruzione dei beni immateriali.
Una proposta concreta può riguardare un uso più accorto degli istituti dell'autofallimento, della possibilità per il curatore di farsi coadiuvare dal fallito, all'uopo eventualmente retribuito, previa autorizzazione - ai sensi dell'art. 32, comma 2, - del Comitato dei Creditori, e dell'esercizio provvisorio dell'impresa ex. art. 104 l. fall..
Si potrebbe soprattutto prevedere, per il titolare di una piccola impresa appena sopra soglia, ancora attiva ma in evidente stato di illiquidità, la possibilità di depositare un'istanza di auto-fallimento corredata di un progetto di prosecuzione dell'attività di impresa mediante esercizio provvisorio - fino alla vendita, previa stima, da realizzarsi con procedura competitiva -, anche eventualmente soggetto a successiva integrazione da parte del curatore fallimentare con la collaborazione attiva dell'imprenditore fallito.
Fin qui si tratta di un percorso tutto sommato concretizzabile già con gli attuali strumenti, ma che certamente risulterebbe ottimizzato nel caso in cui fosse estesa l'area di operatività dell'esenzione da responsabilità penale in modo rapportabile alla previsione dell'art. 217-bis l. fall.. Infatti, tenuto conto dell'attuale area di effettività del precetto contenuto nell'art. 217 l. fall. e del risultato che si potrebbe invece conseguire attraverso una più immediata emersione dell'insolvenza, potrebbe risultare utile introdurre un secondo comma dell'art. 217-bis prevedendosi l'esenzione da responsabilità penale per l'imprenditore che abbia presentato istanza di auto-fallimento (o che si sia costituito nel giudizio prefallimentare chiedendo il proprio fallimento) con riferimento alle ipotesi contemplate nell'art. 216, comma 2, l. fall..
Forse il percorso per un'immediata emersione dell'insolvenza al fine di una rapida cessione dell'azienda potrebbe essere agevolato anche da una modifica dell'art 124, comma 1, l. fall., laddove tale norma vieta al fallito di formulare una proposta di concordato fallimentare prima che sia trascorso almeno un anno dalla sua dichiarazione di fallimento. Tuttavia un'eliminazione del divieto potrebbe innescare comportamenti non virtuosi, e non sembra quindi una strada utilmente percorribile.
Ragione che spinge ancor più a ritenere più conveniente un'estensione dell'area di operatività dell'istituto previsto dall'art. 14 l. fall. e se del caso una modifica dei suoi effetti. Il legislatore potrebbe così prevedere la pronuncia di una sentenza dichiarativa volta ad aprire una procedura semplificata di autofallimento, caratterizzata, ad esempio, da una rapidissima verifica dello stato passivo compiuta con la collaborazione del debitore sulla base dell'elenco nominativo dei creditori (con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione), predisposto dal fallito con gli stessi criteri descritti dall'art 160 l. fall. per il proponente il concordato preventivo. In sede legislativa potrebbe essere utile interrogarsi anche in merito al requisito oggettivo dell'auto-fallimento, che non potrebbe essere lo stato di crisi previsto per il concordato preventivo, perché appunto il debitore non cerca un accordo con i suoi creditori, ma chiede direttamente una pronuncia giurisdizionale. Si tratterebbe di intercettare con il nuovo auto-fallimento non soltanto situazioni di conclamata insolvenza, ma anche di insolvenza emergente, in modo da consentire all'imprenditore di fermarsi prima di distruggere anche le risorse utilizzabili per un fresh start dell'azienda ricollocata sul mercato dal curatore fallimentare mediante procedure competitive (cfr. D. Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza, Bologna, 2006, 191 ove si discorre di insolvenza futura e pericolo d'insolvenza; v. anche, da ultimo, R. Moro Visconti, Conferimenti di Azienda, Rimini, 2011 laddove si esamina in chiave economica il maggior rischio di insolvenza derivante da determinati investimenti e si esamina criticamente il concetto di insolvenza potenziale).
In tale ottica il legislatore potrebbe persino introdurre un comma nell'art. 42 l. fall. prevedendo la facoltà per il Tribunale di non procedere, su istanza del ricorrente, allo spossessamento dell'imprenditore auto-fallito qualora costui dimostri di essere immune da grave colpa e di essere in grado di amministrare l'impresa, sotto la sorveglianza del curatore fallimentare, quanto meno per un tempo brevissimo idoneo a procedere alla stima ed alla cessione dell'azienda con idonea procedura competitiva organizzata dal solo curatore fallimentare.
Si tratta di proposte ovviamente del tutto personali e ancora meritevoli di ulteriore riflessione, ma basate sulla constatazione che il legislatore del 2005/2006 aveva promesso di più agli imprenditori in crisi, mentre le procedure preventive spesso si rivelano farraginose e costose, sì che oggi, di fronte alle nuove difficoltà imposte da una crisi sistemica, occorre progettare e ri-conformare in modo più funzionale e creativo gli istituti del diritto concorsuale.

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