Il potere del curatore di sciogliersi dal preliminare e la retroattività degli effetti delle domande giudiziali

Danilo Galletti
13 Dicembre 2011

L'art. 72 l. fall., nel testo novellato nel 2006, sancisce ormai il potere del curatore di sciogliersi dal preliminare oggetto di domanda giudiziale trascritta, con la sola eccezione dell'immobile destinato ad uso abitativo; cade pertanto qualsiasi motivo per sostenere che la trascrizione della domanda impedisca lo scioglimento, orientamento già infondato nel previgente regime.

L'art. 72 l. fall., nel testo novellato nel 2006, sancisce ormai il potere del curatore di sciogliersi dal preliminare oggetto di domanda giudiziale trascritta, con la sola eccezione dell'immobile destinato ad uso abitativo; cade pertanto qualsiasi motivo per sostenere che la trascrizione della domanda impedisca lo scioglimento, orientamento già infondato nel previgente regime.

Con due sentenze dell'anno scorso (n. 15218 e n. 16160 del 2010), la Suprema Corte ha inaspettatamente rinverdito l'orientamento, espresso dalle Sezioni Unite (n. 12505/2004) in materia di permuta, ma con affermazioni di carattere generale, per cui il curatore non potrebbe sciogliersi dal contratto preliminare per cui sia stata trascritta la domanda di esecuzione in forma specifica prima del fallimento. Le due pronunzie richiamano il precedente delle Sezioni Unite, e riguardano fattispecie regolate dalla disciplina precedente la Riforma del 2006.

La generalizzazione di tale principio creerebbe enormi difficoltà alle procedure fallimentari nella liquidazione dell'attivo, posto che il G.D. non potrebbe, in forza dell'orientamento dominante, provvedere alla cancellazione di tale trascrizione ai sensi dell'art. 586 c.p.c., così finendo per favorire iniziative “ricattatorie” di terzi, e/o la formazione consapevole di poison pills per la futura curatela da parte dei fallendi.

La Curatela infatti, per ottenere la cancellazione della domanda e liquidare il bene, non potrebbe neppure optare per il subentro e poi risolvere il contratto con gli strumenti ordinari a fronte dell'inadempimento del promissario acquirente, perché comunque dovrebbe ottenere una sentenza esecutiva, salvo il ricorso all'art. 700 c.p.c. che tuttavia non è affatto incontestato.
La massima tuttavia urta contro il nuovo testo dell'art. 72 l. fall., che afferma la persistenza dello scioglimento anche a fronte del preliminare trascritto, eccettuando il solo caso dell'immobile destinato ad uso abitativo (destinazione che a mio avviso deve ricavarsi dal tenore dell'atto, o comunque da atto munito di data certa).

Essa sembra errata inoltre anche rispetto ai principi generali, poiché la “retroattività” della domanda ex art. 2932 c.c. è una mera tecnica strumentale ad un obiettivo: da un lato poi l'effetto “prenotativo” della trascrizione della domanda opera in questo contesto in forma attenuata, e dall'altro l'esercizio del potere di scioglimento da parte del curatore rimuove la fattispecie sostanziale, così rendendo l'emissione della sentenza di trasferimento non “possibile” ai sensi dell'art. 2932 c.c.

Inoltre, nessuna norma afferma il principio per cui la proposizione di una domanda giudiziale impedisce alla controparte di esperire rimedi che privano di efficacia il titolo sottostante alla domanda stessa; forse il convenuto ex art. 2932 c.c. non potrebbe chiedere in via riconvenzionale al Giudice di dichiarare la risoluzione o la nullità del contratto?

La retroattività poi non è una categoria “ontologica” ed “assoluta”, ma una tecnica per restaurare un equilibrio di interessi compromesso, e non può mai urtare contro interessi altrettanto qualificati come quelli che essa tutela (argg. ex artt. 2379-ter; 2500-bis; 2504-quater c.c.).

Sono condivisibili pertanto le conclusioni cui giunge di recente il Tribunale di Torino in data 7 settembre 2011.

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