Il piano di risanamento non salva dalla bancarotta fraudolenta

La Redazione
06 Marzo 2016

Con la sentenza n. 8926/2016, la Suprema Corte ha affermato che le condotte distrattive poste in essere dagli amministratori della società in esecuzione di un piano di risanamento presentato durante la fase prefallimentare, non escludono la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta laddove siano concretamente dirette a privare la società di ogni garanzia per il ceto creditorio.

Cass. Pen. – Sez. V, 3 marzo 2016, n. 8926, sent.

Con la sentenza n. 8926/2016, la Suprema Corte ha affermato che le condotte distrattive poste in essere dagli amministratori della società in esecuzione di un piano di risanamento presentato durante la fase prefallimentare, non escludono la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta laddove siano concretamente dirette a privare la società di ogni garanzia per il ceto creditorio.
Il caso - Il Tribunale di Chieti confermava, in sede di riesame, il sequestro preventivo del complesso aziendale di una s.r.l. dichiarata fallita, misura motivata dalla condotta distrattiva posta in essere dagli amministratori della società che, prima della pubblicazione della sentenza di fallimento e in adempimento di un piano di risanamento aziendale presentato dopo la rinuncia alla domanda di concordato, avevano distratto il complesso aziendale della società, sottraendo alle garanzie creditorie tutti gli assets di rilevo. La società ricorre per la cassazione del provvedimento lamentando, da un lato, l'omessa indagine sull'elemento soggettivo del reato contestato e, dall'altro, la ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti nonostante la chiusura del fallimento per la rinuncia di tutti i creditori all'insinuazione nel passivo.
L'elemento soggettivo - Il Collegio, negando ogni fondamento alle censure prospettate, sottolinea l'adeguatezza della motivazione con cui il giudice del riesame sostiene la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Il momento in cui è stata posta in essere la condotta distrattiva, ovvero la fase prefallimentare aperta a seguito della convocazione del debitore dinanzi al Tribunale per la chiusura della procedura di concordato e per l'eventuale dichiarazione di fallimento, manifesta infatti l'intenzionalità della condotta distrattiva poiché dal momento in cui risulti accertata l'incapacità di soddisfare tutte le sue obbligazioni, il debitore è privato della facoltà di procedere autonomamente alla cessione dei complessi aziendali sottraendosi al controllo della procedura pubblicistica.
Né tantomeno, la presentazione «in fretta e furia» di un piano di risanamento ai sensi dell'art. 67, comma 3, l. fall. vale a rendere lecita l'attività degli amministratori. Il piano suddetto deve infatti essere idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria, in una prospettiva di continuità aziendale risultante dall'attestazione del professionista qualificato, non potendo essere diretto alla mera liquidazione dei complessi aziendali.
Il fumus commissi delicti - Anche il requisito oggettivo della misura cautelare risulta perfettamente integrato posto che l'impresa è stata completamente svuotata dalla condotta distrattiva degli amministratori che ha creato un pericolo per la soddisfazione dei creditori concretizzatosi con l'alienazione dei beni, a nulla rilevando il fatto che quest'ultimi abbiano successivamente rinunciato all'insinuazione nel passivo.
Per questi motivi, la motivazione del provvedimento impugnato risulta immune da vizi logici o argomentativi e la Corte rigetta il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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