Professionista redige una relazione "basata sul nulla": indagato per false attestazioni e soggetto a misure cautelari

La Redazione
02 Settembre 2014

Può essere soggetto alla misura interdittiva del divieto di esercitare la professione di dottore commercialista il professionista indagato per il reato di false attestazioni, ex art. 236-bis l. fall., che, nella relazione ex art. 161 comma 3 l. fall., non indichi elementi idonei ad escludere l'alea di incertezza in merito alla fattibilità del piano, dovuta ad elementi endogeni alla società, se non attraverso formule vaghe consistenti in una mera affermazione della fattibilità del piano, ovvero che ricolleghi il pagamento dei creditori ad una asserita fidejussione bancaria, senza che vi sia la prova dell'esistenza di tale garanzia.

Può essere soggetto alla misura interdittiva del divieto di esercitare la professione di dottore commercialista il professionista indagato per il reato di false attestazioni, ex art. 236-bis l. fall., che, nella relazione ex art. 161, comma 3, l. fall., non indichi elementi idonei ad escludere l'alea di incertezza in merito alla fattibilità del piano, dovuta ad elementi endogeni alla società, se non attraverso formule vaghe consistenti in una mera affermazione della fattibilità del piano, ovvero che ricolleghi il pagamento dei creditori ad una asserita fidejussione bancaria, senza che vi sia la prova dell'esistenza di tale garanzia.

Il reato di falso in attestazioni e relazioni, previsto dall'art. 236-bis l. fall. individua l'oggetto giuridico della fattispecie nell'affidamento che deve accompagnare le relazioni e le attestazioni del professionista nell'ambito di una procedura che assegna al Tribunale una mera funzione di controllo di legalità, rimettendo ai creditori la valutazione in merito alla fattibilità e alla convenienza della proposta, nonché la tutela degli interessi patrimoniali dei creditori.

Il reato di cui all'art. 236-bis l. fall., ossia falso in attestazioni e relazioni costituisce un reato di pericolo astratto, non contemplando alcuna ipotesi di pregiudizio e la cui fattispecie è integrata dal dolo generico, ossia dalla volontà di riferire ovvero attestare nella consapevolezza della difformità tra il vero e quanto esposto, con riferimento ad aspetti non secondari della relazione medesima.

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