I pagamenti ricevuti dal fallito sono inefficaci solo oltre i limiti di quanto necessario al suo mantenimento

La Redazione
09 Aprile 2015

L'inefficacia per i creditori, ex art. 44, comma 2, l. fall., dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento a titolo di stipendi, pensioni, salari ed altri emolumenti di cui all'art. 46, comma 1, n. 2 l. fall., riguarda solo gli importi eccedenti i limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della sua famiglia: se il giudice delegato non ha fissato tali limiti, per poter agire al fine di far accertare l'inefficacia dei pagamenti rispetto ai creditori il curatore ha l'onere di richiedere preventivamente al giudice la pronuncia del decreto ex art. 46, comma 2, l. fall.

L'inefficacia per i creditori, ex art. 44, comma 2, l. fall., dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento a titolo di stipendi, pensioni, salari ed altri emolumenti di cui all'art. 46, comma 1, n. 2 l. fall., riguarda solo gli importi eccedenti i limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della sua famiglia: se il giudice delegato non ha fissato tali limiti, per poter agire al fine di far accertare l'inefficacia dei pagamenti rispetto ai creditori il curatore ha l'onere di richiedere preventivamente al giudice la pronuncia del decreto ex art. 46, comma 2, l. fall.

E' il principio affermato dalla Cassazione, con la sentenza n. 6999 depositata l'8 aprile.
Il caso. La curatela del fallimento di un imprenditore chiedeva al Tribunale di accertare l'inefficacia, ex art. 44 l. fall., dei pagamenti effettuati dalla società convenuta direttamente al fallito, relativi a compensi derivanti dalla sua attività lavorativa. La domanda veniva accolta e confermata in secondo grado. La società debitrice proponeva, quindi, ricorso per cassazione.
L'inefficacia dei pagamenti effettuati direttamente al fallito. L'art. 44 l. fall. fissa il principio generale in base al quale gli atti compiuti e i pagamenti effettuati e ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori: le utilità acquisite dal fallito per effetto di tali atti sono acquisite dal fallimento.
Questo principio, però, incontra delle limitazioni nel caso in cui i pagamenti ricevuti dal fallito riguardino stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la propria attività. Ai sensi dell'art. 46, comma 1, n. 2 l. fall., infatti, tali importi non sono ricompresi nel fallimento “entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia”. Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, in simili ipotesi l'inefficacia ex art. 44, comma 2, l. fall., può essere dichiarata solo per le somme eccedenti tali limiti (così Cass. 1724/2015).
Il diritto del fallito al sostentamento suo e della famiglia. È il giudice delegato che fissa con decreto i limiti necessari al sostentamento del fallito e della sua famiglia, ai sensi dell'art. 46, comma 2, l. fall., ma tale decreto ha natura meramente dichiarativa ed efficacia retroattiva: la Cassazione conferma l'orientamento secondo il quale il diritto del fallito di percepire e trattenere gli emolumenti necessari al mantenimento suo e della famiglia sussiste prima e indipendentemente dal decreto del G.D. che ne fissi la misura.
Il decreto del giudice delegato di fissazione dei limiti ex art. 46 è sempre necessario: onere del curatore chiederne l'emissione. Pertanto anche se, come nel caso di specie, il decreto del giudice delegato non è mai stato pronunciato, la disciplina citata trova comunque applicazione: come affermato da precedenti giurisprudenziali (Cass. n. 18843/2012), per poter ottenere la dichiarazione di inopponibilità dei pagamenti ricevuti dal fallito, il curatore ha l'onere di richiedere preventivamente al giudice delegato la pronuncia del decreto di cui all'art. 46, comma 2, così da poter “documentare in causa l'eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore direttamente al fallito” rispetto alle somme escluse dal fallimento perché legittimamente trattenute dal fallito stesso.
La sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi e viene, di conseguenza, cassata senza rinvio: la Suprema Corte, decidendo nel merito, provvede al rigetto della domanda proposta dal curatore del fallimento.

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