La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 170 depositata il 4 luglio, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 23, comma 37, ult. periodo, e comma 40, del d.l. n. 98/2011, (conv. con modifiche nella l. n. 111/2011), per violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 117 Cost. e dell'art. 6 CEDU.
Il caso. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Giudice delegato di Firenze, con ordinanza del 17 luglio 2012 (in questo portale, con nota di Vignoli, Profili critici sulla questione di costituzionalità dell'art. 2752 c.c. sollevata dal Tribunale di Firenze), nel corso di una procedura fallimentare. Su istanza del creditore Equitalia, il curatore aveva richiesto che il G.D. autorizzasse la ricollocazione al privilegio di un credito per sanzioni relative ad imposte dirette, già ammesso al chirografo, e ciò in applicazione dell'art. 2752 c.c., come modificato dall'art. 23 d.l. n. 98/2011.
La nuova disciplina del privilegio mobiliare e i profili di illegittimità costituzionale. Il Giudice rimettente aveva rilevato che, a seguito delle citate modifiche normative intervenute nel 2011, il privilegio, “che prima assisteva solo le imposte dovute per l'anno in corso al tempo del fallimento e per l'anno antecedente, è stato esteso anche all'Ires e alle sanzioni, senza limiti temporali e con applicazione retroattiva”.
Proprio la retroattività della norma fondante il privilegio di un credito erariale, originariamente chirografo, e la ricollocazione in grado diverso e poziore di un credito già ammesso allo stato passivo dichiarato esecutivo divenuto definitivo, avrebbero violato i principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza in relazione a quello di "normale" irretroattività della legge ordinaria.
La decisione della Consulta. La questione di legittimità è fondata: la disciplina censurata consente infatti di applicare il nuovo regime dei privilegi erariali anche nelle procedure fallimentari in cui lo stato passivo esecutivo sia divenuto definitivo, superando il cosiddetto giudicato endo-fallimentare.
L'efficacia retroattiva della nuova disciplina dei privilegi produce, quindi, l'effetto di alterare i rapporti tra creditori, già accertati dal giudice, favorendo le pretese dello Stato a scapito degli altri creditori, solo per esigenze "di cassa".
La retroattività deve essere giustificata e non contrastare con valori costituzionalmente protetti. Una lettura sistematica dei principi dell'ordinamento italiano permette di affermare che il legislatore sì può emanare norme ordinarie in materia civile con efficacia retroattiva, ma solo a condizione che la retroattività trovi “adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale”, e che non contrasti con “altri valori e interessi costituzionalmente protetti”, quali il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento.
La Consulta ha già avuto modo di precisare che la norma retroattiva non può tradire l'affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali. Analoghi principi sono stati affermati anche dalla Corte di Strasburgo, con riferimento all'art. 6 Cedu.
Ingiustificata alterazione del rapporto tra creditori concorrenti a favore dello Stato. Con riferimento al caso di specie, la disciplina impugnata appare, dunque, illegittima, perché in contrasto con “il consolidamento, conseguito con il cosiddetto giudicato “endo-fallimentare”, delle aspettative dei creditori incise dalla disposizione retroattiva; per l'imprevedibilità dell'innovazione legislativa; per l'alterazione a favore dello Stato - parte della procedura concorsuale - del rapporto tra creditori concorrenti, determinata dalle norme in discussione; per l'assenza di adeguati motivi che giustifichino la retroattività della legge”.