Corte Ue: le conclusioni dell’Avvocato generale aprono alla falcidiabilità dell’IVA nel concordato
La Redazione
15 Gennaio 2016
Le conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di Giustizia europea, Eleanor Sharpston, presentate il 14 gennaio nella causa C-546/14, aprono alla falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo e sembrano, così, superare la posizione di segno opposto che si era consolidata nella giurisprudenza della Cassazione e anche della Consulta.
Le conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di Giustizia europea, Eleanor Sharpston, presentate il 14 gennaio nella causa C-546/14, aprono alla falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo e sembrano, così, superare la posizione di segno opposto che si era consolidata nella giurisprudenza della Cassazione e anche della Consulta. La vicenda. Con ordinanza del 30 ottobre (in IlFallimentarista) il Tribunale di Udine rinviava alla CGUE la questione pregiudiziale attinente alla presunta incompatibilità della falcidia del credito IVA, in ambito concordatario, con i principi e le norme comunitarie, in particolare con l'art. 4, par. 3 del TUE e con la direttiva 2006/112/CE del Consiglio. Il quadro normativo interno e l'evoluzione giurisprudenziale. L'art. 160 l. fall. consente all'imprenditore in concordato preventivo di non pagare integralmente i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore al valore di mercato ricavabile dalla liquidazione del bene su cui insiste la prelazione; con il vincolo ulteriore di non alterare l'ordine di graduazione delle prelazioni. L'art. 182-ter, tuttavia, dispone che qualora sia previsto nel piano concordatario una transazione fiscale, il debito IVA può essere dilazionato ma non falcidiato. La giurisprudenza ha esteso il principio dell'intangibilità del debito IVA, indipendentemente dalla presenza o meno della transazione nel piano, arrivando ad affermare che l'IVA deve considerarsi non falcidiabile anche quando la transazione non viene attivata dal debitore, in ragione della natura sostanziale, e non puramente processuale, dell'art. 182-ter (così: Cass. n. 22931/2011 e n. 22932/2011). La Cassazione ha ribadito questa posizione con successive pronunce, in sede civile e penale (Cass. Civ. n. 9541/2014, 14447/2014; Cass. Pen. n. 44283/2013, tutte in questo portale), mentre in dottrina e nella giurisprudenza di merito si è registrato un contrasto, con numerose pronunce che, invece, hanno riconosciuto la possibilità di falcidiare anche il credito IVA, nel concordato senza transazione fiscale. Nel dibattito è intervenuta anche la Corte Costituzionale che, con pronuncia n. 225/2014 (in IlFallimentarista, con una lettura critica di Andreani) ha posto a fondamento della regola dell'intangibilità dell'IVA proprio la natura dell'IVA quale risorsa dell'Unione europea, da cui derivano precisi vincoli per il legislatore interno, nel rispetto dei principi UE. In particolare, la Consulta, richiamando anche pronunce della Corte di Giustizia, ha rilevato come dal sistema comune dell'Iva e dall'art. 4, paragrafo 3, TUE, derivi l'obbligo per ogni Stato di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l'Iva sia interamente riscossa nel suo territorio. Il legislatore nazionale, insomma, non potrebbe rinunciare all'accertamento e alla riscossione integrale del credito tributario. Le conclusioni dell'avvocato generale. Nella causa comunitaria, l'avvocato generale respinge l'eccessivo rigore sostenuto dalla Commissione, secondo cui la normativa comunitaria impone ad ogni Stato membro un obbligo assoluto di riscossione integrale dell'Iva; obbligo a cui non si può derogare in ragione della difficoltà economica del soggetto passivo e dell'apertura di una procedura concorsuale. Nelle sue conclusioni, l'avvocato generale afferma invece che, in talune circostanze – eccezionali, puntuali e limitate - uno Stato membro può “ragionevolmente ritenere legittima la rinuncia al pagamento integrale di un credito Iva”, e che gli Stati membri devono godere di un livello di flessibilità, quanto alla riscossione di tale tributo, quando il soggetto passivo si trovi in stato di difficoltà economica e, nello specifico, in concordato preventivo. E così, ad esempio, può ammettersi la previsione di falcidia del credito Iva, contenuta in un piano concordatario, a precise condizioni (prima tra tutte, ovviamente, l'incapienza del patrimonio del debitore a soddisfare integralmente il credito) e se sono previste determinate salvaguardie, quale l'attestazione di un esperto che l'amministrazione tributaria non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento. Pertanto, secondo l'avvocato generale, “né l'articolo 4, paragrafo 3 TUE, né la direttiva 2006/12/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, ostano a norme nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, qualora tali norme debbano essere interpretate nel senso di consentire ad un'impresa in difficoltà finanziaria di effettuare un concordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice”.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.