La confisca del capitale sociale non impedisce il fallimento della società

La Redazione
06 Giugno 2012

Non c'è interferenza tra la confisca delle quote societarie e la fallibilità del soggetto societario, il cui patrimonio non è esente dal dover subire gli effetti della dichiarazione di fallimento. Il provvedimento di confisca fa riferimento all'intero capitale sociale, quindi alle quote di partecipazione, da non confondere con il patrimonio societario.

Non c'è interferenza tra la confisca delle quote societarie e la fallibilità del soggetto societario, il cui patrimonio non è esente dal dover subire gli effetti della dichiarazione di fallimento. Il provvedimento di confisca fa riferimento all'intero capitale sociale, quindi alle quote di partecipazione, da non confondere con il patrimonio societario.

E' il principio espresso dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8238 dello scorso 24 maggio.
La fattispecie. Una banca presentava istanza di fallimento nei confronti di una società, sua debitrice, a carico della quale era, però, diventata definitiva la confisca del capitale. Il Tribunale rigettava il ricorso, ma la Corte d'appello, accogliendo il reclamo ex art. 22 l. fall. della banca, riteneva non vi fossero ragioni ostative al concorso tra fallimento e applicazione della misura di prevenzione, e rinviava la controversia al Tribunale. Il fallimento, dichiarato in quella sede, veniva revocato nel successivo giudizio d'appello, a seguito del reclamo, ex art. 18 l. fall., della società. La Banca proponeva, infine, ricorso per cassazione.
La confisca delle quote non impedisce il fallimento. La Suprema Corte accoglie il ricorso, evidenziando come il provvedimento di confisca faccia espresso riferimento all'«intero capitale sociale», cioè alle quote di partecipazione, senza alcuna possibilità di confusione con il patrimonio sociale.
La confisca, pertanto, non determina alcuna interferenza con il fallimento della società, che viene dichiarato nei confronti di un soggetto imprenditore ex art. 1 l. fall., e prescinde dalla «disponibilità e liquidabilità dei beni che ne compongono il patrimonio, limitandosi a rilevarne l'insolvenza».
Incidente di esecuzione e buona fede dell'acquisto. Appare irrilevante, secondo gli Ermellini, che il giudice dell'esecuzione penale non abbia accertato la buona fede dell'acquisto del credito, da parte della Banca, rispetto ai beni aziendali, attesa la diversità tra il patrimonio sociale, che il creditore intende assoggettare al fallimento, e i beni caduti in confisca.
Ritenendo, quindi, che i necessari requisiti minimi della plausibilità del credito e dello stato di insolvenza della società debitrice erano già stati accertati nella prima fase della controversia - tanto che il Tribunale aveva già dichiarato fallita la società - la Corte di Cassazione, decidendo nel merito, rigetta il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento.

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