Anche per la bancarotta impropria sussiste l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità

La Redazione
06 Marzo 2013

La circostanza aggravante speciale del danno patrimoniale di rilevante gravità, prevista dall'art. 219 l. fall., è applicabile non solo alla bancarotta fraudolenta propria, ex art. 216 l. fall., per reati commessi dall'imprenditore, ma anche alla bancarotta impropria, ex art. 223 l. fall., per reati commessi dagli amministratori della società fallita.

La circostanza aggravante speciale del danno patrimoniale di rilevante gravità, prevista dall'art. 219 l. fall., è applicabile non solo alla bancarotta fraudolenta propria, ex art. 216 l. fall., per reati commessi dall'imprenditore, ma anche alla bancarotta impropria, ex art. 223 l. fall., per reati commessi dagli amministratori della società fallita.

Ad affermarlo è la Cassazione Penale, con la sentenza n. 10180, depositata il 4 marzo.
Il caso. Gli amministratori di una società, condannati in primo e secondo grado per alcuni reati fallimentari, impugnano la sentenza della Corte d'Appello, contestandone i capi nei quali si è affermata l'applicabilità dell'aggravante speciale, prevista dall'art. 219 l. fall., anche alle ipotesi di bancarotta impropria contemplate dall'art. 223.
L'applicabilità dell'aggravante: un orientamento consolidato e una sola pronuncia contraria. A una tale applicazione dell'aggravante osterebbe il richiamo letterale dell'art. 219, circoscritto agli artt. 216, 217 e 218 l. fall. e l'assenza, nell'art. 223, di un riferimento espresso all'art. 219. Proprio in questi termini si è pronunciata una sentenza della Cassazione (n. 8829/2009). Tuttavia, rileva il Collegio, si tratta di una pronuncia isolata a fronte di un orientamento consolidato di segno opposto, a cui si vuole dare continuità.
Il dato normativo: identità oggettiva delle condotte. L'applicabilità dell'aggravante in oggetto deriva, secondo la S.C., da una semplice operazione ermeneutica di tipo sistematico: non si tratta, insomma, di interpretazione analogica, ma di un'attenta lettura del dato normativo, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata.
Il rinvio all'art. 216 per la determinazione della pena è integrale e comprende anche le aggravanti. L'art. 223 punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci o i liquidatori di società dichiarate fallite, per la commissione dei delitti previsti dall'art. 216 l. fall., con le stesse pene previste da quest'ultimo articolo per l'imprenditore.
Vengono, insomma, sanzionate “le stesse condotte previste dall'art. 216, con l'unica differenza che in questo caso sono realizzate da soggetti diversi dall'imprenditore, sebbene in qualche modo legati all'amministrazione dell'ente collettivo”.
Proprio in virtù dell'identità oggettiva delle condotte, il rinvio all'art. 216, per la quantificazione della pena, deve ritenersi integrale: le pene si determinano tenendo conto non solo dei minimi e dei massimi edittali contemplati dalla norma di riferimento, ma anche considerando le attenuanti e le aggravanti previste per quei reati.
Evitare irragionevoli disparità di trattamento. Le differenze strutturali tra bancarotta propria e impropria sono minime, e non attengono al dato oggettivo della condotta: la non applicazione dell'aggravante all'ipotesi di cui all'art. 223 comporterebbe, pertanto, un'ingiustificata disparità di trattamento a favore degli amministratori societari, “tanto più irragionevole se si pensa che le più vaste dimensioni dell'impresa societaria comportano normalmente una maggiore gravità e diffusività delle conseguenze dannose del reato di bancarotta”.

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