Cass. Pen. - Sez. V - 5 dicembre 2013, n. 48804, sent.
Il curatore ha facoltà di chiedere l'annullamento della confisca per equivalente disposta ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, sui beni della società fallita, in quanto rappresentante degli interessi dei creditori, qualificabili come diritti di terzi in buona fede sui beni oggetto di confisca. È questo il principio affermato dalla Cassazione Penale nella sentenza n. 48804 depositata il 5 dicembre.
La vicenda. Il Gip del Tribunale di Bari disponeva il sequestro, ex art. 19 d. lgs. n. 231/2001, sui beni di una società successivamente fallita, in quanto funzionale alla confisca per equivalente di cose provenienti dal reato di truffa aggravata, ipotizzato a carico dell'amministratore. Il provvedimento veniva confermato, a seguito dell'istanza di revoca dell'indagato, e il curatore del fallimento ricorreva per cassazione in qualità di terzo.
Natura obbligatoria della confisca per equivalente. La Cassazione Penale conferma la natura obbligatoria della confisca per equivalente di beni corrispondenti al profitto da reato, ex art. 19 d. lgs. n. 231/2001: contrariamente a quanto asserisce il curatore, non è possibile distinguere tra una confisca obbligatoria di cose intrinsecamente pericolose ed un'altra, riguardante invece cose lecite, per la quale sarebbe attribuibile al giudice uno spazio valutativo discrezionale.
Il curatore è rappresentante dei diritti di terzi in buona fede. Piuttosto, assume rilevanza la posizione del curatore, posto che la confisca in esame fa espressamente salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
I giudici di legittimità affermano, quindi, la necessità di una valutazione giudiziale sul raffronto tra le esigenze poste a fondamento della confiscabilità dei beni e quelle attinenti alla tutela dei creditori ammessi alla procedura fallimentare. Ciò, tuttavia, non mette in discussione l'obbligatorietà della confisca.
Se è condivisibile che non può essere ritenuto terzo chi utilizzi il profitto del reato, altrettanto non vale per il curatore del fallimento di un'impresa, “nella disponibilità del quale siano confluiti i proventi di un'attività criminosa”. Egli, infatti, lungi dall'usare i beni illeciti facenti parte dell'attivo fallimentare, è incaricato dell'amministrazione di tale attivo, e dei beni che ne fanno parte, nell'esclusivo interesse dei creditori ammessi alla procedura concorsuale. Questi ultimi sono portatori di un diritto alla conservazione dell'attivo, che si realizza attraverso l'azione del curatore.
Il giudice deve valutare la prevalenza o meno delle esigenze cautelari rispetto ai diritti dei terzi. Il curatore, insomma, agisce in rappresentanza dei diritti dei creditori e va ritenuto rappresentante di interessi qualificabili come diritti di terzi in buona fede, la cui posizione deve essere valutata dal giudice, “nella prospettiva della prevalenza o meno, rispetto agli stessi, delle esigenze cautelari sottese alla confisca”.
La Cassazione fa, quindi, un passo ulteriore rispetto a precedenti pronunce di legittimità, tra cui la n. 19051 del 2013 (già nelle news de IlFallimentarista) nella quale, pur essendo ritenuta pacifica la natura obbligatoria della confisca, veniva esclusa la qualità di terzo in capo alla Curatela, per giungere alla conclusione che la confisca dovesse ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare.