L'azione revocatoria di un pagamento proposta nei confronti di un terzo dal cessionario dell'azione stessa e non dal curatore fallimentare dell'impresa cedente, non è collegata nè è strettamente connessa alla procedura d'insolvenza e, pertanto, per determinare la competenza giurisdizionale occorre fare riferimento al Regolamento n. 44/2001, che disciplina la materia civile e commerciale, e non già al Regolamento n. 1346/2000.
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 19 aprile 2012 intervenuta nella causa C-213/10.
La fattispecie. La vicenda si svolge tra Lituania, Lettonia e Germania. Un'impresa tedesca in crisi versava prima del fallimento una somma a una società lituana. In seguito veniva aperta in Germania la procedura di fallimento e il curatore fallimentare cedeva contrattualmente l'azione revocatoria di tale pagamento ad un'impresa lettone con il connesso diritto di credito alla restituzione della somma . La cessionaria agiva quindi nei confronti della società lituana per ottenere in restituzione l'importo. Il Tribunale lituano adito, però, dichiarava la propria incompetenza, ritenendo competenti i giudici tedeschi, dove era stata aperta la procedura d'insolvenza. In secondo grado i giudici nazionali devolvevano la questione alla Corte di Giustizia Ue, formulando il seguente quesito: l'azione di restituzione proposta in casi come questo, ove è connessa ad un'azione revocatoria ceduta dal curatore fallimentare, dal cessionario nei confronti del terzo che ha ricevuto il pagamento revocabile, , deve essere qualificata come relativa ad una materia di diritto civile e commerciale ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001, oppure rientra nel campo di applicazione del regolamento n. 1346/2000, relativo alle procedure d'insolvenza, in quanto derivante direttamente da tale procedura e ad essa strettamente connessa?
I rapporti tra i Regolamenti. Al fine di definire i rapporti tra il Regolamento Ue n. 44/2001 e il Regolamento Ue n. 1346/2000, i giudici europei ne analizzano i rispettivi campi d'applicazione.
Il primo, valido in materia civile e commerciale, non trova applicazione per i fallimenti, i concordati ed altre procedure concorsuali; secondo un'interpretazione giurisprudenziale, tuttavia, perché le azioni relative ad un fallimento siano escluse dal campo di applicazione della convenzione, è necessario che esse derivino «direttamente dal fallimento e si inseriscano strettamente nell'ambito del procedimento».
Il Regolamento n. 1346/2000 disciplina, invece, le procedure concorsuali: e il suo art. 3 deve essere interpretato nel senso che attribuisce ai giudici dello Stato membro competente ad aprire una procedura d'insolvenza anche una competenza internazionale a conoscere delle azioni che «derivano direttamente da detta procedura e che vi sono strettamente connesse».
La soluzione. Per risolvere la controversia, dunque, occorre stabilire se l'azione proposta dal cessionario di una revocatoria abbia un legame diretto con l'insolvenza del debitore fallito e possa considerarsi strettamente connessa alla sua procedura di fallimento.
La risposta della Corte è stata negativa, essendosi ritenuto che, nel caso di specie, il ricorrente non avesse agito in qualità di curatore fallimentare, cioè come organo della procedura, bensì in qualità di cessionario di un diritto di credito: a differenza del curatore, il quale è tenuto ad agire nell'interesse dei creditori, il cessionario è libero di esercitare o meno il proprio diritto e, se decide di esercitarlo, agisce nel proprio interesse.
L'azione proposta dal ricorrente cessionario, pertanto, non è strettamente connessa alla procedura d'insolvenza e non rientra nell'ambito di applicazione del Regolamento n. 1346/2000.