Fallimento della società: la confisca per equivalente prevale sugli interessi dei creditori

La Redazione
06 Maggio 2013

In caso di fallimento di una società, l'applicazione della confisca obbligatoria per equivalente è insensibile alla procedura concorsuale: le ragioni di tutela dei terzi creditori sono recessive rispetto alle prevalenti esigenze di tutela della collettività. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 19051 depositata il 2 maggio.

In caso di fallimento di una società, l'applicazione della confisca obbligatoria per equivalente è insensibile alla procedura concorsuale: le ragioni di tutela dei terzi creditori sono recessive rispetto alle prevalenti esigenze di tutela della collettività. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 19051 depositata il 2 maggio.

Il caso. Il Gip di Bari disponeva il sequestro preventivo, ai fini della confisca per equivalente ex artt. 19 e 53 d. lgs. n. 231/2001, di alcuni beni di proprietà di una S.r.l. dichiarata fallita, per una somma corrispondente al profitto derivante dai reati di corruzione e truffa aggravata compiuti dagli amministratori. Contro il sequestro proponeva istanza di riesame la Curatela del Fallimento, sostenendo che la confisca per equivalente prevista dall'art. 19, comma 2, d. lgs. n. 231/2001 non avrebbe natura obbligatoria, ma solo facoltativa e, di conseguenza, il Tribunale, nella valutazione del sequestro preventivo, avrebbe dovuto ponderare la pretesa dello Stato con gli interessi dei creditori concorsuali della società. Il Tribunale di Bari respingeva il riesame e la vicenda giungeva in Cassazione.
La confisca per equivalente è obbligatoria. I giudici di legittimità affermano che il carattere obbligatorio della confisca per equivalente ex art. 19 d. lgs. 231/2001 “deriva direttamente dalla sua natura di sanzione principale e autonoma, affermata solennemente dall'art. 9, comma 1” dello stesso decreto. In tal senso, non c'è alcuna differenza con la confisca disciplinata dal codice penale; ciò che cambia, precisa la Cassazione, sono i presupposti: la confisca per equivalente può essere disposta solo in caso di impossibilità di procedere alla confisca diretta del prezzo o del profitto del reato. L'istituto, infatti, è stato introdotto allo scopo di superare le “angustie della confisca tradizionale, rispetto alla quale si pone in un rapporto di alternatività-sussidiarietà”. Caratteristica comune della confisca per equivalente, nelle due ipotesi previste dall'art. 19, è che essa “può” essere adottata solo se i proventi dell'attività illecita non siano rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell'autore del reato, perché consumati, trasformati o alienati: in tali casi sarà, dunque, possibile aggredire ugualmente il profitto illecito, intervenendo l'ablazione su beni svincolati dal collegamento fisico con il reato stesso.
Ma è solo in tal senso che deve essere intesa la facoltatività della confisca per equivalente: una volta accertata la sussistenza dei presupposti, essa ha natura obbligatoria. E la valutazione del periculum è limitata alla sola verifica della confiscabilità del bene, fermo restando il requisito del fumus delicti.
La confisca per equivalente prevale sul fallimento. La Cassazione, dopo aver escluso che la Curatela possa considerarsi terza estranea al reato, ribadisce che il sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare: prevale, insomma, l'esigenza di inibire l'utilizzazione del bene, in vista della sua acquisizione da parte dello Stato. In presenza di una confisca obbligatoria, insomma, le ragioni dei terzi creditori sono sempre recessive rispetto alle prevalenti esigenze di tutela della collettività.
Occorre valutare l'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto. Merita, invece, accoglimento, la censura con la quale la Curatela lamenta la violazione degli artt. 19 e 53, decreto cit., in ordine all'entità dei beni sequestrati rispetto al valore del profitto illecito conseguito: il giudice non avrebbe valutato il rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare, disponendo la confisca su beni di valore molto superiore al profitto derivante dal reato.
Il secondo dei presupposti per l'applicazione della confisca obbligatoria, infatti, consiste nell'equivalenza tra il valore dei beni confiscati e l'entità del profitto.

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