Rinuncia della domanda di ammissione allo stato passivo

Maria Grazia Sirna
07 Ottobre 2014

Successivamente al deposito del progetto di stato passivo, la rinuncia del creditore alla domanda di ammissione allo stato passivo deve essere accettata dal curatore ex art. 306 c.p.c.?

Successivamente al deposito del progetto di stato passivo, la rinuncia del creditore alla domanda di ammissione allo stato passivo deve essere accettata dal curatore ex art. 306 c.p.c.?

La questione giuridica che il quesito solleva concerne l'applicabilità al procedimento di verifica dello stato passivo della regola processuale contenuta nell'art. 306 del codice di procedura civile, relativa alla rinuncia agli atti del giudizio.
La risposta all'interrogativo richiede un cenno preliminare circa la natura della domanda di ammissione al passivo e, più in generale, del procedimento regolato dagli artt. 92 e seguenti della legge fallimentare.
La domanda di ammissione allo stato passivo si propone mediante ricorso ed è un atto di impulso che si colloca nell'ambito di un procedimento giurisdizionale endogeno alla complessa procedura di fallimento; il provvedimento emesso (in relazione alla citata domanda) dal Giudice delegato, su proposta del curatore, ha efficacia meramente endofallimentare (in questo senso Cass. Civ. 5095/2012).
Il procedimento di verifica dei crediti ha natura non contenziosa e di cognizione sommaria.
Ciò, del resto, conformemente alla funzione propria del predetto procedimento. Infatti, attraverso la presentazione della domanda di ammissione allo stato passivo – sia essa tempestiva ex art. 93 l. fall., che tardiva ex art. 101 l. fall. - colui che si ritiene creditore della società fallita partecipa alla fase di verifica e accertamento dei crediti (con onere della prova a suo carico) al fine del riconoscimento del diritto (di credito) e della relativa soddisfazione nell'ambito della procedura concorsuale.
Al riguardo, la Corte di cassazione così si esprime: “Nel sistema della l.fall. il procedimento di verificazione dello stato passivo ha natura giurisdizionale e decisoria ed è strutturato sullo schema del processo di cognizione, sia pure con gli adattamenti imposti dal carattere sommario della cognizione e dalla attribuzione al giudice delegato di poteri inquisitori, e di detto procedimento l'eventuale giudizio di opposizione costituisce lo sviluppo in sede contenziosa per l'accertamento dell'esistenza e dell'efficacia, nei confronti del fallimento, del credito di cui si chiede l'ammissione” (Cass. Civ. 3765/2007).
Si tratta di orientamento conforme alla normativa di rito relativa al procedimento di verifica dei crediti, che infatti assicura il contraddittorio sostanziale innanzi ad un giudice terzo, senza tuttavia prevedere la formale costituzione delle parti a mezzo di difensore tecnico.
In definitiva, il procedimento di verifica dei crediti, pur conformandosi allo schema del processo ordinario di cognizione, non ne assume la veste.
Ciò rileva al fine della questione circa l'applicabilità dell'istituto della rinuncia agli atti ex art. 306 c.p.c..
Infatti, detta normativa è sistematicamente posta nel codice di rito nel Libro II, Capo VII, Sezione III intitolata “Dell'estinzione del processo” e prevede l'estinzione del giudizio per rinuncia agli atti solo allorquando tale rinuncia sia accettata dalle parti costituite.
Ebbene, nel procedimento della verifica dei crediti il curatore - che eventualmente dovrebbe accettare la rinuncia alla domanda di ammissione formulata dal preteso creditore - non è “avversario” di quest'ultimo, quanto piuttosto soggetto terzo rispetto al preteso rapporto obbligatorio oggetto di accertamento (come, da ultimo, confermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n.4213/2013 - anche nelle news de IlFallimentarista).
Del resto, come detto, nel procedimento verifica dei crediti non vi è nemmeno formale costituzione delle parti, né vi sono parti contrapposte, pur essendovi contraddittorio sostanziale, comunque indispensabile alla funzione sua propria di accertamento del credito.
Oltretutto, sembra arduo ipotizzare un interesse del curatore alla “conservazione” della domanda di ammissione al passivo - e quindi un possibile diniego alla rinuncia - atteso che, anzi, l'effetto della rinuncia alla pretesa pecuniaria, ove ritenuta fondata dagli organi della procedura, potrebbe essere soltanto positivo per i creditori concorsuali, i quali beneficerebbero, in caso di ripartizione di attivo, di una maggiore soddisfazione del credito accertato.

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