Il curatore e l’obbligo di comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata

Fulvio Pizzelli
Daniele Tumietto
22 Novembre 2011

Quali sono i problemi posti dal decreto legge 29 Novembre 2008, n. 185, laddove introduce - apparentemente anche in capo ai curatori - obblighi di indicazione e comunicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata?

Quali sono i problemi posti dal decreto legge 29 Novembre 2008, n. 185, laddove introduce - apparentemente anche in capo ai curatori - obblighi di indicazione e comunicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata?

Il decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, introduce, con l'art. 16, alcune novità volte alla "riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese".
In particolare il punto 6 dispone che : "Le imprese costituite in forma societaria sono tenute a indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge tutte le imprese, già costituite in forma societaria alla medesima data di entrata in vigore, comunicano al registro delle imprese l'indirizzo di posta elettronica certificata. L'iscrizione dell'indirizzo di posta elettronica certificata nel registro delle imprese e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall'imposta di bollo e dai diritti di segreteria".
Si ricorda peraltro che già partire dal 1° Aprile 2010 doveva essere indicato l'indirizzo PEC in occasione di qualsiasi invio (anche per modifiche, oltre che per le nuove costituzioni).
Nel quadro di ComUnica relativo al domicilio elettronico è, infatti, indispensabile indicare un indirizzo PEC al quale verranno indirizzate le eventuali comunicazioni da parte degli Enti interessati alla Comunicazione Unica stessa.
Ai sensi e per gli effetti dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 185/2008 convertito in legge n. 2/2009, per tutte le società vige l'obbligo di iscrivere nel Registro delle Imprese il proprio Indirizzo PEC entro il 28 novembre 2011 in esenzione da bollo e diritti.
Per le società di nuova costituzione vige l'obbligo di dotarsi di indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC)e di comunicarlo all'atto della iscrizione nel Registro delle Imprese.
L'indirizzo PEC delle società deve essere visibile nelle Visure rilasciate dalle Camere di commercio.
Si sottolinea, inoltre, che è stata abolita la necessità del consenso espresso per le comunicazioni inoltrate all'indirizzo PEC reso pubblico da società iscritte nel Registro delle Imprese e dai liberi professionisti.
È stato quindi introdotto l'obbligo per le società di accettare i messaggi PEC senza necessità di preventivo assenso.
Le imprese costituite in forma individuale restano al momento escluse dagli obblighi relativi alla PEC.
Alla luce di quanto precede, sembra conseguente ritenere che anche le società in fallimento iscritte al Registro Imprese rientrino nell'obbligo, non esistendo alcuna previsione normativa che le esoneri.

La Circolare Ministero dello Sviluppo Economico n. 3645/C del 3 novembre 2011, malgrado il quadro normativo appaia inequivoco e la prassi condivisa sino ad allora dalla maggior parte delle Camere di Commercio fosse per la risposta positiva, sembra aver convinto i più a riconsiderare le proprie iniziali posizioni.
Nella parte in cui la circolare tratta dei soggetti obbligati alla comunicazione della PEC entro il prossimo 29.11.2011, si elencano: le società di capitali e di persone, le società semplici e le società cooperative, le società estere che hanno in Italia una o più sedi secondarie, le società in liquidazione.
La circolare non fa riferimento alcuno e di nessun genere, alle società in stato di fallimento e risulta pertanto, sotto questo profilo, estremamente ambigua.
La mancata comprensione tra i soggetti obbligati alla comunicazione dell'indirizzo di PEC delle società fallite sembra aver fatto propendere i più, anche se non risulta siano ancora state espresse pronunce ufficiali in tale senso, per l'esclusione delle società in stato di fallimento dall'obbligo.
Una lettura critica della circolare ministeriale porta però ad evidenziare che le società in stato di fallimento non sono state esplicitamente escluse dal novero dei soggetti obbligati e si può affermare con qualche ragione che l'equivoca elencazione, tra i soggetti obbligati, delle “società in liquidazione” potrebbe essere interpretata nel senso di comprendere tra tali soggetti anche le società in stato di fallimento, che è certamente procedura liquidatoria, sebbene di natura giudiziale.
All'inizio del mese di ottobre, quando sembrava prevalere la tesi dell'obbligatorietà dell'adempimento, che a parere di chi scrive è quella più aderente al dettato normativo furono ipotizzate, in prima battuta, due soluzioni sostanzialmente alternative e volte a risolvere il problema della concreta operatività di cui il Curatore si dovrebbe fare carico nell'ambito delle procedure concorsuali che egli si trova ad amministrare:
1) il Registro delle Imprese, nella sua manualistica, indica che la comunicazione va effettuata a cura “dell'amministratore” della società; stando così le cose, il curatore, che non è l'amministratore della Società, non dovrebbe essere il soggetto tenuto ad effettuare la comunicazione e l'onere relativo graverebbe dunque sull'organo amministrativo, che, quand'anche concretamente privato dei poteri gestori, non è comunque cessato dalla carica con la dichiarazione di fallimento;
2) tutti i professionisti sono dotati di un indirizzo PEC e siccome nulla è detto dalla norma circa il “come deve essere l'indirizzo di posta elettronica certificata” e il Contact Center della CCIAA di Milano a domanda risponde che nessun particolare controllo verrà effettuato sugli indirizzi comunicati salvo che essi siano “presidiati”, cioè letti, si potrebbe agevolmente ottemperare all'obbligo comunicando l'indirizzo di posta elettronica certificata del curatore.
La prima soluzione proposta non sembra ineccepibile: molto spesso l'organo amministrativo della società è deceduto o è già comunque cessato senza essere stato sostituito; inoltre, anche laddove permanga, per attivare la PEC dovrebbe quanto meno poter contrarre liberamente con gli organi certificatori nella sua specifica veste gestoria, ciò che, per il disposto dell'art. 44 l. fall., non sembra che possa più fare, e anzi, com'è ben noto, tale norma rende inopponibili ed inefficaci tutti gli atti compiuti in nome della società da persona diversa dal curatore. Per questo motivo, la soluzione non appare concretamente praticabile.
La seconda soluzione presenta a sua volta non lievi inconvenienti di carattere pratico: quante mail potrebbero arrivare all'indirizzo personale del curatore che gestisca molte procedure concorsuali?
Inoltre, poiché tale comunicazione può considerarsi richiesta anche per le procedure “vecchio rito” di società fallite, per le quali non parrebbe applicarsi l'obbligo di cancellare la società fallita dal Registro delle Imprese a fallimento dichiarato chiuso, l'indirizzo del curatore, e quindi del professionista, pare possa restare indefinitamente associato, nel Registro delle Imprese, a procedure cessate, per le quali egli non avrebbe più alcun titolo per ricevere eventuali notifiche o comunicazioni in genere inviate alla società a mezzo PEC.
Peraltro la soluzione di comunicare l'indirizzo PEC del curatore è indirettamente avallata nella già citata circolare.
Per quanto detto in precedenza, sarebbe comunque ragionevole, tenuto conto della fattiva collaborazione tra CCIAA di Milano e Sezione Fallimentare del Tribunale, trovare una soluzione che consenta al Conservatore del Registro delle Imprese di cancellare la PEC del professionista almeno dalle visure delle procedure dichiarate chiuse se di “vecchio rito”.
Si ritiene che resti comunque praticabile, anche se potenzialmente impegnativa in funzione del numero di procedure mediamente gestite, la soluzione di aprire una specifica casella di PEC per ogni procedura gestita. Al riguardo, trattandosi di adempiere ad un obbligo normativamente previsto e poiché per l'adempimento è richiesto l'intervento del soggetto certificatore che fisicamente metterà a disposizione la casella di posta elettronica certificata, si ritiene trovi applicazione il disposto di cui al comma 2 dell'art. 32 l. fall. e quindi, acquisita l'autorizzazione del comitato dei creditori, l'eventuale spesa dovrebbe considerarsi prededucibile.
Infine, sebbene non si possa chiedere alla massa dei creditori di farsene carico, si potrebbe ancora pensare di attivare un indirizzo PEC di studio per i fallimenti (fallimenti @ pec . studio . it ), per i quali sarebbe in tal modo possibile gestire una unica casella PEC, con conseguente contenimento sia dei costi che dei relativi oneri.
Ad ogni modo, si deve ricordare che per facilitare l'assolvimento dell'obbligo le camere di commercio hanno realizzato e messo a disposizione sul web – mediante Infocamere scpa – un software che permette la facile compilazione e l'immediato invio delle domande che possono comunque essere compilate anche con i consueti applicativi, quali Fedra o Starweb o programmi equivalenti. Tale procedura semplificata è disponibile sul sito del Registro delle Imprese.
Si ribadisce inoltre per l'adempimento delle società non sono previsti oneri (imposta di bollo o diritti di segreteria), ma il mancato rispetto della scadenza comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa di importo compreso tra € 206,00 ed € 2.065,00 (art. 2630 c.c.; la procedura sanzionatoria può essere chiusa versando il doppio del minimo, cioè € 412,00).
Pur tutto quanto sopra esposto, a causa dell'incertezza nella quale sono stati lasciati i curatori fallimentari di società di capitali e di persone, almeno alla data in cui si ultimano queste poche righe, sarà necessario aggiornare il presente intervento a successiva occasione, quando si spera gli organi competenti avranno fornito indicazioni operative di carattere univoco e valide anche per le società in stato di fallimento.

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