Transazione compiuta dal liquidatore e competenza all'autorizzazione

21 Marzo 2012

Il Liquidatore giudiziale di un concordato preventivo, in assenza di specifiche indicazioni nel decreto di omologa, deve acquisire l'autorizzazione del G.D. ai fini della transazione di una controversia giudiziale o è sufficiente il parere autorizzativo del Comitato dei creditori?

Il Liquidatore giudiziale di un concordato preventivo, in assenza di specifiche indicazioni nel decreto di omologa, deve acquisire l'autorizzazione del G.D. ai fini della transazione di una controversia giudiziale o è sufficiente il parere autorizzativo del Comitato dei creditori?

Nel caso in cui il Liquidatore giudiziale di un concordato preventivo debba procedere alla transazione di una controversia giudiziale, in mancanza di precise indicazioni contenute nel decreto di omologa, dovrà preventivamente ottenere l'autorizzazione del comitato dei creditori se si tratti di controversia attinente a materia liquidativa, mentre se la controversia giudiziale attiene all'accertamento di passività resta competente il solo legale rappresentante della società. In entrambi i casi gli atti devono sottoporsi al visto del commissario giudiziale.

RIFERIMENTI NORMATIVI - La soluzione del quesito si deduce dall'analisi comparativa dell'art. 167 l. fall., rubricato “Amministrazione dei beni durante la procedura”, che tratteggia la disciplina che governa i rapporti tra il debitore concordatario e il suo patrimonio, con l'art. 182 l. fall. che individua le modalità della liquidazione conseguente alla cessione di beni.

ATTI DI AMMINISTRAZIONE DURANTE IL CONCORDATO - Nel corso della procedura di concordato preventivo (per il periodo andante fino al decreto di omologa) si realizza in capo al debitore una sorta di spossessamento attenuato. Infatti questi, benché mantenga l'amministrazione del patrimonio e la gestione dell'impresa, è assoggettato alla vigilanza del Commissario Giudiziale e, in relazione agli atti di straordinaria amministrazione, alla previa e specifica autorizzazione del Giudice Delegato. La mancanza di tale autorizzazione rende gli atti compiuti inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato, sia nell'ambito concordatario, sia del fallimento eventualmente dichiarato successivamente, senza però inficiare la validità del negozio inter partes. Quindi, sebbene il concordato comporti, a carico del debitore, effetti meno gravi di quelli che conseguono dalla dichiarazione di fallimento, tuttavia l'amministrazione dei beni e l'esercizio dell'impresa devono essere esclusivamente funzionali all'attuazione del concordato nell'interesse dei creditori.

NECESSITÀ DELL'AUTORIZZAZIONE - In particolare, al comma 2 dell'art. 167 il legislatore prevede un elenco - da ritenersi non tassativo - di atti di straordinaria amministrazione, che risultano idonei a colpire il patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza ovvero apponendo vincoli. Tali atti possono essere autorizzati solo se il Giudice Delegato li considera conformi al piano concordatario e/o funzionali alla prevalente tutela degli interessi dei creditori. Al contrario, gli atti di ordinaria amministrazione, volti alla conservazione o al miglioramento del patrimonio, possono essere compiuti senza autorizzazione giudiziale.
Con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 5/2006 è stato aggiunto all'art. 167 il comma 3, che assegna al Tribunale il potere di fissare con decreto il valore al di sotto del quale non occorre l'autorizzazione, in modo da individuare gli atti che, ritenuti di modesto valore, non sono idonei a pregiudicare effettivamente la par condicio tra i creditori.

SOLUZIONE DEL QUESITO - Tra le ipotesi precisate al comma 2 dell'art. 167 l. fall., che, si ripete, contiene un elenco non tassativo ma meramente esemplificativo di atti da sottoporre ad autorizzazione, si rinviene anche la transazione. Per il compimento di tale negozio, al pari di quanto previsto in caso di mutuo, compromesso, alienazioni di beni immobili, concessioni di ipoteche o pegno, fideiussioni, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, cancellazioni di ipoteche, restituzioni di pegni, accettazioni di eredità e di donazioni, non dovrà operarsi la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione secondo un criterio di normalità, esigendosi sempre l'autorizzazione scritta del Giudice Delegato a pena di inefficacia rispetto ai creditori anteriori al concordato.
Tuttavia, come si diceva, la previsione riguarda il periodo andante fino all'omologa, non quello successivo.
Durante quest'ultimo periodo vi è la presenza di un liquidatore giudiziale solo quando sia necessario procedere alla liquidazione dei beni del debitore, e quindi, di norma, quando il concordato preventivo abbia la forma della cessione dei beni.
In questo caso - come si desume dall'art. 182 - il liquidatore ha una sua autonoma legittimazione ad effettuare gli atti liquidativi, sia pure nel quadro delle condizioni e delle modalità indicate dal Tribunale o ricavabili dalla stessa legge fallimentare (la suddetta norma fa infatti specifico rinvio agli artt. da 105 a 108 ter, che disciplinano le vendite fallimentari). Per effetto delle suddette condizioni e di tale rinvio sia il comitato dei creditori che il Giudice Delegato possono acquisire un ruolo molto pervasivo, anche di carattere autorizzatorio.
Tuttavia la norma non tratta specificamente delle transazioni.
Quando queste abbiano ad oggetto attività liquidative, e il Tribunale nulla abbia detto al riguardo, è ragionevole credere che, per il rinvio fatto dall'art. 182 all'art. 41, sia il comitato dei creditori a dover autorizzare le transazioni suddette. Infatti l'art. 41, comma 1, esplicitamente attribuisce al comitato dei creditori il generale potere di autorizzare gli atti del curatore, e si può ritenere che, fatte le dovute corrispondenze, tale organo collegiale abbia il potere di autorizzare nel concordato preventivo omologato gli atti di straordinaria amministrazione del liquidatore giudiziale che attengano all'ambito liquidativo.
Tuttavia il liquidatore ha, appunto, poteri funzionali alla liquidazione, e non poteri sostitutivi di carattere generale, e comunque non ha potestà che incidano sull'accertamento del passivo, ambito nel quale perdura l'autonoma legittimazione del debitore.
Pertanto, ove si tratti di società in concordato, sarà il legale rappresentante a dover decidere in modo autonomo della sorte delle controversie giudiziali che abbiano ad oggetto passività dell'impresa.
Sia in questo caso, come anche nel primo, gli atti (del liquidatore, del comitato dei creditori e del legale rappresentante) devono essere sottoposti volta a volta agli organi di sorveglianza preposti (e quindi sempre e comunque al commissario giudiziale e, quando si tratti di atti del legale rappresentante, anche al comitato dei creditori).

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