La chiusura anticipata del fallimento nella pendenza di giudizi
Mauro Vitiello
01 Febbraio 2016
Come noto, all'articolo 118 l. fall. sono state apportate modificazioni intese a consentire la chiusura della procedura di fallimento nella perdurante pendenza di giudizi. La norma è operativa a decorrere dal 21 agosto 2015 (data di entrata in vigore della legge n. 132/15, di conversione del decreto legge n. 83/15), si applica a tutti i fallimenti, ivi compresi quelli pendenti al momento dell'entrata in vigore del decreto legge, poi convertito, ed integra, senza alcun dubbio, la più problematica delle disposizioni, introdotte con la miniriforma della scorsa estate, che ineriscono strettamente alla procedura fallimentare.
Come noto, all'art. 118 l. fall. sono state apportate modificazioni intese a consentire la chiusura della procedura di fallimento nella perdurante pendenza di giudizi. La norma è operativa a decorrere dal 21 agosto 2015 (data di entrata in vigore della legge n. 132/15, di conversione del decreto legge n. 83/15), si applica a tutti i fallimenti, ivi compresi quelli pendenti al momento dell'entrata in vigore del decreto legge, poi convertito, ed integra, senza alcun dubbio, la più problematica delle disposizioni, introdotte con la miniriforma della scorsa estate, che ineriscono strettamente alla procedura fallimentare. Nell'intento di limitare drasticamente le ipotesi di eccessiva durata del fallimento, il legislatore ha dettato una disciplina assai scarna del nuovo istituto, lasciando inevitabilmente aperti una serie di problemi di natura interpretativa, applicativa e, soprattutto, di coordinamento con la normativa civilistica e tributaria. Non v'è dubbio che la chiusura nella pendenza di cause sia una facoltà, e che in quanto tale essa integri una discrezionale scelta gestionale del curatore che, quindi, sembra di poter affermare, pur nel silenzio della legge, debba essere soggetta all'autorizzazione del comitato dei creditori, organo direttivo della procedura cui spetta la valutazione di opportunità di ogni opzione operativa del curatore. Deve ritenersi scontato che la scelta di quest'ultimo non abbia ripercussioni sulla complessiva entità del suo compenso, dal momento che risponde a logica ritenere che nell'ipotesi di effettuazione di un riparto supplementare, a chiusura della procedura già avvenuta, al curatore spetti un supplemento di compenso. Va inoltre sottolineato che la possibilità di chiudere anticipatamente la procedura non sia possibile in fattispecie distinte da quella della chiusura per integrale ripartizione dell'attivo. Se la ratio di tale limitazione è di lampante evidenza per le fattispecie della chiusura per mancanza di domande di ammissione al passivo e per integrale soddisfacimento dei crediti prededucibili e concorsuali, lo è certamente meno nel caso di chiusura motivata dalla mancanza o insufficienza di attivo (art. 118, n. 4, l. fall.), per la quale la logica potrebbe consigliare un'estensione dell'applicazione dell'istituto in discorso. In realtà, dalla natura eccezionale e derogatoria della nuova previsione normativa discende l'impossibilità di sostenerne l'applicazione analogica. Ma soprattutto, non pare difficile intuire perché la norma non contempli la fattispecie della chiusura anticipata in mancanza di attivo, pensando ad un legislatore che auspica che l'eventuale sopravvenienza di attivo derivante dall'esito favorevole di una causa possa consentire il pagamento del contributo unificato e del compenso del curatore, così da evitare oneri a carico dell'Erario. La disciplina non chiarisce poi come debba in concreto avvenire l'eventuale riparto supplementare, limitandosi a prevedere che le sue modalità vadano prescritte dal tribunale nel decreto di chiusura, lasciando così aperto il tema inerente alla necessità o possibilità di applicare il procedimento previsto dagli artt. 110 e 117 l. fall. Se in proposito la risposta più logica pare essere quella negativa, sul presupposto della già intervenuta chiusura della procedura e, quindi, dell'impossibilità di dare applicazione alle norme della legge fallimentare (diverse da quella di cui all'art. 118, n. 3 l. fall.), certamente si pone il problema di stabilire in che modo garantire la verifica sulla correttezza dei criteri utilizzati dal curatore nella predisposizione del riparto supplementare, assicurando altresì ai singoli creditori uno strumento di tutela delle proprie ragioni, ove mai esse fossero disattese dalla curatela. Un'ulteriore questione attiene all'estensione della sfera di applicazione della norma all'ipotesi della pendenza di una o più procedure esecutive. Va evidenziato che la risposta positiva, cui sembrerebbe ostare il dato letterale, che si riferisce alla pendenza di giudizi, è in qualche misura imposta dalla logica, dal momento che non è possibile escludere che la chiusura del fallimento sia impedita dalla pendenza di una causa, ma che la chiusura di quest'ultima con una pronuncia favorevole alla curatela si porti con sè l'eventuale necessità di instaurare una procedura esecutiva nei confronti del soccombente, con conseguente estensione all'azione esecutiva dell'ultrattività della legittimazione del curatore. Deve invece escludersi che il nuovo istituto possa avere applicazione nella pendenza di cause di inefficacia il cui eventuale effetto favorevole al curatore sia quello di far retrocedere un bene nella disponibilità di un soggetto, il fallimento, che non c'è più, tenendo conto altresì che la retrocessione comporterebbe la necessita di un'attività di liquidazione che a sua volta il curatore non potrebbe mai svolgere, essendo la sua ultrattività espressamente limitata alla legittimazione processuale, all'eventuale ripartizione delle sopravvenienze derivanti dall'esito dei giudizi, alla proposizione di eventuali atti di rinuncia alle liti o di transazioni. Venendo al mancato coordinamento della disciplina in esame con le altre norme sostanziali, va detto che non è chiaro se alla chiusura debba conseguire la cancellazione dal registro delle imprese, con la conseguente chiusura della partita IVA, come sembrerebbe necessario in ossequio alle norme e ai principi generali, oppure si possa ritenere che l'introduzione del nuovo istituto integri una deroga che consenta di mantenere l'iscrizione del fallito al registro delle imprese e l'apertura della partita IVA, anche al fine di consentire il recupero dell'IVA versata dal curatore per i pagamenti (dei propri legali e, in caso di soccombenza, delle controparti) necessari nella fase ultrattiva. Il mantenimento dell'iscrizione al registro delle imprese, peraltro, pare inevitabile per giustificare la stessa legittimazione processuale ultrattiva del curatore, anche se potrebbe urtare con l'eventuale decisione del Conservatore di procedere alla cancellazione motu proprio. Esistono infine almeno due problemi che esigono una precisa presa di posizione da parte di alcuni tra i principali interlocutori del curatore. Si allude alla eventuale imponibilità fiscale delle sopravvenienze da esito favorevole della causa, che potrebbe essere propugnata dalla Agenzia delle Entrate valorizzando il loro intervento a procedura fallimentare già chiusa. Si allude, ancora, alla prevedibile pretesa della banca depositaria dei fondi della procedura alla chiusura del conto corrente a quest'ultima intestato, da cui l'esigenza di stabilire con quali modalità depositare le somme necessarie per gli accantonamenti previsti dalla legge. Per concludere, un analitico completamento della disciplina in discorso va considerato inevitabile, salvo voler accettare l'attuale tendenziale inapplicabilità concreta dell'istituto. Non è un caso che lo schema di disegno di legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza elaborato dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministro della Giustizia con decreto 24/02/2015 preveda, all'art. 9, lett. b), di “integrare la disciplina della chiusura della procedura in pendenza di giudizi, di cui all'art. 118 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, definendone presupposti, condizioni ed effetti, in rapporto alla diversa tipologia dei giudizi ed alla eventuale natura societaria del debitore, con particolare riguardo agli obblighi e facoltà di spettanza del debitore ed al residuo ruolo degli organi della procedura”.
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