Norme transitorie della miniriforma di cui al D.L. 83/15: il significato di “procedimenti introdotti” dopo la legge di conversione

Filippo Lamanna
13 Novembre 2015

Com'è noto, due norme dal tenore letterale chiarissimo delineano i confini di durata del concordato preventivo:1) l'art. 163, primo comma, l. fall., che fa coincidere l'apertura della procedura di concordato preventivo con il decreto di ammissione;2) l'art. 181, primo comma, secondo cui la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione.

Com'è noto, due norme dal tenore letterale chiarissimo delineano i confini di durata del concordato preventivo:
1) l'art. 163, primo comma, l. fall., che fa coincidere l'apertura della procedura di concordato preventivo con il decreto di ammissione;
2) l'art. 181, primo comma, secondo cui la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione.
Secondo tali espresse ed inequivoche previsioni normative, la procedura di concordato preventivo si snoda fra due decreti, uno iniziale e l'altro finale, andando dal decreto di ammissione fino al decreto di omologa.
Siccome questo “regolamento di confini” ha forza di legge, non ha senso proporre interpretazioni mirate ad ipotizzare confini diversi.
In ultima analisi può dirsi, alla luce del dettato normativo, che prima del decreto di apertura una procedura di concordato in senso tecnico non c'è ancora e non ci può mai essere, ma semmai può discettarsi solo di una fase prodromica, in cui, a garanzia e tutela del debitore da un lato, e dei creditori dall'altro, la legge fa scattare anticipatamente alcuni speciali effetti protettivi.
A tutela del debitore, ad es., scatta il blocco delle azioni cautelari ed esecutive, mentre, a tutela dei creditori, si attua uno spossessamento attenuato, in ragione del quale il debitore può compiere senza particolari limiti solo atti di ordinaria amministrazione (purchè “legittimi”), mentre, per compiere atti di straordinaria amministrazione (compreso l'accesso a talune forme di finanziamento), o per effettuare pagamenti di crediti anteriori per prestazioni essenziali (nei soli concordati con continuità aziendale) deve munirsi della previa autorizzazione del Tribunale. La fase procedimentale che intercorre tra il deposito della domanda e il decreto di apertura è, dunque, una fase sì sottoposta ad un controllo giudiziale, ma che non può ancora definirsi concordato.
Possono trarsene le logiche conseguenze sotto vari profili.
La delimitazione normativa della procedura di concordato preventivo, ad esempio, può servire per risolvere problemi di diritto intertemporale, come alcuni di quelli sorti con la conversione del D.L. n. 83/2015, contenente la cd. miniriforma fallimentare, nella legge n. 132/2015.
Basti pensare, fra gli altri, ai problemi concernenti l'entrata in vigore effettiva delle norme che hanno introdotto la soglia di pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari per l'accesso al concordato preventivo non in continuità (art. 160, ultimo comma, l. fall.) o reintrodotto il sistema del voto espresso, abrogando il sistema precedente del silenzio-assenso (art. 178 l. fall.).
Secondo la norma intertemporale di cui all'art. 23, le nuove disposizioni appena ricordate si applicano ai procedimenti di concordato “introdotti” dopo l'entrata in vigore della legge di conversione.
Per una corretta applicazione di tale norma occorre dunque stabilire quando un procedimento di concordato possa dirsi “introdotto”.
Con tale espressione si potrebbe in astratto fare riferimento o alla domanda di concordato oppure al decreto di ammissione.
La seconda soluzione, più rigorosa, farebbe coincidere la pendenza della procedura sempre e solo con la sua apertura, considerando del tutto irrilevante la fase cautelativa ante-decreto.
Si potrebbe obiettare, però, che “introdurre” un procedimento non equivalga affatto ad aprirlo, tenuto conto che, mentre l'apertura è certamente atto del Tribunale, viceversa l'introduzione, ossia l'istaurazione dell'iter procedimentale che può portare alla successiva apertura, è un atto del debitore.
Alla luce di tale impostazione, in effetti può considerarsi più plausibile concludere che l'introduzione della procedura, ai fini della norma in esame, coincida con il deposito della domanda di concordato.
Quando tale domanda sia “piena” (ovvero “definitiva”), si potrà dunque ritenere che, depositato il ricorso dopo l'entrata in vigore della legge di conversione, possano avere applicazione le nuove sopracitate disposizioni.
Quando, però, il concordato preventivo è preceduto da un preconcordato, vi è la nota dissociazione tra il ricorso, depositato prima, e la proposta ed il piano, depositati (e solo eventualmente) dopo.
Quid juris, allora, nel caso in cui sia stato depositato un ricorso di preconcordato prima della data di entrata in vigore della legge di conversione n. 132/2015 (21/08/2015), ma il piano e la proposta definitiva vengano depositati successivamente? Per stabilire se applicare le nuove disposizioni o quelle vecchie, deve farsi riferimento alla data di deposito del ricorso di preconcordato o alla data di deposito di piano e proposta?
Ebbene, è certo anzitutto che nemmeno la fase di preconcordato costituisca ancora concordato, poiché, come appena detto, questo comincia solo con il decreto di apertura.
Ciò che si può dire del preconcordato è che esso rappresenta un procedimento di carattere prenotativo e cautelativo che comincia certamente con il deposito del ricorso e che termina, al più tardi, quando spira il termine concesso dal Tribunale ai fini del deposito di proposta e piano di concordato, o, in alternativa, di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. (mentre può terminare anche prima, ad es. quando piano e proposta vengano depositati prima del termine, o nel caso in cui il Tribunale ravvisi violazioni al regime autorizzatorio e pronunci prima del termine l'improcedibilità o ritenga che non siano stati compiuti atti idonei al fine di formulare la proposta definitiva ed abbrevi il termine inizialmente concesso).
Se così è, la precorsa instaurazione del preconcordato non può spiegare alcun rilievo ai fini dell'applicazione delle nuove norme, atteso che l'introduzione del procedimento di preconcordato non equivale ad introduzione del (diverso) procedimento di concordato.
Quando, infatti, il deposito di proposta e piano definitivi di concordato non si verifichi, alla fase preconcordataria può seguire o il fallimento o il ritorno del debitore nel pieno possesso dei suoi beni (possesso prima “attenuato” dal controllo del Tribunale sugli atti di straordinaria amministrazione) o l'avvio di una procedura di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti se il debitore depositi tali accordi.
Se, invece, il deposito di piano e proposta definitivi si verifichi, prenderà avvio quella nuova fase cautelativa di cui s'è detto, andante fino al deposito del successivo ed eventuale decreto di ammissione del Tribunale.
Escluso, dunque, che il ricorso sia di per sé, in caso di preconcordato, l'atto idoneo a far ritenere introdotta una procedura di concordato preventivo (potendo al più ritenersi introdotto appunto il preconcordato), ed anche a voler ipotizzare che “introdurre” il concordato preventivo non equivalga a dichiararlo aperto, comunque non si potrebbe ritenere introdotto un concordato preventivo prima del deposito di piano e proposta definitivi.
Infatti un conto è che, ove siano depositati questi ultimi o un accordo di ristrutturazione dei debiti, si conservino fino all'omologa gli effetti cautelativi che scaturiscono dalla pubblicazione del ricorso nel Registro delle Imprese; ben altro, invece, ritenere che l'introduzione del preconcordato (con il deposito del ricorso) equivalga ad introduzione del concordato preventivo, conclusione contraddittoria in se stessa, trattandosi di due procedimenti diversi.
Del resto, come poc'anzi accennato, la domanda cd. prenotativa di preconcordato ha un connaturato carattere di indeterminatezza, tanto da risultare declinabile - all'esito del termine concesso - anche quale domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione. Ne segue che il procedimento di concordato può reputarsi introdotto, a tutto voler concedere, solo con il deposito della proposta e del piano, che elidono il carattere di indeterminatezza della domanda.
Nella nozione di “procedimenti di concordato preventivo introdotti successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto” devono conseguentemente essere ricondotti tutti quei casi in cui, successivamente all'entrata in vigore della suddetta legge, il piano e la proposta concordataria siano stati depositati unitamente al ricorso ex art. 161, comma 1, l. fall., oppure, dopo l'avvio di un preconcordato, nel termine concesso dal Tribunale ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall.
Vi è peraltro anche una conferma indiretta di tale conclusione che deriva dal modus operandi delle stesse norme innovative.
Mentre, infatti, la disposizione intertemporale dell'art. 23 si esprime facendo riferimento, con taglio formale, ai “procedimenti di concordato introdotti”, viceversa l'art. 160, ultimo comma, fa riferimento, con taglio sostanziale, alla “proposta” (“In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”), e questo implica che senza proposta nemmeno si ponga il problema di quando possa trovare applicazione tale obbligo di pagamento.
Sappiamo del resto che entro il termine fissato dal Tribunale in sede di preconcordato il debitore può anche non presentare alcuna proposta o presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti e, in tale ipotesi, a maggior ragione non avrebbe senso discettare di applicazione della soglia, in quanto essa può riguardare solo i concordati (non in continuità).
La conclusione vale, sotto altro profilo, anche per la disciplina del voto espresso, che evidentemente può avere modo di porsi solo quando una “proposta” sia stata presentata, perchè è su di essa che deve votarsi, laddove, come si è appena osservato, in caso di preconcordato – che è un procedimento preliminare distinto - non vi è ancora alcuna proposta da votare, né è detto che essa poi effettivamente sopravvenga.

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