Concordato con continuità e liquidatorio dopo la riforma: elementi critici e proposte de iure condendo

16 Ottobre 2015

Dalla recente riforma del diritto della crisi d'impresa è scaturita un'accentuazione delle differenze della disciplina del concordato liquidatorio, da un lato, e di quello con continuità, dall'altro.

Dalla recente riforma del diritto della crisi d'impresa è scaturita un'accentuazione delle differenze della disciplina del concordato liquidatorio, da un lato, e di quello con continuità, dall'altro.

Determinare se un piano concordatario sia qualificabile o meno come “in continuità” diventa oggi rilevante, non soltanto per stabilire se si tratti di applicare o meno la disciplina specifica prevista dall'art. 186-bis e 182-quinquies, ora comma 6 l. fall., ma per definire una serie di altre importanti variabili tra le quali, principalmente, se il debitore sia o meno vincolato ad “assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”.
La prescrizione, presa alla lettera, e senza che paiano possibili diverse interpretazioni, impone il rispetto del limite di soddisfacimento del 20% nei casi in cui il piano non preveda la divisione dei creditori in classi, mentre pare consentire una distribuzione differenziata la cui media non sia inferiore al 20% dell'ammontare dei crediti chirografari qualora i creditori chirografari siano classati, restando inteso che il complesso delle risorse messe a disposizione debba essere non inferiore al venti per cento del totale dei crediti chirografari, comprensivo, ovviamente, degli eventuali crediti degradati al chirografo.
La prescrizione, inoltre, ha una rilevante ricaduta sistematica, dal momento che il concordato per cessio bonorum diventa, a pena di inammissibilità, di natura remunerativa, dovendo la proposta del debitore contenere un'obbligazione di natura necessariamente pecuniaria, e restando riservata a questo punto ai concordati con continuità aziendale la diposizione di cui all'art. 160, comma 1,lett. a), l. fall. (che detta il principio della cd. atipicità dei contenuti del piano, che consente di soddisfare i crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie).
Che poi l'obbligazione assunta sia vincolata al rispetto della percentuale minima prevista dalla legge, e non alla mera corresponsione di una qualsivoglia percentuale, così come sino a ieri è stato, lo si desume dalla norma di cui all'art. 161, comma 2, lett. e) (”in ogni caso la proposta deve indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”), donde la conclusione che ad omologazione intervenuta diviene risolvibile, su iniziativa del creditore, qualsiasi concordato in cui la percentuale indicata in proposta non sia rispettata, salvo la scarsa rilevanza dell'inadempimento, e quindi dello scostamento dalla percentuale cui il debitore si fosse, appunto, obbligato.
Le distinzioni non finiscono qui, poiché solo con un piano con continuità è possibile sottrarsi al rischio di una proposta concorrente, proponendo ai creditori chirografari una percentuale di soddisfacimento, attestata, non inferiore al 30 per cento e non quindi al 40 per cento, come previsto quando il piano sia per cessione dei beni.
Per le ragioni viste, la valutazione di ammissibilità giuridica cui il tribunale è chiamato al deposito della proposta di concordato diverge significativamente, a seconda che il concordato sia qualificabile in continuità o per cessio bonorum e poichè, sotto un certo profilo, le maglie della normativa sono divenute più larghe qualora il debitore intenda definire la sua crisi mantenendo la continuità dell'impresa, è a questo punto facile prevedere che risulterà esacerbato il dissidio, già esistente, tra i sostenitori della cd. continuità indiretta (che considerano applicabile la disciplina dell'art. 186-bis anche qualora il debitore affitti l'azienda nella prospettiva della cessione) e coloro che al contrario ritengono applicabile la disciplina della continuità ai soli casi in cui sia il debitore a proseguire l'impresa durante la procedura, o per risanare o per cedere l'azienda nella fase esecutiva del concordato.
Quel che pare certo è che la necessità, espressa dal legislatore della riforma, di ancorare il debitore ad un'obbligazione seria e vincolante nella prospettiva di un soddisfacimento della massa dei creditori non meramente simbolico o, come è stato in alcuni casi, farsesco, potrebbe risultare frustrata, ove il debitore abbia cura di presentare, nei tribunali che aderiscono alla tesi della continuità indiretta, un piano imperniato sull'affitto dell'azienda, e nei tribunale che adottano un'interpretazione più restrittiva dell'art. 186-bis l. fall., continuando a gestire l'impresa provvisoriamente e sino all'omologazione, per realizzare la fattispecie della continuità funzionale alla cessione dell'azienda, ad oggi certamente compresa nella sfera di applicazione dell'art. 186-bis l. fall.
Ma in realtà, in entrambi questi ultimi casi la natura giuridica del concordato non si discosta affatto da quella di un concordato che finisce per realizzare la cessione di tutto il patrimonio del debitore.
E' anche per queste ragioni che ritengo che il legislatore abbia perso l'occasione di elaborare una disciplina autonoma riservata esclusivamente al concordato con continuità pura o di risanamento (al più comprensiva delle ipotesi della cosiddetta continuità mista, in cui vi siano, da liquidare, beni esterni al perimetro aziendale e non funzionali alla prosecuzione), distinguendola da tutti gli altri casi che come detto rientrano, sotto un profilo strettamente giuridico, nel concordato per cessione dei beni.
La necessità di conservare al meglio le potenzialità di mantenimento sul mercato dell'azienda facente parte del patrimonio del debitore oggetto di cessione ai creditori potrebbe essere tutelata, quindi, anziché con un'ambigua e di dubbia utilità estensione della disciplina del concordato con continuità (di risanamento), con l'elaborazione, nell'ambito della disciplina riservata al concordato per cessione dei beni, di alcune norme applicabili esclusivamente al concordato per cessione di beni di cui sia parte un'azienda o un ramo d'azienda.

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