Nella prassi operativa del concordato preventivo è frequente il pagamento di crediti, anche risalenti nel tempo, il giorno antecedente o nell'imminenza del deposito del ricorso.
È notorio che, nella disciplina del concordato preventivo, il termine di riferimento per l'operatività del divieto di pagamento dei debiti è costituito dalla data di deposito del ricorso e non già dal compimento di atti allo stesso propedeutici ovvero dalla formalizzazione della relativa determina. Ciò alla luce dell'impostazione della Corte di Cassazione per la quale “il divieto, non espressamente sancito dal legislatore, si desume in modo univoco dal sistema normativo previsto per la regolamentazione degli effetti del concordato. L'art. 167 con la sua disciplina degli atti di straordinaria amministrazione comporta che il patrimonio dell'imprenditore in pendenza di concordato sia oggetto di una oculata amministrazione perché destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori secondo la par condicio. L'art. 168 nel porre il divieto di azioni esecutive da parte dei creditori, comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata, possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento, essendo in entrambi i casi violato proprio il principio di parità di trattamento dei creditori. L'art. 184 ancora nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dal sistema” (Cass., 12 gennaio 2007, n. 578, in Foro it., 2007, I, 2466. Nella giurisprudenza di merito, cfr., per tutti, Trib. Milano, 18 febbraio 2013, in unijiuris.it).
Detto inquadramento trova riscontro sul piano normativo - per il concordato in continuità - nell'art. 182-quinquies l. fall. che prevede che, sussistendone i requisiti, il pagamento dei creditori sorti prima del deposito del ricorso sia consentito solo previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
In questi termini, sembrerebbe che al debitore possa essere riconosciuta piena autonomia nel valutare e, dunque, decidere atti dispositivi del patrimonio prima del deposito del ricorso.
La sentenza n. 14552 del 26 giugno 2014 della Corte di cassazione offre, tuttavia, utili spunti di riflessione ai fini di un più compiuto inquadramento della questione.
In tale pronuncia la Corte ha avuto modo di prendere posizione sugli indici alla luce dei quali la condotta del debitore ante concordato può configurarsi come depauperativa del patrimonio sociale e, come tale, può risultare suscettibile di assumere rilevanza ai sensi dell'art. 173 l. fall., allorché non ne venga data adeguata rendicontazione nel ricorso. Nel caso di specie sono state considerate censurabili: a) l'operazione di distribuzione degli utili assunta “quando già incombeva lo stato di crisi economico-finanziaria” (e, come tale, è stata ritenuta espressamente “depauperativa del patrimonio della società”); b) nonché la sottoscrizione di un accordo transattivo che comportava una penale ritenuta “ingiustificata in relazione alle opere non eseguite e ai difetti contestati” al debitore, a fronte della “falcidia drastica del compenso maturato” per determinati lavori (a cui si aggiungeva la mancata menzione di crediti, ancorché contestati).
Si noti che la S. Corte ha ritenuto che tali operazioni integrassero gli estremi per la revoca del concordato ex art. 173 l. fall. in ragione del “silenzio mantenuto” in ordine alle stesse, considerando tale “comportamento reticente … ostativo al consenso informato del ceto creditorio” e, dunque, espressione di un “disegno volto a pregiudicare il ceto creditorio e non disvelato ab initio”.
Ciò detto, le operazioni in parola sono state censurate – sotto il profilo oggettivo - in ragione: (i) della incompatibilità con la situazione di crisi del debitore (distribuzione dell'utile); (ii) delle condizioni intrinseche atte a determinare un ingiustificato effetto pregiudizievole (accordo transattivo).
In questi termini non si dovrebbe essere lontani dal vero nel ritenere che anche il pagamento di crediti nell'imminenza del deposito del ricorso possa risultare – quantomeno in via principio – suscettibile di assumere rilevanza ai fini della revoca ex art. 173 l. fall. allorché non appaia adeguatamente giustificato alla luce della situazione economico-finanziaria del debitore ovvero della controprestazione, come può risultare nel caso di crediti risalenti nel tempo ovvero (stante i recenti orientamenti in materia) nel caso di acconti, non proporzionati all'attività effettivamente svolta, in favore dei professionisti che assistano il debitore medesimo.
Ne consegue l'esigenza che i pagamenti di crediti nell'imminenza del deposito siano, in ogni caso, analiticamente rendicontati nel ricorso (possibilmente) illustrando le ragioni che li hanno determinati), in modo da scongiurare ogni eventuale rischio di revoca ex art. 173 l. fall..
Un'ultima notazione: nella valutazione circa l'esigenza di procedere con il pagamento dei crediti nell'imminenza del deposito del ricorso occorre sempre tener presente che la questione potrebbe assumere rilevanza anche ai fini della normativa penale ex art. 236 l. fall. .