Colpevolezza nel reato di "falso in attestazioni e relazioni"

Alessio Lanzi
10 Dicembre 2014

Nel giugno dell'anno in corso, a cura di numerose Istituzioni e Associazioni professionali, sono stati formulati e presentati dei "Principi di attestazione dei piani di risanamento" che "codificano" i "criteri" e i "canoni" che dovrà (rectius: dovrebbe) seguire il professionista nelle relazioni e attestazioni previste per l'ammissione alle varie procedure alternative al fallimento (quelle di cui agli articoli 67, comma 3, lett. d); 161, comma 3; 182-bis; 182-quinquies e 186-bis della l. fall.).

Nel giugno dell'anno in corso, a cura di numerose Istituzioni e Associazioni professionali, sono stati formulati e presentati dei "Principi di attestazione dei piani di risanamento" che "codificano" i "criteri" e i "canoni" che dovrà (rectius: dovrebbe) seguire il professionista nelle relazioni e attestazioni previste per l'ammissione alle varie procedure alternative al fallimento (quelle di cui agli articoli 67, comma 3, lett. d); 161, comma 3; 182-bis; 182-quinquies e 186-bis della l. fall.).
E' evidente che una siffatta "disciplina" non può che rilevare nella prospettiva dell'applicazione della fattispecie di cui all'art. 236-bis l. fall. (delitto di "falso in attestazioni e relazioni"), specie per quanto concerne l'individuazione della colpevolezza rilevante.
A tal proposito, va premesso che si tratta di un delitto esclusivamente doloso, in particolare a dolo generico (nell'ipotesi di cui al primo comma; mentre un dolo specifico di ingiusto profitto è previsto unicamente in relazione alla ipotesi di cui al secondo comma, con la conseguenza della comminatoria di un aggravamento della sanzione).
Trattandosi poi di un reato di falso, privo di evento naturalistico, tale dolo dovrà connotarsi nella consapevolezza della falsità.
E qui sorge il problema pratico più rilevante nella prospettiva della colpevolezza di tale illecito, dal momento che - come ormai, ed ovviamente, da più parti rilevato - a tal fine si farà anche ricorso alla prospettiva del c.d. "dolo eventuale".
In termini concreti e pragmatici si dovrà poter affermare che il professionista ha formulato quella attestazione rappresentandosi la prospettiva che la stessa non sia veritiera, ma ciononostante agendo e così "accettando il rischio" della falsità di tale attestazione.
Orbene, pur così "semplificata" la questione, è chiaro come proprio l'individuazione di un dolo eventuale presenti non pochi problemi interpretativi e applicativi.
Ferme restando numerose opinioni dottrinali secondo le quali il "dolo eventuale" dovrebbe comunque confrontarsi con un evento naturalistico, e non essere quindi "consono" a reati di pura condotta, va realisticamente notato che la giurisprudenza (e prima ancora le procure) certo individuerà (individueranno) la colpevolezza del reato in esame anche nelle manifestazioni di un dolo eventuale.
In relazione a ciò è comunque bene premettere che quest'ultimo, quale che ne sia l'esatta matrice, corrisponde pur sempre ad una manifestazione dolosa, ancorata dunque ai temi della "rappresentazione" e della "volizione" del fatto tipico; con la peculiarità, rispetto al dolo non eventuale (diretto e/o intenzionale), che la volizione non è puntualmente in linea con la fattispecie materiale, ma rispetto ad essa è indiretta (o obliqua), tanto da potersi ritenere che si sarebbe comunque agito pur nella consapevolezza del risultato e/o del fatto tipico (c.d. formula di Frank).
Come poi spesso accade nelle questioni giuridiche, un tema lo si delinea per comparazione e per delimitazione; ed anche qui, come è noto, l'istituito "dolo eventuale" trae la propria essenza dalla differenza con la contigua ipotesi della "colpa cosciente" (con previsione dell'evento; ex art. 61 n. 3 c.p.) tanto da identificare come "zona grigia" quello spazio che delimita le due figure e nel quale le stesse quasi si confondono.
Orbene, se tutto ciò, da un lato, potrebbe anche rafforzare la "classica" opinione del dolo eventuale solo nei reati con evento naturalistico (chè, infatti, unicamente per questi ultimi ha senso parlare di "colpa cosciente"), dall'altro impone però una delimitazione ed individuazione anche strutturale fra i due istituti (dolo eventuale e colpa con previsione).
In relazione a ciò va sottolineata la fondamentale differenza - non solo di struttura, ma anche di accertamento - che fra di essi esiste: il dolo è rappresentazione e volizione (dell'evento e/o del fatto tipico); la colpa consiste nella violazione di una regola "cautelare" (scritta o non scritta) di comportamento, tanto da potersene ricavare l'esistenza proprio in chiave normativa.
Mentre per il dolo è richiesta una effettiva indagine di carattere psicologico (concentrata anche sulla volizione del risultato), nella colpa ci si basa solo su una ricostruzione di carattere normativo: violazione di una regola cautelare non scritta, per la colpa generica; violazione di una regola cautelare scritta in "leggi, regolamenti, ordini o discipline" (art. 43, comma 3), per la colpa specifica.
Già da tempo si è segnalato, fra gli Autori, il rischio di una ricostruzione normativa anche per il dolo - "inclinazione" applicativa che prende sempre più piede, specie nel diritto penale dell'economia - col risultato di giungere ad una sorta di "presunzione di dolo" (si veda, M. Caterini, Il dolo eventuale e l'errore su norma extrapenale nei reati di falso ideologico, ne l'Indice Penale, 2007, 118).
In un tale scenario, che non è ancora sfociato in precedenti giurisprudenziali specifici, ma che si va tracciando negli studi destinati alla fattispecie in esame (si veda G. Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell'art. 236-bis L.F., ne l'Indice Penale, 2014, 127), si inseriscono dunque i "Principi di attestazione dei piani di risanamento" sopra richiamati.
Essi, infatti, oltre all'indubbio valore di carattere operativo che rivestono, consentono anche di tracciare le linee guida delle attività professionali richieste ed attese; fissando così, a livello normativo, delle regole cautelari scritte cui il professionista si dovrebbe attenere per svolgere un compito non passibile di essere valutato criticamente e apostrofato negativamente.
Così impostata la questione, è indubbio che la violazione di tale "disciplina" riveste una indubbia rilevanza, ben potendosi inquadrare il tema della inosservanza di quelle regole scritte nel quadro della colpa specifica.
In pratica, grazie ad una ricostruzione in chiave normativa, si potrebbe senza dubbio ritenere "colpevole" il comportamento del professionista attestatore che vìola quelle regole di comportamento, ed inserirlo così nello schema della colpa specifica (o normativa).
Una tale considerazione e collocazione, però, consentirebbe di restringere fortemente, nella specie, l'impiego dell'istituto del dolo eventuale, ritenendosi assorbite dalla manifestazione colposa tutte quelle condotte in cui sono violate le regole esposte nella disciplina ad hoc rappresentata nei "Principi".
Il dolo eventuale, frutto di una valutazione ed individuazione in chiave psicologica degli elementi della rappresentazione e volizione (seppur indiretta) del falso (attivo od omissivo richiesto dalla norma), sarebbe così confinato ad ipotesi marginali di macroscopica assenza di professionalità (Recentemente, si è parlato di un criterio di "ragionevolezza qualificata" al quale si dovrebbe attenere l'attestatore; così D. Piva, Vecchie soluzioni per nuovi problemi nella falsa attestazione del professionista, in penalecontemporaneo.it, 15 ottobre 2014, 13 s.).
Fra queste, il caso più eclatante dovrebbe essere quello di chi sottoscrive una dichiarazione (ciò che le Associazioni professionali stanno consigliando di fare) di essersi attenuto ai "Principi" sopra richiamati senza però averlo in realtà fatto.
In ogni caso, svolgeranno pur sempre un ruolo fondamentale i c.d. "indici o segnali di allarme" al cui verificarsi, ed essendone a conoscenza, l'attestatore dovrà attivarsi di conseguenza per verificare la veridicità di quanto attestato nella relazione.
Ma, a ben vedere, l'individuazione di un dolo eventuale, in tali casi, si fonda su un accertamento della necessaria rappresentazione della volizione, almeno indiretta, del fatto tipico, senza così trascendere in temi e scenari di ricostruzione del dolo eventuale in chiave normativa, più consoni alla colpa che non al dolo.

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