Nel consentire la nomina a curatore fallimentare degli studi associati e delle società tra professionisti, l'art. 28 l. fall. richiede che, all'atto di accettazione dell'incarico, venga designata la persona incaricata dell'esercizio delle attribuzioni dell'ufficio quale “responsabile della procedura”.
In altra sede (Studi associati e società tra professionisti curatori fallimentari, in Riv. Dir. fall., 2010) ho avuto modo di affrontare la questione del se, tale designazione, implichi l'assoggettamento ad un regime di responsabilità assimilabile a quello stabilito dall'art. 26 D.Lgs. n. 96/2001, che, con riferimento alle società tra avvocati, stabilisce che "il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico” (in senso favorevole, cfr., per tutti, F. Serao, Il curatore, in Il Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, 1, 316; M. Cataldo, Il controllo sugli atti del curatore ed il regime della responsabilità, in Fall. 2007, 1014, nota 2).
Ora, quella introdotta per la società tra avvocati costituisce una deroga alle norme sulla responsabilità della società in nome collettivo, posto che esclude tutti gli altri soci dalla responsabilità illimitata e solidale, prevista nel regime ordinario.
Detta deroga non è stata riproposta anche per altre società e associazioni professionali e, per conseguenza, alle stesse non può che trovare applicazione il regime normativo del modulo organizzativo prescelto.
Il fatto che il legislatore qualifichi il professionista incaricato dell'esercizio delle attribuzioni del curatore come “responsabile” della procedura costituisce un argomento troppo debole per giustificare una modifica del regime della responsabilità sociale, tanto più se alla stessa consegue una limitazione della responsabilità degli altri soci in pregiudizio delle ragioni della procedura.
Tali considerazioni, a mio avviso, mantengono la loro validità anche avendo riguardo alla vigente disciplina in materia di società professionali (legge n. 183/2011), che omette di introdurre la responsabilità personale del socio professionista incaricato di eseguire la prestazione.
Quest'ultima, invece, era stata prevista dalla legge n. 247/2012 per la società tra avvocati. Nel demandare ad un successivo decreto legislativo la disciplina della società (la delega non è stata poi esercitata, con la conseguenza che, stando all'indirizzo prevalente, oggi l'esercizio della professione forense in forma societaria continua ad essere regolato dal sopra citato D.Lgs. n. 96/2011), l'art. 5 aveva stabilito che si dovesse “prevedere che la responsabilità della società e quella dei soci non escludano la responsabilità del professionista che ha eseguito la prestazione” (comma 2, lett. f).
Tornando alla disciplina delle società tra professionisti ex lege n. 183/2011, in carenza di una espressa deroga in ordine al regime della responsabilità del professionista incaricato della prestazione, è a mio avviso da ritenersi che la stessa sia regolata in base alle norme del codice civile, con la conseguenza che la responsabilità grava, in via diretta, solo in capo alla società in quanto parte del rapporto contrattuale con il cliente/committente e, ricorrendone i presupposti, in via sussidiaria nei confronti dei soci illimitatamente responsabili secondo il regime proprio del tipo societario adottato (contra P. Montalenti, Società tra professionisti, società tra avvocati, associazioni professionali: la montagna e il topolino, in Giur. comm., 2014, I, 281. Cfr., altresì, E. Codazzi, La “società tra avvocati” e dintorni: qualche considerazione in tema di disciplina applicabile alla luce dei principi di liberalizzazione dei servizi professionali, in orizzontideldirittocommerciale.it, 13).
Un'ultima notazione. Nel regolamento di esecuzione (D.M. n. 34/2013) l'art. 5, comma 1, prevede che “nell'esecuzione dell'incarico ricevuto, il socio professionista può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, della collaborazione di ausiliari e, solo in relazione a particolari attività, caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili, può avvalersi di sostituti”.
La norma evoca la disposizione dell'art. 2232 c.c., che consente al professionista, nell'ambito del contratto d'opera intellettuale, di “valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituiti ed ausiliari”.
Vero è, però, che l'art. 5 è destinato a regolare il regime di responsabilità non già rispetto al cliente, ma nei confronti della società. Ai sensi dell'art. 10, comma 4, lett. c), della legge delega, il rapporto professionale si instaura con la società, che è tenuta ad eseguirlo per il tramite di un socio professionista. Ne deriva che, in carenza di una norma di rango primario che deroghi alla disciplina societaria al fine di introdurre un regime di responsabilità diretta nei confronti del cliente del socio chiamato ad eseguire la prestazione, l'art. 5 è destinato a disciplinare le modalità di esecuzione dell'incarico sul piano endo-societario al fine di assicurare la prestazione anche nel caso di esigenze sopravvenute e non prevedibili che ne impediscano l'esecuzione personale da parte del socio professionista.