Si discute della utilizzabilità delle perdite fiscali pregresse da parte di un'impresa (già) sottoposta alla procedura di concordato preventivo, che abbia usufruito della detassazione del “bonus concordatario”.
Nella nozione fiscale di sopravvenienza attiva rientra certamente la riduzione dei debiti dell'impresa derivante dall'omologazione del concordato preventivo (usualmente denominata “bonus da concordato”), corrispondente alla differenza tra l'ammontare dei crediti alla data di apertura della procedura e l'importo degli stessi che il debitore è obbligato a soddisfare in dipendenza dell'omologazione del concordato. Conseguentemente, ai sensi del comma 1 dell'art. 88 del TUIR, essa dovrebbe in astratto concorrere a formare il reddito d'impresa imponibile ai fini dell'IRES, atteso che tale norma qualifica sopravvenienza attiva la sopravvenuta insussistenza di passività iscritta in bilancio. Ciononostante, già prima della emanazione del TUIR, l'imponibilità del bonus da concordato era stata confutata sia dalla giurisprudenza sia da buona parte della dottrina, principalmente in ragione dell'assenza di un effettivo arricchimento patrimoniale dell'impresa debitrice prodotto dalla suddetta riduzione dei debiti, e, dopo un lungo periodo caratterizzato da controversie tra Fisco e contribuenti, tale questione interpretativa è stata risolta con l'introduzione nell'art. 55, comma 4, TUIR (ora art. 88, comma 4) di una specifica disposizione, in forza della quale, ai fini delle imposte sui redditi, non si considera sopravvenienza attiva “la riduzione dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo”.
La disposizione testé citata si applica pacificamente con riferimento a tutti i tipi di concordato preventivo, posto che essa si limita a richiamare semplicemente la procedura di concordato preventivo, senza alcun riferimento ad una forma o ad una modalità specifica di esecuzione della stessa. Pertanto, il comma 4 dell'art. 88 trova applicazione anche con riguardo alla remissione dei debiti nell'ambito di una procedura di concordato preventivo che non produca alcuno spossessamento e non si concluda con la cessazione dell'attività d'impresa, ma con la sua continuazione da parte dell'imprenditore tornato in bonis.
In merito alla ratio di tale disposizione, nella relazione di accompagnamento allo schema di Testo Unico predisposta dalla apposita commissione parlamentare si precisava quanto segue: “non rientrano tra le sopravvenienze attive la riduzione dei debiti in sede di concordato fallimentare … o di concordato preventivo con cessione dei beni a creditori … Il concetto di sopravvenienza, infatti, presuppone la continuazione dell'impresa e la determinazione del reddito in base al bilancio, che nelle ipotesi in esame non si verificano”. Sulla base di tale precisazione il legislatore del TUIR, in conformità con quanto rappresentato dapprima da una parte della dottrina e dalla giurisprudenza, ha preso atto dell'assenza di un indice di capacità contributiva nella riduzione dei debiti in sede di concordato con cessione dei beni (pur costituendo essa indubitabilmente una insussistenza del passivo), giacché, per effetto dell'omologazione del concordato, tale tipo di procedura si chiude con lo spossessamento dei beni in capo al debitore e senza alcun arricchimento patrimoniale per quest'ultimo. Con riguardo a questo particolare tipo di esecuzione del concordato, alla previsione legislativa va quindi attribuita natura interpretativa, in quanto esplicativa di un principio generale immanente nell'ordinamento tributario, avente lo scopo di eliminare ogni contrasto in ordine al trattamento fiscale di detta insussistenza, anche alla luce della posizione contraria fino a quel momento assunta dall'Amministrazione Finanziaria.
Il legislatore ha tuttavia esteso tale trattamento anche ai concordati preventivi diversi da quelli con cessione dei beni, indipendentemente dal fatto che essi producano uno spossessamento, per le ragioni precisate nella relazione di accompagnamento allo schema di Testo Unico: “nel caso del concordato preventivo senza cessione dei beni, ... la riduzione dei debiti chirografari costituisce certamente sopravvenienza in base al primo bilancio successivo: tuttavia si è ritenuto di escluderne la tassabilità inserendo una norma espressa, allo scopo di non rendere più difficoltoso il concordato stesso”.
Dagli atti parlamentari emerge, dunque, che l'irrilevanza fiscale della riduzione dei debiti in sede di concordato senza cessione dei beni consiste in una vera e propria agevolazione concessa dal legislatore tributario, che ha volontariamente rinunciato ad un prelievo che altrimenti sarebbe stato dovuto in base alle regole generali.
La ratio della detassazione del bonus da concordato senza cessione dei beni è da rinvenire in ragioni pratiche, ovverosia nella volontà di facilitare il ricorso e la positiva conclusione di tale tipo di procedura, evitando il conseguimento di un reddito imponibile (derivante dall'eventuale tassazione dell'insussistenza del passivo) a carico dell'impresa concordataria e, quindi, la debenza, in via privilegiata, di imposte sul reddito che andrebbero ad appesantire il passivo da estinguere e a ridurre le percentuali di soddisfazione degli altri crediti. È infatti evidente che, se l'entità dei crediti estinti a seguito dell'omologazione del concordato dovesse concorrere alla formazione del reddito imponibile, le imposte sui redditi derivanti dalla tassazione di detta insussistenza di passivo inciderebbero sul fabbisogno del concordato stesso in misura direttamente proporzionale a quella della “falcidia concordataria”, disincentivando il ricorso a tale procedura, che risulterebbe per tale motivo più svantaggiosa del concordato con cessione dei beni, con riguardo al quale la detassazione trae origine – come detto – da fattori strutturali.
Per quanto esposto, la sopravvenienza attiva generata dalla riduzione di debiti non concorre a formare il reddito imponibile nell'ambito di qualsiasi tipo di concordato preventivo e senza alcuna limitazione: depongono in questo senso la chiara lettera della norma e l'indicata ratio della stessa.
A nulla rileva il fatto che il legislatore, con l'art. 33, comma 4, del D.L. n. 83/2012, abbia stabilito con riguardo agli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell'art. 182-bis l. fall. e dei piani attestati di cui all'art. 67 l. fall., che non concorre a formare il reddito imponibile la sola parte delle sopravvenienze attive derivanti da tali accordi “che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'articolo 84”, con la conseguenza che tali perdite non possono essere successivamente utilizzate per la parte impiegata per neutralizzare le sopravvenienze insorte per effetto della riduzione dei debiti generata dalla omologazione dell'accordo di ristrutturazione o dell'attuazione del piano.
Tale limitazione ha evidentemente ad oggetto solo le sopravvenienze attive generate da accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l. fall. (oltre che da quelli connessi al piano attestato di cui all'art. 67 l. fall.), atteso - sul piano letterale - che essa è prevista solo in merito a questi istituti e non anche a quello del concordato preventivo e che – quanto alla ratio – il legislatore , come si è già esposto, ha voluto evitare di assoggettare le sopravvenienze derivanti dai concordati senza cessione dei beni a un trattamento più oneroso di quello cui sono soggette le riduzioni di debiti discendenti da concordati con cessione dei beni, allo scopo di non penalizzare un tipo di procedura rispetto all'altro. E, non v'è dubbio che, se la disciplina delle sopravvenienze attive dipendenti dagli istituti di cui all'art. 182-bis l. fall e 67 l. fall. fosse applicabile anche ai concordati senza cessione dei beni, questi ultimi subirebbero un trattamento penalizzante rispetto a quelli con cessione dei beni. Né tale disparità di trattamento potrebbe essere eliminata estendendo a quest' ultimo tipo di concordato il regime delle sopravvenienze applicabile con riguardo agli istituti di cui agli artt. 182-bis e 67 l. fall., poiché, come risulta dai lavori preparatori del TUIR, la “detassazione” delle sopravvenienze di cui trattasi ha – con riguardo a tale procedura – natura di esclusione e non di agevolazione, derivando dall'applicazione dei principi del TUIR e non essendo il frutto di una deroga a tali principi; per il che tale estensione risulterebbe ingiustificabile. Si tratta del resto di fattispecie diverse, non equiparabili sotto il profilo fiscale, come l'Agenzia delle Entrate ha affermato a giusta ragione in passato con riguardo all'applicazione proprio della detassazione prevista dall'art. 88, comma 4, del TUIR a fattispecie diverse da quelle espressamente menzionate da quest'ultima norma, pervenendo alla conclusione – prima dell'emanazione del D.L. n. 83/2012 – che la “detassazione“ delle sopravvenienze, all'epoca prevista solo con riguardo al concordato, non potesse essere estesa all'accordo di ristrutturazione dei debiti.
Ciò non significa che, per ragioni di coerenza e sistematicità, non sarebbe corretto prevedere un unico regime fiscale del bonus da esdebitazione indipendentemente dal fatto che esso si realizzi nel concordato ovvero per effetto degli istituti di cui agli artt. 182-bis e 67 l. fall.; ma allo stato così non è.