Moratoria per il concordato in continuità: ambito di applicabilità e mancato riconoscimento del diritto al voto

12 Giugno 2014

Tra le norme che nell'intenzione del legislatore integrano un aiuto all'imprenditore in crisi, nel percorso verso una soluzione concordataria che garantisca la conservazione ed il risanamento dell'impresa, v'è quella di cui all'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall., secondo cui il piano può "...prevedere, fermo quanto disposto dall'art. 160, comma 2, una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto".

Tra le norme che nell'intenzione del Legislatore integrano un aiuto all'imprenditore in crisi, nel percorso verso una soluzione concordataria che garantisca la conservazione ed il risanamento dell'impresa, v'è quella di cui all'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall., secondo cui il piano può "...prevedere, fermo quanto disposto dall'art. 160, comma 2, una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto".
La norma viene variamente interpretata ed applicata, rappresentando per tale ragione uno dei più grossi punti problematici della disciplina del concordato con continuità aziendale.
Una sua lettura meditata e supportata dalle complicazioni pratiche derivanti ipotesi interpretative alternative a quella di seguito suggerita, induce a sostenere che la deroga venga incontro all'imprenditore che voglia pianificare la gestione della crisi con la prosecuzione diretta e a tempo indeterminato dell'attività d'impresa, previo mantenimento della titolarità dei beni necessari alla continuità, beni quindi che restano esclusi dalla cessione finalizzata al soddisfacimento dei creditori.
La mancata liquidazione di tali beni (integranti l'azienda, o un determinato ramo d'azienda), esclude quindi che possa valere il principio generale che nelle procedure concorsuali àncora il soddisfacimento del credito privilegiato, nei limiti della capienza, alla vendita del bene o dei beni sui quali il privilegio insiste.
Tale principio generale, esplicitato nella parte della norma che esclude l'operatività della moratoria quando “…sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”, trova applicazione, oltre che nel caso in cui sia prevista la liquidazione dei beni non funzionali alla continuità (cd. continuità mista), anche nella seconda delle due ipotesi di continuità aziendale, quella dell'esercizio provvisorio dell'impresa funzionale alla sua successiva cessione a terzi; di qui la conclusione che l'applicazione della moratoria vada riservata alla sola ipotesi di continuità diretta e a tempo determinato e limitatamente a quei privilegi che, in quando riferiti a beni non oggetto di cessione nell'interesse dei creditori, non possono trovare soddisfacimento nei tempi coincidenti con quelli della vendita.
Ciò posto, l'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall. risolve il problema di stabilire entro quali termini vada soddisfatto il creditore assistito da una causa di prelazione che insiste su beni non oggetto di liquidazione, risolvendolo con il principio secondo cui detti crediti vadano soddisfatti, sempre nei limiti della capienza del bene, per quanto non ceduto (e il cui valore di mercato andrà attestato, ricorrendone i presupposti, ex art. 160, comma 2, l. fall.), entro un anno decorrente dal momento dell'omologazione.
Resta da decriptare la previsione secondo la quale "…in tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto".
Riferendo la previsione all'ipotesi di applicazione della moratoria (e non all'ipotesi in cui sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione), come pare corretto non certo sulla base del dato letterale, bensì applicando regole di buon senso, la precisazione potrebbe avere un duplice e alternativo, difforme significato: quello di escludere il diritto al voto del creditore nonostante il ritardo nel pagamento, comunque compensato dalla necessaria corresponsione degli interessi legali; quello di escludere l'attribuzione del diritto di voto nonostante il mancato pagamento degli interessi, che in tal caso si arresterebbero al momento dell'omologazione.
Quest'ultima opzione sembra preferibile, conferendo ragion d'essere ad una previsione che non avrebbe molto senso se riferita ad una fattispecie concreta caratterizzata comunque dall'integralità del soddisfacimento del privilegiato, e dalla conseguente indifferenza di quest'ultimo rispetto alla proposta concordataria.
Nessuno dubita, infatti, in merito al fatto che il creditore privilegiato pagato integralmente, interessi compresi, al momento della vendita del bene sul quale il suo privilegio insiste, non abbia diritto di voto, e per tale ragione nessuna norma specifica che tale creditore non debba essere considerato quale avente diritto al voto.
Se così fosse, pertanto, il significato complessivo della norma in commento, alla luce dell'ultimo periodo dell'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall., invero assai poco chiaro e mal formulato, sarebbe quello di concedere al debitore una moratoria sino ad un anno dall'omologazione, senza che ciò sia accompagnato dall'obbligo di corresponsione degli interessi per il periodo successivo all'omologazione e senza che da ciò debba discendere il riconoscimento, ai creditori privilegiati, del diritto di voto per quella parte di credito falcidiata dal decorso del tempo non accompagnata, appunto, dalla corresponsione degli interessi.

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