La prededuzione nel concordato preventivo dopo la conversione del decreto “Destinazione Italia”

20 Marzo 2014

L'art. 11, comma 3-quater, del D.L. n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014 stabilisce che: “la disposizione di cui all'art. 111, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell'art. 161, sesto comma l. fall. sono prededucibili alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell'art. 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161 sesto comma”.

L'art. 11, comma 3-quater, del D.L. n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014 stabilisce che: “la disposizione di cui all'art. 111, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell'art. 161, sesto comma l. fall. sono prededucibili alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell'art. 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161 sesto comma”.
La norma prevede quindi che il credito sorto quale prededucibile, secondo la prospettazione compiuta ex ante dal debitore, necessaria anche per quantificare la sua complessiva esposizione debitoria e, quindi, le risorse disponibili per il soddisfacimento dei creditori concorsuali, sia soggetto ad una verifica ex post della sua oggettiva utilità per la procedura.
L'esito negativo di tale verifica consegue a due circostanze che, in quanto oggettive, sono facilmente rilevabili: la mancata presentazione nei termini concessi dal tribunale di piano, proposta e degli altri documenti previsti dall'art. 161, commi 2 e 3; la mancata ammissione del debitore ricorrente al concordato.
Chi critica la novità normativa, evidenziando come essa, togliendo stabilità al riconoscimento della prededuzione ai crediti sorti “in occasione o in funzione”, finisce con lo scoraggiare fortemente l'auspicato e auspicabile ricorso al concordato ed in specie a quella forma di concordato disciplinata dall'art. 186-bis e 182-quinquies, comma 4, l. fall., non tiene conto di alcuni elementi di valutazione che in qualche misura svuotano l'apparente novità e problematicità della disposizione interpretativa.
Quando si verifica uno qualsiasi dei due eventi indicati dal legislatore-interprete, alla dichiarazione di improcedibilità della domanda o di inammissibilità della proposta possono conseguire tre distinti eventi giuridici: il ritorno in bonis del debitore non seguito da un'altra procedura concorsuale; il ritorno in bonis del debitore seguito, dopo un significativo lasso di tempo, da una nuova procedura concorsuale; infine il fallimento in consecuzione.
Il primo caso si realizza sia quando il debitore esce dalla crisi per un evento favorevole sopravvenuto, quale può essere l'iniezione di nuove risorse imputabile a nuovi ingressi nella compagine sociale, sia qualora il debitore definisca la crisi con strumenti alternativi alle procedure concorsuali (accordi stragiudiziali, il piano di risanamento di cui all'art. 67 lett. d) l. fall., gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall.).
In tale ipotesi non si pone evidentemente alcun problema, posto che il credito sorto come prededucibile troverà soddisfacimento integrale o ridotto, ma in quest'ultimo caso sempre sulla base di una libera negoziazione tra le parti.
Il temporaneo ritorno in bonis seguito (dopo un lasso di tempo apprezzabile e quindi tale da escludere la sostanziale contestualità tra arresto del preconcordato e fallimento) da una nuova procedura concorsuale, fallimento o concordato preventivo che sia, esclude che in quest'ultima sia riconoscibile la prededuzione maturata nella precedente procedura, per la semplice ragione che con la pubblicazione nel registro delle imprese della nuova domanda di concordato (che in tale ipotesi dovrà essere obbligatoriamente accompagnata da tutti i documenti accessori) e con la dichiarazione di fallimento si apre un nuovo concorso dei creditori, donde la necessaria partecipazione allo stesso da parte di tutti i crediti sorti in epoca anteriore, ivi compresi quelli considerabili preceducibili in quanto occasionali o funzionali alla procedura che tuttavia, essendo stata dichiarata inammissibile o improcedibile, va considerata tamquam non esset.
Resta l'ipotesi in cui venga dichiarato il fallimento in consecuzione.
Che in sede di verifica dei crediti il giudice delegato debba valutare il requisito della funzionalità (all'interesse della massa dei creditori) del credito sorto come prededucibile a posteriori, previa verifica della concreta ed effettiva utilità della prestazione che ha generato il credito, è argomento certamente sostenibile a prescindere dall'intervento legislativo in questione; di qui la conclusione inevitabile che la mancata presentazione di piano e proposta nei termini, o la mancata emissione del decreto di amissione escludano, per fatti concludenti, il requisito della funzionalità, inteso come utilità per la massa dei creditori.
Tirando le fila del discorso, non pare quindi che la norma interpretativa possa aver mutato il corretto quadro interpretativo preesistente.
Ne consegue che, nella sostanza, le prospettive di concreto utilizzo dello strumento concordatario devono ritenersi invariate.
V'è da chiedersi, piuttosto, se agli eventi negativi contemplati espressamente dalla disposizione interpretativa scaturita dal decreto “Destinazione Italia” sia possibile aggiungere quello della revoca, ex art. 173 l. fall., del decreto di ammissione già emesso.
A tal proposito, l'obiezione fondata sull'inammissibilità di un'operazione ermeneutica estensiva, o analogica, da operarsi su una norma interpretativa, che in quanto tale escluderebbe dalla sua sfera di operatività tutte le ipotesi da essa stessa non espressamente contemplate, dovrebbe recedere a fronte di un rilievo meno formale, imperniato sulla equivalenza (sostanziale, appunto) tra l'ipotesi in cui il decreto di ammissione ex art. 163 l. fall. non intervenga ab origine e l'ipotesi in cui il decreto stesso venga revocato a causa del successivo accertamento di cause di inammissibilità riconducibili alla previsione dell'art. 173 l. fall.

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