Aumento di capitale con esclusione del diritto d'opzione
11 Aprile 2016
Inquadramento
La frazione di capitale sociale che trova corrispondenza nel numero delle azioni (nella s.p.a.) o nella consistenza della quota sociale (nella s.r.l.) di cui il socio è titolare rappresenta quantitativamente la misura dei diritti amministrativi e patrimoniali del socio stesso. Pertanto, un aumento del capitale sociale non accompagnato da un proporzionale aumento del numero di azioni possedute o della consistenza della quota sociale sottoscritta, avrebbe come effetto una corrispondente riduzione della misura di tali diritti, alterando la posizione del singolo socio nell'ambito della compagine sociale ed intaccando il valore patrimoniale effettivo della sua partecipazione.
Per evitare simili alterazioni, nel caso di aumento gratuito del capitale sociale è previsto che l'aumento debba essere proporzionalmente sottoscritto da tutti i precedenti soci (art. 2442, commi 2 e 3, c.c., con riguardo alla S.p.A.; art. 2481-ter, comma 2, c.c., con riguardo alla S.r.l.). In tal modo, il passaggio di riserve a capitale non dà luogo ad alcuna alterazione nella composizione della compagine sociale e nella misura dei diritti spettanti a ciascun socio. Nel caso di aumento effettivo del capitale, invece, la regola non è così rigida.
In linea di principio è sempre previsto che le nuove azioni o quote debbano essere offerte in sottoscrizione con priorità ai soci già presenti, in proporzione alla loro partecipazione. Tuttavia, il diritto dei soci di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione dell'aumento di capitale (che, nell'ambito delle S.p.A., l'art. 2441 c.c. indica come “diritto di opzione” e, nell'ambito delle S.r.l., l'art. 2481-bis, qualifica “diritto di sottoscrizione”) può essere limitato o escluso del tutto laddove ciò sia reso necessario dal perseguimento di un interesse sociale. In tali casi, però, è necessario contemperare l'interesse sociale, che ha richiesto di escludere il diritto di opzione, con gli interessi dei soci, che da tale esclusione potrebbero essere pregiudicati. La disciplina dettata per l'aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione si fa carico proprio di contemperare tali interessi. Nel caso di aumento di capitale a pagamento, l'interesse dei soci alla sottoscrizione delle nuove azioni può fondarsi su una pluralità di ragioni: mantenere inalterata la quota dei propri diritti amministrativi e patrimoniali nella società; mantenere intatto il valore reale della propria partecipazione sociale, impedendo che altri possano sottoscrivere nuove azioni ad un prezzo inferiore al valore effettivo delle azioni già in circolazione; impedire che nuovi soci partecipino ad eventuali distribuzioni di utili prodotti in esercizi precedenti e mantenuti nella società sotto forma di riserve. Nella disciplina delle S.p.A. tali interessi sono tutelati mediante la previsione del diritto di opzione, attribuito agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili in azioni (nel testo si farà generico riferimento al diritto di opzione riconosciuto ai soci, fermo restando che il riferimento deve intendersi effettuato anche ai titolari di obbligazioni convertibili ).
L'art. 2441 c.c. stabilisce, al primo comma, che le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute, ovvero ai possessori di obbligazioni convertibili in azioni, in base al rapporto di cambio. La legge prevede tuttavia dei casi in cui il diritto di opzione dei soci può essere limitato o escluso del tutto: a) qualora le azioni di nuova emissione debbano essere liberate mediante conferimenti in natura (art. 2441, comma 4, primo periodo, c.c.); b) nelle società quotate, qualora lo statuto lo preveda ed entro il limite del 10% del capitale sociale preesistente (art. 2441, comma 4, secondo periodo, c.c.); c) quando l'interesse della società lo esige (art. 2441, comma 5, c.c.) d) per le azioni offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società appartenenti al medesimo gruppo (art. 2441, comma 8, c.c.).
In linea generale, si può ritenere che nelle ipotesi indicate alle lett. a), c) e d), l'interesse della società a realizzare l'aumento di capitale senza assicurare il diritto di opzione ai propri soci è oggetto di una valutazione preventiva ed astratta da parte del legislatore.
Nell'ipotesi indicata alla lett. c), invece, è la società stessa (e per essa i suoi organi) a dover valutare e dimostrare la sussistenza di uno specifico interesse all'esclusione del diritto di opzione (F. Guerrera, commento all'art. 2441 c.c., in Società di capitali - Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d'Alcontres, 2, Napoli, 2004, 1175; M. Speranzin, commento all'art. 2441 c.c., in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da F. d'Alessandro, II, t. 2, Padova, 2011, 858; O Cagnasso, Le modificazioni statutarie e il diritto di recesso, in N. Abriani, S. Ambrosini, O. Cagnasso, P. Montalenti, Le società per azioni - Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, IV, Padova, 2010, 987). I singoli casi di esclusione: i conferimenti in natura
Nel caso dei conferimenti da effettuare in natura, la necessità di escludere il diritto di opzione è implicita nel genere stesso di operazione: se l'esigenza sottesa all'aumento di capitale non è quella di reperire nuovi capitali, ma di procurarsi un bene determinato da un soggetto interessato ad entrare nella compagine sociale, è chiaro che l'aumento di capitale può essere sottoscritto soltanto dal proprietario di quel bene (il riferimento al conferimento di un bene determinato induce la maggior parte degli interpreti ad escludere l'applicabilità della norma in questione nel caso di conferimento di crediti; cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, Torino, 2015, 510); riconoscere il diritto di opzione frustrerebbe, in tal caso, l'esito dell'operazione.
Nel caso di aumento di capitale con conferimento in natura, la delibera di aumento potrà essere adottata soltanto dopo il completamento della procedura di stima del conferimento di cui agli artt. 2343 e ss. c.c. Inoltre, poiché l'esclusione del diritto di opzione rappresenta in ogni caso un sacrificio imposto ai soci, a loro tutela l'art. 2441, comma 6, c.c. prevede che nella relazione di accompagnamento alla proposta di aumento del capitale, che gli amministratori hanno l'obbligo di redigere, debbano essere indicate le ragioni del conferimento in natura. Sempre a tutela dei soci, si ritiene infine che la delibera di aumento del capitale debba indicare specificamente il bene da conferire (G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, Milano, 2007, 325, da cui ulteriori rinvii) e che gli eventuali soci dissenzienti potrebbero in ogni caso impugnare la deliberazione, contestando che la previsione di un conferimento in natura sia soltanto un pretesto utilizzato dalla maggioranza nell'intento fraudolento di danneggiare la minoranza escludendo il diritto di opzione (così, F. Galgano, Il nuovo diritto societario, Trattato Galgano, Padova, XXIX, t. 1, 2004, 388; cfr., anche, F. Guerrera, commento all'art. 2441 c.c., in Società di capitali - Commentario, cit., 1177). L'ipotesi di esclusione riguardante le società quotate è stata inserita in occasione della riforma del diritto societario del 2003. L'art. 2441, comma 4, II periodo, c.c. stabilisce che nelle società quotate lo statuto può escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale.
La previsione è estremamente ampia. In primo luogo, il limite quantitativo è rapportato al capitale preesistente e non al solo aumento (com'era invece previsto, fino alla novella del 2012, per le azioni da assegnare ai dipendenti): ciò vuol dire che se l'aumento è contenuto entro il limite del 10% del capitale preesistente, il diritto di opzione potrà essere escluso per l'intero aumento. Inoltre, la norma sembra applicarsi alle società quotate, ma non richiede che le azioni di nuova emissione siano offerte sul mercato, ben potendo essere destinate a sottoscrittori dedicati (così G. Giannelli, L'aumento di capitale a pagamento, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2007, 276). Infine, alla fattispecie in esame non si applica la disciplina stabilita dall'art. 2441, comma 6, c.c. (obbligo degli amministratori di indicare le ragioni dell'esclusione del diritto di opzione ed i criteri per la determinazione del prezzo di emissione e dei sindaci di esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione).
Se a tutto ciò si aggiunge che il prezzo di emissione delle nuove azioni non deve essere commisurato al valore patrimoniale della società (come richiesto per gli altri casi di esclusione del diritto di opzione), ma al valore di mercato (soggetto alle oscillazioni di borsa) e che il limite del 10% del capitale preesistente sembra facilmente eludibile con una serie di aumenti di capitale successivi tutti contenuti entro tale percentuale, è evidente che la norma potrebbe prestarsi ad abusi della maggioranza in danno dei soci di minoranza. Per tale eventualità è stato ipotizzato (da F. Guerrera, commento all'art. 2441 c.c., in Società di capitali - Commentario, cit., 1179) il rimedio “estremo” dell'impugnativa della delibera di aumento con esclusione del diritto di opzione per nullità derivante dal carattere fraudolento dell'operazione (ex art. 2379 c.c.) oppure il rimedio residuale del'azione risarcitoria ex art. 2379-ter c.c.. Ai sensi dell'art. 2441, comma 5, c.c., il diritto di opzione può essere escluso “quando l'interesse della società lo esige”. Quella dettata dal quinto comma è una clausola generale che consente all'assemblea di tenere conto di specifici interessi della società all'esclusione del diritto di opzione, anche al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dal legislatore.
Le ragioni dell'esclusione devono essere indicate non solo nella relazione che gli amministratori devono predisporre ai sensi dell'art. 2441, comma 6, c.c., ma anche nella delibera assembleare di aumento del capitale con esclusione del diritto di opzione. Onere dell'assemblea, infatti, è non soltanto quello di invocare un generico interesse della società, bensì allegare e dimostrare uno specifico interesse sociale all'esclusione del diritto di opzione.
Secondo la giurisprudenza, infatti, “l'esclusione del diritto di opzione ‘quando l'interesse della società l'esige' (art. 2441, comma 5, c.c.) postula un'adeguata allegazione e dimostrazione dell'interesse sociale prevalente e dunque impone un requisito motivazionale-informativo non solo formale o tautologico, ma dotato di sufficiente concretezza, onde compete al Giudice non solo prendere atto che è stato addotto un interesse sociale, ma valutarne la sussistenza e la reale consistenza, per modo che si riscontri non già un qualunque interesse sociale, bensì un interesse sociale qualificato, pur nell'ambito di sovrana discrezionalità e di insindacabile scelta preferenziale fra i molteplici interessi sociali sottesi ad operazioni economico-finanziarie” (così, Trib. Milano, sent., 7 febbraio 2006, in Corr. Mer., 2006, 853, con commento di G. Vecchio, Rapporto tra diritto di opzione ed interesse sociale effettivo e riconoscibile).
Peraltro, secondo la più recente giurisprudenza, qualora all'esito dell'eventuale controllo giudiziale l'invocato interesse sociale all'esclusione non risulti sussistente, la delibera potrà essere annullata (e non dichiarata nulla). Ed infatti, secondo la Cassazione, il diritto di opzione riconosciuto al socio dall'art. 2441 c.c. “è tutelato dalla legge solo in funzione dell'interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela dell'interesse dei singoli soci determina un'ipotesi di semplice annullabilità, laddove la nullità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni per illiceità dell'oggetto, ai sensi dell'art. 2379 c.c. (anche nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003), ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela dell'interesse generale, tale da trascendere quello del singolo socio” (Cass., sez. I, 20 gennaio 2011, n. 1361; nello stesso senso, cfr. Cass., sez. I, 7 novembre 2008, n. 26842; per la nullità della delibera si era invece pronunciata Cass., sez. I, 13 gennaio 1987, n. 133).
Fino alla modifica apportata dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. 11 ottobre 2012, n. 184, infine, il comma 5 richiedeva che la delibera di aumento con esclusione del diritto di opzione fosse approvata sempre con la maggioranza rafforzata pari ad oltre la metà del capitale in ogni convocazione; in seguito alla citata novella sono oggi richiesti i normali quorum costitutivi e deliberativi previsti per l'assemblea straordinaria. I singoli casi di esclusione: le azioni offerte ai dipendenti
Il diritto di opzione può essere escluso quando le azioni devono essere offerte ai dipendenti della società oppure, dopo la riforma del diritto societario, ai dipendenti di società controllanti o controllate dalla società emittente (art. 2441, comma 8, c.c.). È bene precisare da subito che la norma in esame riguarda sempre un caso di aumento di capitale a pagamento, poiché anche i dipendenti che beneficiano dell'aumento di capitale devono corrispondere il prezzo di emissione per acquistare le azioni di nuova emissione. La fattispecie è quindi nettamente diversa da quella oggetto dell'art. 2349 c.c., che disciplina l'assegnazione di utili ai dipendenti mediante l'assegnazione di azioni emesse a seguito di un aumento nominale di capitale.
Nella sua formulazione originaria la norma prevedeva che l'esclusione potesse essere disposta con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie fino al limite di un quarto delle azioni di nuova emissione, mentre per le azioni eccedenti tale misura il quorum necessario era quello rafforzato precedentemente previsto dal comma 5 dell'art. 2441 c.c. Eliminato con la novella del 2012 il quorum rafforzato necessario per l'esclusione del diritto di opzione ai sensi del comma 5, è conseguentemente venuto meno anche il limite quantitativo entro cui il diritto di opzione poteva essere escluso senza il raggiungimento di tale quorum rafforzato. Diversamente dall'ipotesi di esclusione del diritto di opzione prevista dal comma 5, e similmente a quanto previsto con riguardo alle società quotate, invece, nell'ipotesi in commento non si richiede il rispetto degli obblighi informativi e di controllo stabiliti dal comma 6, né è imposta come obbligatoria la determinazione del sovrapprezzo di emissione. Il sovrapprezzo nel caso di esclusione del diritto di opzione
Come già detto, il riconoscimento del diritto di opzione ai soci è strumentale anche alla tutela del valore patrimoniale della partecipazione azionaria detenuta, nei casi in cui detto valore sia superiore al valore nominale delle azioni. Si pensi, seguendo l'esemplificazione classica, alla società che abbia accumulato riserve da utili non distribuiti. In tal caso il valore effettivo di ciascuna singola azione è superiore al suo valore nominale. Deliberare un aumento di capitale consentendo a terzi di sottoscrivere le nuove azioni al valore nominale comporterebbe, dunque, da un lato che i vecchi soci vedrebbero ridotto il valore patrimoniale delle loro azioni e, dall'altro, che i soci entranti acquisterebbero azioni ad un prezzo inferiore al loro valore effettivo; senza contare che, allorquando le riserve di utili fossero distribuite, i nuovi soci parteciperebbero alla distribuzione di utili realizzati prima del loro ingresso nella compagine sociale. Il diritto di opzione riconosciuto proporzionalmente ai soci in occasione dell'aumento effettivo del capitale, quindi, è strumentale anche ad impedire tali fenomeni.
Escluso o limitato il diritto di opzione, la tutela dei soci contro tali eventualità può essere demandata ad una adeguata determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni, ed in particolare alla determinazione del c.d. sovrapprezzo: si può cioè stabilire il prezzo di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione in una misura superiore al loro valore nominale, in modo da tenere conto di eventuali disallineamenti tra valore patrimoniale e valore nominale delle azioni stesse. La funzione del sovrapprezzo nell'aumento di capitale è stata chiaramente descritta dalla Suprema Corte: “il sovrapprezzo imposto in sede di aumento di capitale trova la sua giustificazione nella differenza che esiste tra consistenza patrimoniale e capitale della società, rappresentando ciascuna azione una porzione del capitale sociale, senza una relazione immediata con il patrimonio della emittente. E poiché l'azione è anche la misura della partecipazione economica di ciascun socio al netto patrimoniale, se il patrimonio della società si è incrementato per l'accumulo di riserve realizzate con utili non ripartiti ovvero per valori di avviamento conseguiti dall'impresa societaria, chi sottoscrive le nuove azioni non può non contribuire all'incremento del patrimonio, con un apporto ulteriore rispetto alla quota del capitale sociale, così come avevano già fatto i soci, destinando a riserva utili di loro spettanza” (Cass., sez. I, 13 luglio 2001, n. 9523, in Le Società, 2002, 186, con nota di P. Balzarini, Emissione di nuove azioni in sede di aumento del capitale e determinazione del soprapprezzo). Nei casi di esclusione del diritto di opzione di cui all'art. 2441, comma 4, primo periodo (conferimenti in natura) e comma 5 (quando l'interesse della società lo esige), la determinazione del sovrapprezzo non soltanto è opportuna, ma anche obbligatoria. L'art. 2441, comma 6, ultimo periodo, c.c., stabilisce infatti che in tali casi il prezzo di emissione delle nuove azioni deve essere determinato “in base al valore del patrimonio netto” e “tenendo conto, per le società quotate in mercati regolamentati, anche dell'andamento delle quotazioni dell'ultimo semestre”. La legge, dunque, non impone una rigida correlazione matematica tra prezzo di emissione e patrimonio netto o quotazione di borsa delle azioni, ma richiede che di tali valori si tenga conto nel determinare il prezzo di emissione delle azioni. Unico limite sembra dunque essere quello della ragionevolezza della determinazione del prezzo, su cui lo stesso comma 6 chiama a pronunciarsi anche il collegio sindacale (nelle società quotate il parere di congruità del prezzo è reso da un revisore legale o da una società di revisione, ex art. 158 T.u.f.).
In dottrina (E. Ginevra, La determinazione del prezzo e del sovrapprezzo negli aumenti di capitale sociale a pagamento, in Riv. Soc., 2008, 515) è stato suggerito che un utile riferimento normativo per la determinazione del valore patrimoniale effettivo della società (e, quindi, del prezzo di emissione delle azioni in caso di aumento di capitale) possa essere individuato nella nuova disciplina stabilita in tema di recesso del socio, ed in particolare nell'art. 2437-ter, comma 2, c.c., che con riguardo all'ipotesi di calcolo del valore della partecipazione in un momento per così dire “speculare” rispetto a quello in questione (l'uscita del socio per recesso, anziché l'ingresso nella compagine sociale) prescrive si debba tener conto della “consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni” (sui criteri di determinazione del valore delle partecipazioni sociali in caso di recesso, cfr. M. Venturozzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, 61 e ss., relativamente al valore delle azioni, e 229 e ss., relativamente al valore delle quote di S.r.l.).
È bene infine precisare che la sottoscrizione delle nuove azioni senza sovrapprezzo da parte di terzi è legittima se tali azioni, pur essendo state offerte in opzione ai soci, siano rimaste inoptate, poiché in tal caso non vi è alcuna esclusione o limitazione del diritto di opzione, ma soltanto la discrezionale scelta dei soci di non aderire all'offerta di sottoscrizione (in tal senso, cfr. Trib. Bari, 4 giugno 2010, in Le Società, 2010, 10, 1275; cfr. anche, Cass., sez. I, 13 settembre 2007, n. 19161, pur relativa alla disciplina previgente la riforma del 2003). L'art. 2481-bis, comma 1, c.c. attribuisce anche ai soci di S.r.l. il diritto di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione dell'aumento di capitale a pagamento deliberato dalla società. In primo luogo è opportuno precisare che alla differenziazione terminologica (diritto di opzione, per la S.p.A. e diritto di sottoscrizione, per la S.r.l.) non sembra corrispondere una differente natura giuridica dei diritti in questione (L. Benatti, commento all'art. 2481-bis c.c., in A.L. Santini, L. Salvatore, L. Benatti, M.G. Paolucci, Società a responsabilità limitata, commentario del Codice Civile Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, 719, in cui ulteriori riferimenti; G. De Marchi, A. Santus, L. Stucchi, commento all'art. 2481-bis, c.c., in Società a responsabilità limitata. Artt. 2462 - 2483 c.c., a cura di L.A. Bianchi, Milano, 2008, 1182; O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata - Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, V, t. 1, Padova, 2007, 332). Assai diversa è, invece, la disciplina dettata dal citato articolo rispetto a quella prevista per le S.p.A.
Il secondo ed il terzo periodo dell'art. 2481-bis, comma 1, c.c., stabiliscono che l'aumento di capitale a pagamento può essere offerto in sottoscrizione a terzi se l'atto costitutivo lo prevede (salvo nel caso di aumento finalizzato alla ricostituzione del capitale sceso per perdite al di sotto del minimo legale: nella relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, il divieto di esclusione del diritto di sottoscrizione del socio nel caso di ricostituzione del capitale sociale sceso per perdite al di sotto del minimo legale è giustificato dall'esigenza di “impedire prassi non commendevoli che la pratica ha a volte elaborato per ridurre sostanzialmente o addirittura eliminare la partecipazione della minoranza”) e che, in tal caso, ai soci che non hanno consentito alla decisione spetta il diritto di recedere dalla società.
La legge non individua ipotesi specifiche in cui il diritto di sottoscrizione possa essere limitato o escluso, lasciando all'autonomia statutaria ampia libertà. Lo statuto, quindi, può consentire genericamente la limitazione o l'esclusione del diritto di sottoscrizione oppure prevedere specifiche ipotesi in cui ciò possa essere deciso; non potrebbe però escludere una volta per tutte il diritto di sottoscrizione per ogni eventuale futuro aumento di capitale (L. Benatti, commento all'art. 2481-bis c.c., in A.L. Santini, L. Salvatore, L. Benatti, M.G. Paolucci, Società a responsabilità limitata, commentario del Codice Civile Scialoja-Branca-Galgano, cit., 726; G. Giannelli, Le operazioni sul capitale, in M. Cian, G. Giannelli, F. Guerrera, M. Notari, G. Palmieri, Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da C. Ibba e G. Marasà, IV, Le decisioni dei soci, Le Modificazioni dell'atto costitutivo, Padova, 2009, 313). La clausola statutaria che consenta l'esclusione del diritto di sottoscrizione può essere introdotta anche durante societate, ma in tal caso, secondo parte della dottrina, la modifica statutaria dovrebbe essere deliberata all'unanimità (E. Fazzutti, commento all'art. 2481-bis, c.c., in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2, t. 3, Torino, 2003, 187; G. Zanarone, Delle s.r.l., in Il codice civile, Commentario fondato da P. Schlesinger, II, artt. 2475-2483, Milano, 2010, 1540; M. Notari, Il diritto di opzione e la sua esclusione, commento all'art. 2481-bis, c.c., in S.r.l. - Commentario, a cura di A.A. Dolmetta e G. Presti, Milano, 2011, 917; M. Speranzin, Diritto di sottoscrizione e tutela del socio nella s.r.l., Torino, 2012, 49; M. Speranzin, L'aumento del capitale sociale, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di M. Bione, R. Guidotti, E. Speranzini, Trattato Galgano, Vol. LXV, Padova, 2012, 483; in senso contrario, cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, cit., 588, nota n. 87; G. Giannelli, Le operazioni sul capitale, in M. Cian, G. Giannelli, F. Guerrera, M. Notari, G. Palmieri, Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da C. Ibba e G. Marasà, IV, Le decisioni dei soci, Le Modificazioni dell'atto costitutivo, cit., 311; G. De Marchi, A. Santus, L. Stucchi, commento all'art. 2481-bis, c.c., in Società a responsabilità limitata. Artt. 2462 - 2483 c.c., a cura di L.A. Bianchi, cit., 1198, in cui rinvii a dottrina precedente). Nel caso in cui lo statuto lo consenta ed i soci deliberino un aumento di capitale con esclusione o limitazione del diritto di sottoscrizione, ai soci che non hanno consentito (assenti, contrari o astenuti) spetta inderogabilmente il diritto di recesso dalla società, secondo la disciplina di cui all'art. 2473 c.c., senza alcuna distinzione circa i motivi che hanno indotto ad escludere il diritto di sottoscrizione.
L'art. 2481-bis, comma 2, c.c., dispone infine che la decisione di aumento di capitale preveda “l'eventuale soprapprezzo”. L'uso dell'aggettivo “eventuale” ha posto il dubbio circa l'obbligatorietà o meno del sovrapprezzo nel caso di esclusione del diritto di sottoscrizione. Secondo alcuni interpreti, la norma lascerebbe anche su tale aspetto ampio spazio all'autonomia statutaria, escludendo che la determinazione del sovrapprezzo sia in tal caso obbligatoria ed individuando nel diritto di recesso la funzione di tutela del socio dissenziente (G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, cit., 588, nota n. 88; L. Benatti, commento all'art. 2481-bis c.c., in A.L. Santini, L. Salvatore, L. Benatti, M.G. Paolucci, Società a responsabilità limitata, commentario del Codice Civile Scialoja-Branca-Galgano, cit., 718; M. Centonze, Il contenuto della decisione di aumento del capitale sociale, commento all'art. 2481-bis c.c., in S.r.l. - Commentario, a cura di A.A. Dolmetta e G. Presti, cit., 930; G. Giannelli, Le operazioni sul capitale, in M. Cian, G. Giannelli, F. Guerrera, M. Notari, G. Palmieri, Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da C. Ibba e G. Marasà, IV, Le decisioni dei soci, Le Modificazioni dell'atto costitutivo, cit., 313; G. De Marchi, A. Santus, L. Stucchi, commento all'art. 2481-bis, c.c., in Società a responsabilità limitata. Artt. 2462 - 2483 c.c., a cura di L.A. Bianchi, cit., 1204; G. Racugno, Le modificazioni del capitale sociale, in Il nuovo diritto societario, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2005, I, 497). Secondo altra parte della dottrina, però, la norma si presterebbe all'opposta interpretazione: con il riferimento all' “eventuale soprapprezzo”, la legge avrebbe soltanto preso atto del fatto che il sovrapprezzo non è sempre necessario, restando però impregiudicata la sua necessità quando ciò discenda “dai principi di un corretto rapporto societario” (così F. Ferrara, Jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 940, nota n. 5), come nel caso in cui si deliberi un aumento di capitale non riservato ai soci della società. In giurisprudenza la tesi che sembra avere trovato seguito è quella della non obbligatorietà del sovrapprezzo, ritenuta più in linea con il principio di flessibilità del modello organizzativo della S.r.l.. Proprio alla luce di tale flessibilità è stata infatti negata ogni possibilità di applicare analogicamente la disciplina prevista dall'art. 2441 c.c., con l'effetto che la previsione di un sovrapprezzo sui nuovi conferimenti resterebbe una mera facoltà, il cui esercizio sarebbe rimesso all'autonomia della società (in tal senso, cfr. Tribunale di Novara, 21 gennaio 2010, in massima in Le Società, 2010, 5, 644). Riferimenti
Normativi
Giurisprudenza
Dottrina
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