Codice di Procedura Penale art. 19 - Provvedimenti sulla riunione e separazione.

Aldo Aceto

Provvedimenti sulla riunione e separazione.

1. La riunione e la separazione di processi sono disposte con ordinanza, anche di ufficio, sentite le parti.

Inquadramento

La norma in commento disciplina il modo della riunione e della separazione di processi.

La forma dell'atto

La riunione e la separazione dei processi sono disposte con ordinanza, e dunque con provvedimento che deve essere motivato a pena di nullità (art. 125, comma 3), previa audizione di tutte le parti (pubblica e privata). Il dovere di sentire le parti prima della decisione è adempiuto se sono previamente informate della possibilità della riunione, in modo da potere interloquire in merito, e non è necessaria la loro audizione effettiva potendo esse mantenere sulla questione un passivo silenzio (così Cass. VI, n. 6221/2006, in un caso in cui il giudice aveva disposto il rinvio dell'udienza «al fine di verificare se ricorrano i presupposti per la riunione...», alla quale seguirono varie udienze, a cui le parti furono invitate a comparire con avviso a verbale senza ulteriore citazione, sino a quella in cui il giudice dispose la riunione).

La norma non disciplina le modalità esecutive del provvedimento e nulla dice sul diritto delle parti ad interloquire sul punto (su ciò infra).

I rimedi processuali avverso l'ordinanza

La giurisprudenza è unanimemente orientata, in ossequio al principio di tassatività delle impugnazioni (Cass. VI, n. 446/1994), a ritenere inoppugnabile il provvedimento, in considerazione della sua natura ordinatoria e organizzativa, a meno che non ne sia derivata una violazione delle norme concernenti gli effetti della connessione sulla competenza (Cass. III, n. 30911/2018; cfr. altresì, Cass. VI, n. 38751/2017, secondo cui la riunione di processi è un provvedimento meramente discrezionale del giudice, sicchè non è configurabile alcuna nullità se, pur in mancanza di un motivato provvedimento, vi sia stato un implicito rigetto della richiesta di riunione; nello stesso senso Cass. II, n. 57761/2018, secondo cui il provvedimento con il quale il giudice di cognizione ordina la separazione dei procedimenti, mediante stralcio delle posizioni di taluno degli imputati o del procedimento relativo ad alcune delle vittime del reato, ha natura ordinatoria e, per il principio di tassatività delle impugnazioni, deve ritenersi inoppugnabile).

La natura ordinatoria del provvedimento esprime un legittimo potere di decisione preliminare all'interno d'una fase processuale unitaria che non è pertinente al merito delle contestazioni, nemmeno se fosse adottato sul presupposto dell'unica matrice delittuosa ipotizzata per i fatti contestati (Cass. V, n. 43446/2004). La decisione sulla riunione o separazione di processi, insomma, non comporta una valutazione anticipata del merito dell'accusa perché si deve basare esclusivamente sui fatti così come contestati, sull'ipotesi di lavoro proposta dalla regiudicanda e non determina l'incompatibilità del giudice che l'ha disposta a decidere il processo.

Eventuali patologie strutturali dell'atto (la mancanza di motivazione) o la sua adozione in assenza di preventivo contraddittorio non possono essere impugnate a meno che il provvedimento non sia abnorme (in questo senso, Cass. VI, n. 5548/2000, secondo cui è abnorme l'ordinanza che decida sulla separazione o riunione dei processi in base ad una valutazione di merito sul fondamento dell'accusa). L'ordinanza con cui il giudice rigetta l'istanza di separazione di processi non è impugnabile nemmeno in sede di ricorso avverso l'ordinanza di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare per ritenuta particolare complessità del dibattimento, ex art. 304, comma 2, neppure sotto il profilo che la complessità del procedimento è stata determinata dalle scelte del pubblico ministero nel momento in cui esercita l'azione penale o successivamente dal giudice a norma degli artt. 17, 18 e 19 (Cass. VI, n. 1668/1998).

Resta il dubbio che l'ordinanza possa essere impugnata insieme con la sentenza ai sensi dell'art. 586, purché vi sia l'interesse a farlo. È innegabile, da questo punto di vista, che l'imputato possa avere interesse alla trattazione congiunta dei processi che lo riguardano quando intenda dimostrare la sussistenza di un unico disegno criminoso che lega i vari reati oggetto di separati processi. L'obiezione che il condannato può sempre chiedere al giudice dell'esecuzione l'applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato a norma dell'art. 671, non regge all'osservazione che l'imputato può avere interesse sin dalla fase della cognizione a impedire quantomeno che l'esistenza dell'unico disegno criminoso sia esclusa.

Nel delicato equilibrio tra esigenze organizzative dell'ufficio giudiziario e necessità di rapida definizione dei processi, che sembrano collocare al di fuori del perimetro disegnato dagli artt. 17 e 18 l'interesse dell'imputato al simultaneus processus, vien da chiedersi se la assoluta necessità dell'accertamento unitario dei fatti (che condiziona, come visto, anche la riunione dei processi e limita, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'esercizio dell'azione penale cumulativa), non sia l'espressione di un interesse comune a tutte le parti del processo che proietta l'istituto della riunione e della separazione oltre le mere esigenze organizzative dell'ufficio giudiziario e delimita la via che consente l'irruzione, sul palcoscenico processuale, di istituti di diritto penale sostanziale che concorrono a definire l'oggetto e i modi della possibile regiudicanda.

Le modalità esecutive dell'ordinanza e le conseguenze processuali

L'art. 2 disp. att. fornisce  la regola da seguire in caso di riunione di processi davanti a collegi o giudici/persone fisiche diversi (quando la riunione deve essere effettuata davanti allo stesso collegio o giudice/persona fisica, la relativa ordinanza si limiterà, quando non sia possibile farlo nella stessa udienza, a rinviare il processo alla data di udienza del processo da riunire).

Il codice, però, non regola la procedura da seguire in caso di separazione dei processi, ciò che presuppone che il processo separato prosegua davanti allo stesso collegio o giudice/persona fisica, a meno che la definizione del processo a quo non renda incompatibile il giudice nel processo ad quem. In tal caso soccorrono le regole stabilite dagli artt. 34 e segg. per i casi di astensione.

Per evitare ciò, nella prassi giudiziaria, quando la separazione costituisce conseguenza dell'accesso al rito alternativo richiesto da uno degli imputati, la posizione “stralciata” viene assegnata ad altro giudice dello stesso ufficio giudiziario.

La definizione alternativa richiesta da alcuni degli imputati in sede di udienza preliminare non osta, però, alla trattazione congiunta dei processi separati da parte dello giudice (Cass. IV, n. 22695/2014).

La separazione viene materialmente effettuata mediante estrazione di copia degli atti del fascicolo processuale che riguardano direttamente la posizione “stralciata” e la formazione di un nuovo autonomo fascicolo, secondo quanto dispone l'ordinanza adottata ai sensi dell'art. 19, che deve indicare anche quali atti la cancelleria deve inserire nel nuovo fascicolo (il quale deve comunque essere formato in conformità a quanto prevede l'art. 3, reg. es. c.p.p.). Anche su questo aspetto le parti devono essere sentite, sia per collaborare con il giudice nella selezione degli atti rilevanti ai fini della decisione nel processo ad quem, sia per consentire al pubblico ministero di indicare su quali, tra gli atti selezionati, debba continuare a gravare il segreto eventualmente imposto ai sensi dell'art. 329. In ogni caso, nulla impedisce all'imputato di produrre nel processo separato atti estratti dal fascicolo del processo “a quo” non considerati dall'ordinanza di separazione, posto che certamente quest'ultima non vincola l'autonomia del giudice ad quem nella selezione ed ammissione delle prove necessarie ai fini della decisione.

In ogni caso l'ordinanza di separazione non rimette in termini le parti perché il processo separato prosegue dinanzi al diverso giudice nello stesso stato in cui si trovava al momento della separazione.

La riunione avviene mediante l'inserimento del fascicolo del processo riunito in quello del processo principale, definito nella prassi giudiziaria come “portante” e che di solito reca un numero di iscrizione inferiore. In caso di riunione disposta in sede dibattimentale, l'inserimento nel fascicolo del dibattimento del processo “portante” del fascicolo del dibattimento del processo riunito non muta il regime di ammissibilità e utilizzabilità delle prove assunte in quest'ultimo processo se vi ha partecipato l'imputato, il quale, in caso contrario può interloquire sulla ammissibilità e rilevanza delle prove ammesse nel processo riunito del quale egli non era parte. Certamente l'ordinanza di riunione non rende utilizzabili le prove dichiarative assunte nel processo riunito del quale l'imputato del processo principale non era parte, a meno che non abbia espressamente fornito il consenso.

Ciò che si vuol dire, in ultima analisi, è che l'eventuale assenso dell'imputato alla riunione del processo nel quale non era parte non equivale ad incondizionata accettazione dell'utilizzabilità, nei suoi confronti, delle prove ivi assunte senza la sua partecipazione, né alla rinuncia ad esercitare le prerogative sull'ammissione delle altre prove.

Casistica

La disposizione di cui all'art. 19 — relativa alla separazione dei processi — si riferisce soltanto alla fase processuale e non anche a quella delle indagini preliminari, e per la sua mancata osservanza non sono previsti né alcuna sanzione di nullità, né alcun mezzo di impugnazione (Cass. III, n. 17368/2019; Cass. VI, n. 5193/1997);

i provvedimenti che dispongono la riunione o la separazione dei processi, se non sono abnormi, sono normalmente inoppugnabili, anche perché la violazione degli artt. 17,18 e 19 non determina invalidità, salvo quando risulti applicabile l'art. 178 lett. c), ove il giudice non abbia sentito alcuno degli interessati. Ne consegue che non è impugnabile neppure il provvedimento di rigetto della richiesta di riunione, in quanto la mancata riunione non può incidere sulla decisione del merito essendo possibile sia l'acquisizione di prove di altro procedimento (art. 238), sia l'escussione di persone imputate in procedimento connesso o collegato (art. 210) (Cass. V, n. 225/1999);

la riunione e la trattazione congiunta in fase d'appello di procedimenti celebrati nei confronti di più coimputati con riti diversi (nella specie, l'uno con rito ordinario e l'altro con rito abbreviato) non è causa di abnormità o di nullità della decisione, né, tanto meno, di una situazione di incompatibilità suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiché la coesistenza di tali procedimenti comporta solo la necessità che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i diversi regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (Cass. III, n. 14592/2015; Cass. I, n. 19761/2016);

la decisione emessa in sede di riesame con la quale si prendano in considerazione nello sviluppo della motivazione le posizioni processuali di più indagati che hanno proposto autonomi ricorsi, sotto nessun profilo può ritenersi equivalente ad un provvedimento formale di riunione e perciò regolato dall'art. 19 (Cass. VI, n. 463/1997);

diversamente dal codice di rito civile, dove il principio di verità del procedimento di gravame si realizza con la necessità del «simultaneus processus» attraverso la previsione che le diverse impugnazioni contro la medesima sentenza devono, in ogni caso, essere decise con unica pronuncia e non con pronunce l'una distinta dall'altra, nel codice di procedura penale un analogo precetto di inderogabilità alla regola del simultaneo processo non è stato espressamente stabilito. Con la conseguenza che, nella esplicitazione di due autonome facoltà di impugnazione del medesimo provvedimento, la trattazione unitaria di entrambe, cui si può pervenire attraverso lo strumento della riunione (art. 19), non è imposta come necessitata, ma è consigliata come ragionevole ed affidata a provvedimento del giudice che, anche per il procedimento di impugnazione, deve ritenersi a carattere meramente ordinatorio e discrezionale, sottratto ad ogni mezzo di impugnazione (Cass. VI, n. 1720/1996, citata in commento all'art. 18);

la separazione dei processi, a norma dell'art. 18, comma 1, lett. b), nonostante la clausola di riserva iniziale concernente la necessità di mantenere unita la regiudicanda, deve ritenersi imposta in caso di sospensione del procedimento nei confronti di uno o più imputati, in special modo nelle ipotesi, in cui la causa della sospensione risulti protrarsi sostanzialmente «sine die». (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento di separazione del processo nei confronti di un coimputato in conseguenza di un'incapacità mentale sopravvenuta determinata dal morbo di Alzheimer) (Cass. VI, n. 22065/2015);

la garanzia costituzionale del giudice naturale riguarda l'ufficio giudiziario, non la persona fisica del giudice. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui il gip, in un procedimento a carico di più soggetti, aveva separato la posizione di un imputato per la definizione con il rito del patteggiamento, trasmettendo il fascicolo stralciato ad altro magistrato dello stesso ufficio per evitare incompatibilità) (Cass. II, n. 5391/2015).

Bibliografia

Campilongo, sub art. 19, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, Tomo I, 289 ss.; Macchia, sub art. 19, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, Milano, 2012, 198 ss.; V. anche sub art. 12.

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