Codice di Procedura Penale art. 127 - Procedimento in camera di consiglio 1 .Procedimento in camera di consiglio1. 1. Quando si deve procedere in camera di consiglio [45 att.], il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. L'avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta [172 5]. Se l'imputato è privo di difensore, l'avviso è dato a quello di ufficio [97] 2. 2. Fino a cinque giorni prima dell'udienza [172 5] possono essere presentate memorie [121] in cancelleria. 3. Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell'avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Se l'interessato richiede di essere sentito ed è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, si provvede mediante collegamento a distanza, oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, quando l'interessato vi consente. In caso contrario, l'interessato è sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo 34. 4. L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento [420-ter] dell'imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. 5. Le disposizioni dei commi 1, 3 e 4 sono previste a pena di nullità [178]. 6. L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico. 7. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione [606]. 8. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza [588], a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato. 9. L'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito. Si applicano le disposizioni dei commi 7 e 8. 10. Il verbale di udienza è redatto soltanto5 in forma riassuntiva a norma dell'articolo 140, comma 2 [420 5, 666 9].
[1] [1] Per favorire l'esercizio dell’attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in particolare, per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma del presente articolo, vedi l’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176 ( in tema di modalità di assunzione delle deliberazioni dei giudizi penali di appello v. anche quanto aveva disposto l'art. 23 d.l. 9 novembre 2020, n. 149, successivamente il decreto n. 149/2020 cit. è stato interamente abrogato dall'art. 1, comma 2 , della legge 18 dicembre 2020, n. 176. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto). Da ultimo, da ultimo v. art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, conv., con modif. in l. 25 febbraio 2022, n. 15, che stabilisce che «Le disposizioni di cui all'articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 2, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022»; in particolare, ai sensi dell'art. 16, comma 1-bis, aggiunto in sede di conversione, l'art. 23, comma 4, del d.l. n. 137/2020 cit., in materia di processo penale, continua ad applicarsi fino alla data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19. V. anche art. 16, comma 2, d.l. n. 228, cit. [2] [2] Per i procedimenti in camera di consiglio, v. anche artt. 32, 41, 48, 130, 263, 269, 309, 310, 311, 324, 391, 401, 406, 409, 418, 428, 435, 447, 469, 599, 611, 646, 666, 718, 734, 743. [3] [3] V. Corte cost. n. 45 del 1991, sub art. 309. [4] [4] Comma così modificato dall'art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito il secondo periodo. Il testo precedente alla sostituzione era il seguente: "Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell'avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo". Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [5] [5] La Corte cost., con sentenza 3 dicembre 1990, n. 529, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui dopo la parola «redatto» prevede «soltanto» anziché «di regola». V. anche sub artt. 420 e 666. InquadramentoLa norma detta la disciplina basilare di un modello processuale semplificato, detto appunto procedimento in camera di consiglio, che viene largamente utilizzato dal legislatore nelle occasioni in cui intende favorire decisioni in tempi rapidi, previo un contraddittorio meramente eventuale. Caratteristiche strutturaliL'art. 127 è norma a carattere generale che regolamenta un modus procedendi, detto appunto procedimento in camera di consiglio, in plurime occasioni richiamato dal legislatore come strumento per giungere alla definizione sia di questioni incidentali che possono innestarsi nel giudizio, sia del giudizio stesso, quale veicolo della decisione conclusiva. Si è in presenza, dunque, non già di un istituto pensato per operare in un ambito definito per l'adozione di specifiche decisioni, quanto piuttosto di un format, di uno strumento agile e duttile ideato dal legislatore processuale per renderlo fruibile in una congerie di ipotesi nella quali, a differenza di quanto accade nel giudizio ordinario ispirato ad una solennità e rigidità delle forme, è necessaria speditezza. Anche se talora norme specifiche dei singoli istituti introducono disciplina derogatoria, è tuttavia possibile enucleare caratteristiche strutturali costanti dei procedimenti in camera di consiglio, che sono: (a) lo svolgersi del procedimento in udienza non pubblica; anche se, in applicazione dell'art. 6, par. 1, l. n. 848/1955, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, deve riconoscersi il diritto del giudicabile di sollecitare una pubblica udienza; (b) la semplificazione delle forme: le parti sono sentite, se compaiono, una sola volta sull'oggetto della decisione da assumere, senza diritto di repliche e, di regola, senza che si svolga attività istruttoria; (c) la natura meramente eventuale del contraddittorio, nel senso che difensore ed interessati hanno diritto di presenziare e, quindi di ricevere l'avviso di fissazione della udienza, ma la loro presenza non è obbligatoria, nel senso che il procedimento può legittimamente proseguire anche senza di loro, ed in particolare anche senza il difensore; (d) decisione con ordinanza. Ambito di applicazioneIl modello procedimentale in esame è lo strumento attraverso il quale giungere alla decisione nelle seguenti ipotesi: (a) conflitto di competenza e giurisdizione (art. 32); (b) ricusazione del magistrato (art. 41); (c) rimessione del processo (art. 48); (d) correzione di errore materiale (art. 130), anche della sentenza (547); (e) procedimento per la restituzione delle cose sequestrate (art. 263); (f) distruzione delle intercettazioni dopo la sentenza (art. 269); (g) procedimenti di riesame delle misure cautelari personali (art. 309) e reali (art. 324); (h) non accoglimento della richiesta di archiviazione (art. 409) ed opposizione alla richiesta di archiviazione (art. 410); (i) ricorso in cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere (art. 428); (j) revoca della sentenza di non luogo a procedere (art. 435); (k) giudizio d'appello per le sentenze pronunciate col rito abbreviato (art. 443); (l) sospensione del processo con messa alla prova (art. 464-quater); (m) proscioglimento predibattimentale (art. 469); (n) giudizio di appello quando i motivi di impugnazione riguardano solo la pena, l'applicazione di circostanze o benefici; (o) giudizio di cassazione quando deve decidere su ricorsi non emessi nel dibattimento (art. 611); (p) riparazione dell'errore giudiziario (art. 646); (q) procedimento di esecuzione (art. 666); (r) riconoscimento degli effetti di sentenze penali straniere (art. 734) e di disposizioni civili in queste contenute (art. 741); (s) esecuzione di sentenze penali italiane all'estero (art. 743). Non rientrano, invece, nel novero dei procedimenti in camera di consiglio in senso proprio altri schemi procedimentali in relazione ai quali il legislatore, pur prevedendo che essi si svolgano in camera di consiglio, non richiama però espressamente l'art. 127 per la determinazione del modus procedendi. In questi casi la camera di consiglio è evocata solo quale luogo fisico dello svolgimento della udienza, che non è di regola pubblica; ma diversità procedimentali assai marcate ne fanno riti a sé stanti. È il caso del giudizio abbreviato in primo grado e della udienza preliminare; in tali ipotesi, infatti, la presenza del difensore dell'imputato è sempre prevista come obbligatoria e, quando non è presente il titolare della difesa, deve procedersi a nomina del difensore di ufficio; vi è ampio spazio al legittimo impedimento, non solo dell'imputato ma anche del difensore; le parti hanno diritto di replica; vi è una disciplina specifica per l'ipotesi in cui l'imputato, benché citato, non sia comparso (prima la contumacia ora l'assenza). Atti preliminari alla udienzaQuando si procede in camera di consiglio il giudice, ovvero il presidente in caso di organo collegiale, fissa la data della udienza e ne fa dare avviso alle parti. In merito al contenuto dell'avviso, la giurisprudenza ha chiarito che è sufficiente che esso indichi l'oggetto del giudizio e non anche le ragioni per le quali è stato avviato, incombendo sull'interessato o sul suo difensore l'onere di consultare in cancelleria gli atti relativi ed eventualmente di estrarne copia (Cass. I, n. 38818/2015). Ma in epoca pressoché contestuale la stessa Suprema Corte ha però anche stabilito che deve ritenersi nullo un decreto di fissazione dell'udienza camerale che contenga un'indicazione dell'oggetto della trattazione tanto generico da risultare inidoneo a consentire al destinatario di predisporre un'effettiva difesa (Cass. I, n. 53024/2014). Dunque, l'avviso di fissazione, per quanto generico e determinante l'insorgere dell'onere per la parte ed il suo difensore di compulsare gli atti, deve però rendere percepibili in modo chiaro i motivi per i quali il giudice procedente ha fissato la udienza camerale. La giurisprudenza, in altri termini, intende scongiurare che taluno possa essere citato ad una udienza senza avere la minima contezza di quello che sia il suo oggetto specifico. Tale avviso deve essere notificato almeno dieci giorni prima della data fissata per la udienza. Il termine deve essere osservato a pena di nullità quando si tratta della prima udienza, mentre per i successivi rinvii, anche se motivati da legittimo impedimento della parte o del difensore, l'avviso dato non deve tenerne conto (Cass. VI, n. 36780/2003). Il regime delle nullità derivanti dalla omessa o tardiva citazioneOccorre distinguere l'ipotesi della omessa citazione da quella della tardiva citazione, a seconda che l'avviso di fissazione della udienza camerale non sia mai pervenuto al destinatario, ovvero gli sia pervenuto senza garantirgli il rispetto del termine di comparizione di giorni dieci, integri e liberi. La omessa citazione In relazione a tale ipotesi si fronteggiano, invero, due contrastanti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento, l'omesso avviso all'indagato della data fissata per l'udienza determina una nullità che, seppur non definita assoluta dall'art. 127, comma 5, soggiace alla disciplina di cui agli artt. 180, 181 e 182; si determinerebbe, dunque, una nullità a regime intermedio, come tale rilevabile di ufficio, ma non più rilevabile né deducibile dopo la deliberazione della sentenza di primo grado, ovvero se verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo. Con la ulteriore conseguenza che la omessa eccezione da parte del difensore di tale nullità a regime intermedio impedirebbe la deducibilità del vizio con l'impugnazione del provvedimento conclusivo (Cass. II, n. 16781/2015). Secondo altro più restrittivo orientamento, invero più aderente alla piana lettura delle norma sulle nullità, l'omessa notificazione dell'avviso della data d'udienza camerale determina una nullità assoluta ed insanabile ai sensi dell'art. 179 (Cass. V, n. 48423/2014 e Cass. II, n. 47841/2003; più di recente Cass. III, n. 9756/2022); dunque, una nullità eccepibile e rilevabile in ogni stato e grado. La tardiva citazione Pacifico è, invece, che in caso di tardiva citazione si determina una nullità a regime intermedio che si trasmette al provvedimento che definisce il procedimento (Cass. I, n. 34077/2014). La giurisprudenza ha espressamente affermato, infatti, che la inosservanza del termine di dieci giorni liberi per l'avviso alle parti ed ai difensori del giorno dell'udienza determina una nullità a regime intermedio e non una nullità assoluta ex art. 179, in quanto quest'ultima presuppone l'omessa e non l'intempestiva citazione dell'interessato o del suo difensore (Cass. III, n. 41723/2018 ). Dunque, la tardività deve essere tempestivamente eccepita. La giurisprudenza ritiene che, se tempestivamente eccepita, il rilievo della tardività impone la rinnovazione dell'avviso, non essendo sufficiente la concessione di un ulteriore termine ad integrazione di quello originario (Cass. I, n. 34077/2014). Omesso avviso ad uno dei co-difensori Univoco l'orientamento giurisprudenziale che sancisce che l'omesso avviso ad uno dei due difensori di fiducia dell'interessato integra una nullità a regime intermedio che, ove non eccepita in udienza dal difensore di fiducia presente o, in sua assenza, dal difensore d'ufficio nominato ai sensi dell'art. 97, comma 4, è sanata, resta sanata ai sensi dell'art. 182 (Cass. I, n. 11232/2020). Dunque, la nullità a regime intermedio derivante dall'omesso avviso di fissazione dell'udienza a uno dei co-difensori è sempre sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione ad opera dell'altro difensore comparso, pur quando l'imputato non sia presente. Il legittimo impedimento dell'imputato. L'imputato detenutoProfili generali La disposizione in commento, mutuando la terminologia impiegata nel giudizio ordinario, prevede che la udienza camerale debba essere rinviata ove sussista un legittimo impedimento dell'imputato. Per la nozione di legittimo impedimento e per la vasta casistica elaborata dalla giurisprudenza si rinvia al commento subart. 420-ter. In questa sede è sufficiente ricordare che deve ritenersi impedito l'imputato che versi in condizione di assoluta impossibilità di comparire, per caso fortuito, forza maggiore od altro legittimo impedimento. Ma a differenza di quanto avviene nel giudizio ordinario, non ogni legittimo impedimento dell'imputato determina la necessità del rinvio della udienza: vi è diritto al rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del condannato solo quando questi abbia chiesto di essere sentito personalmente. È evidente, dunque, come il legislatore, nel concepire uno schema procedimentale snello e celere, ha ritenuto che l'eventuale impossibilità a comparire sia rilevante solo quando l'imputato abbia espresso la intenzione di intervenire nel processo per ivi svolgere attività processuale; e che, viceversa, non sia rilevante negli altri casi. La giurisprudenza, sul punto molto rigorosa, ha del resto precisato che l'udienza è rinviata quando, sussistendo un legittimo impedimento dell'indagato a comparire, questi abbia non solo manifestato la volontà di voler essere presente all'udienza in camera di consiglio ma anche la volontà di essere sentito personalmente (Cass. IV, n. 46504/2003). Nel caso, invece, in cui l'imputato sia detenuto, la norma attualmente distingue due ipotesi: (a) se il detenuto si trova in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice che procede, e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno della udienza dal magistrato di sorveglianza; egli, dunque, non viene tradotto nel luogo della udienza, ma le sue dichiarazioni vengono raccolte dal magistrato di sorveglianza competente per territorio; e potrà configurarsi un legittimo impedimento solo se lo stato di detenzione sia sopravvenuto, rispetto alla udienza, in tempi tali da non consentire la materiale raccolta delle dichiarazioni del detenuto; (b) se l'imputato od il condannato è detenuto nello stesso luogo in cui ha sede il giudice, ed abbia chiesto di essere sentito personalmente, allora deve essere tradotto. Il d. lgs. n. 150 del 2022 (c.d. “ riforma Cartabia”) ha, tuttavia, nell'ottica di implementare l'istituto della partecipazione a distanza alle udienze, ha previsto che se l'interessato richiede di essere sentito ed è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, si provvede mediante collegamento a distanza quando l'interessato vi consente. In caso contrario, l'interessato è sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo. Dunque, è stata introdotta la facoltà per l'interessato detenuto di essere ascoltato direttamente dal giudice titolare del procedimento, ma con partecipazione a distanza ove egli sia detenuto in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. Si ritiene generalmente che la richiesta di partecipazione all'udienza da parte dell'imputato deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di cinque giorni antecedenti l'udienza di cui all'art. 127 (Cass. VI, n. 17068/2011). La richiesta di audizione dell'indagato, però, non deve essere necessariamente presentata dall'interessato, ma può essere avanzata anche dal suo difensore (Cass. IV, n. 39878/2007). Occorre infine evidenziare che le norme sul procedimento in camera di consiglio non si applicano, alla disciplina della partecipazione dell'indagato all'udienza fissata per l'assunzione dell'incidente probatorio: in questo caso la partecipazione dell'indagato all'assunzione della prova dichiarativa non è subordinata ad una previa manifestazione di volontà, ed il giudice, se a conoscenza di uno stato di detenzione che osti alla volontaria partecipazione, deve, a pena di nullità assoluta ed insanabile, disporre la traduzione, anche rinviando d'ufficio l'udienza, in applicazione della regola generale di cui all'art. 420-ter(Cass. III, n. 13650/2020). Particolarità per la udienza camerale di appello e per il riesame Una interpretazione costituzionalmente orientata, e maggiormente rispettosa dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia, ha però introdotto alla regola enunciata al paragrafo precedente una eccezione per il giudizio di appello avverso le sentenze definite con il giudizio abbreviato nonché per il giudizio di riesame. In esito ad una lenta elaborazione giurisprudenziale è oggi assolutamente prevalente l'orientamento che sancisce un incondizionato diritto dell'imputato detenuto a presenziare alle udienze a suo carico che abbiano ad oggetto misure cautelari ovvero l'appello avverso la sentenza emessa in sede di giudizio abbreviato. Al riguardo la giurisprudenza ha scritto pagine molto chiare, affermando che: a) determina la nullità assoluta ed insanabile dell'udienza e del provvedimento conclusivo ai sensi degli artt. 178 e 179 del procedimento camerale di riesame o di appello avverso le misure cautelari personali la mancata traduzione in udienza dell'imputato o dell'indagato — detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice — che abbia fatto richiesta di presenziare alla sua celebrazione (Cass. VI, n. 21849/2015); b) determina, del pari, nullità della sentenza pronunciata in esito al giudizio camerale d'appello la mancata traduzione dell'imputato detenuto, che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire all'udienza (Cass. S.U., n. 35399/2010); c) può ritenersi tardiva la richiesta di traduzione formulata — nel giudizio camerale di appello — dall'imputato detenuto, o comunque soggetto a misure limitative della libertà personale, solo quando, a causa dell'intempestività dell'istanza, non vi è la possibilità pratica di assicurare la presenza in udienza, sempre che si dia conto in motivazione delle specifiche e concrete ragioni che ne impediscono la traduzione (Cass. III, n. 50443/2015). Con specifico riferimento al procedimento di riesame, occorre evidenziare come, per effetto della modifica dell'art. 309 operata dalla l. n. 47/2015, il soggetto sottoposto a misura privativa o limitativa della libertà personale può esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza camerale solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, nell'istanza di riesame. E non sono più applicabili le disposizioni di cui agli artt. 127, comma 3, e 101 disp. att., che prevedono il diritto dell'interessato detenuto o internato fuori dal circondario ad essere sentito dal magistrato di sorveglianza (Cass. I, n. 49882/2015). Alla luce di tale innovazione legislativa la Suprema Corte a Sezioni Unite ha stabilito che il diritto di comparire personalmente all'udienza nel procedimento di riesame può essere esercitato dal detenuto solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l'istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentito su specifici temi con l'istanza di differimento ai sensi dell'art. 309, comma 9-bis (Cass. S.U., n. 11803/2020). Il legittimo impedimento del difensore. Le apertureLa interpretazione tradizionale della norma, consacrata anche da importanti decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte, è stata nel senso di escludere la rilevanza del legittimo impedimento del difensore in udienza camerale. Si era infatti affermato che: 1) l'art. 420-ter, secondo cui il legittimo impedimento del difensore può costituire causa di rinvio dell'udienza, non trova applicazione con riguardo ai procedimenti camerali, ivi compresi quelli per i quali la presenza del difensore è prevista come necessaria, soccorrendo, in tali ipotesi, possibilità di nominare un difensore di ufficio (Cass. S.U., n. 31461/2006); b) la sospensione o al rinvio del dibattimento in caso di legittimo impedimento del difensore non si applicano ai procedimenti in camera di consiglio che si svolgono con le forme previste dall'art. 127 (Cass. S.U., n. 7551/1998); c) espressione di discrezionalità legislativa, non suscettibile di rilievi di incostituzionalità, la mancata previsione di un legittimo impedimento del difensore nell'udienza camerale (Cass. S.U., n. 7551/1998). Un simile, per anni incontrastato, orientamento ha registrato significative opinioni contrarie. Dapprima la dottrina e poi la giurisprudenza (Cass. VI, n. 10157/2015e, più di recente, Cass. I, n. 10565/2020) hanno osservato che attribuire rilievo al legittimo impedimento del difensore anche nei procedimenti in camera di consiglio, oltre ad elidere ogni dubbio di costituzionalità dell'art. 127 risultando pienamente conforme al dettato degli artt. 24 e 111 Cost., non incontra alcun ostacolo di ordine testuale. In particolare, la formulazione dell'art. 127, secondo cui i difensori sono sentiti «se compaiono», non preclude certamente — ma anzi favorisce — l'interpretazione secondo la quale la partecipazione all'udienza del difensore è facoltativa, ma il difensore ha comunque il diritto di comparire. Pertanto, ove il difensore non compaia, senza addurre alcun legittimo impedimento, il procedimento ha senz'altro corso, senza che la mancata comparizione del difensore determini l'obbligo di provvedere ex art. 97, comma 4 né alcun'altra conseguenza processuale. Laddove, invece, il difensore rappresenti tempestivamente il proprio intendimento di comparire e documenti un legittimo impedimento, a sostegno della richiesta di rinvio, il giudice è tenuto, in presenza di tutte le condizioni di legge, a disporre in tal senso. Una simile interpretazione appare peraltro in linea con i principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, nell'ottica delineata dall'art. 6 CEDU. La giurisprudenza prevalente è tuttavia ancorata all'interpretazione più tradizionale e rigorosa, dell'istituto affermando che il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell'udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le altre parti interessate, siano sentiti solo se compaiono (Cass. IV, n. 14675/2018). Parimenti, nei casi in cui sia prevista come obbligatoria la partecipazione del difensore al procedimento, il diritto di difesa è tutelato dal difensore di ufficio nominato in sostituzione di quello di fiducia assente (Cass. I, n. 18304/2020). Alla luce di tale, allo stato, prevalente orientamento, dunque, nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, non si applica l'art. 420-ter, comma 5, relativo al rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del difensore, di talché, anche in tale ipotesi, la partecipazione necessaria del medesimo è assicurata dalla nomina di un difensore d'ufficio (Cass. I, n. 39808/2017). Ciò in quanto la rilevanza della disciplina prevista dall''art. 420-ter, comma 5, è circoscritta all'udienza preliminare, al giudizio abbreviato e a quello dibattimentale, e non trova applicazione nei procedimenti di esecuzione e sorveglianza. Ma, come si diceva, sono in atto progressive aperture. In particolare, secondo la più recente giurisprudenza, almeno nel giudizio di appello cautelare, sussiste il diritto al legittimo impedimento del difensore, avendo la Suprema Corte ritenuto che costituisce causa di rinvio, che, se disattesa, dà luogo a nullità dell'udienza camerale, irritualmente celebrata, l'omesso rinvio dell'udienza a seguito del legittimo impedimento, per motivi di salute, del difensore di fiducia, documentato e tempestivamente comunicato (Cass., V, n. 30566/2022). E parimenti si è ritenuto con riferimento al procedimento di sorveglianza (Cass., V, n. 17775/2022) e finanche di esecuzione(Cass. I, n. 13775/2020). Astensione dei difensori dalle udienze. Segnalazione di contrastoAnche in ordine al diritto al rinvio della udienza del difensore che aderisca ad una astensione dalle udienze proclamata dagli organismi rappresentativi della avvocatura non si registra, invero, una univoca posizione nella giurisprudenza. In alcuni casi, infatti, si è ritenuto sussistere un simile diritto anche nei procedimenti camerali, essendosi affermato che il giudice deve rinviare l'udienza qualora il difensore, che aderisce allo «sciopero» proclamato dagli organismi rappresentativi di categoria, abbia manifestato in maniera univoca la volontà di presenziare (Cass. II, n. 18681/2015). Tale tesi sembra fatta propria dalla giurisprudenza più recente, che ha affermato che l'adesione del difensore all'astensione collettiva dalle udienze costituisce, qualora tempestivamente comunicata, causa di rinvio dell'udienza di sorveglianza, ed il tribunale non può nominare un sostituto del difensore non comparso ai sensi dell'art. 97, comma 4 (Cass. I, n. 35855/2019). In altri casi, però, si è giunti a soluzioni difformi; in particolare, ritenendo che, nel procedimento dinanzi al tribunale sorveglianza, l'adesione del difensore all'astensione non costituisce causa di rinvio, stante l'esigenza di salvaguardare la celerità nell'applicazione del giudicato, a fronte della quale il diritto di difesa è assicurato dalla nomina di un difensore d'ufficio (Cass. I, n. 6891/2015); decisione tale ultima ribaltata da sentenza coeva, peraltro della stessa sezione (Cass. I, n. 3113/2014). Con riferimento, però, ai procedimenti relativi a misure cautelari personali, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ritenuto che non è consentita l'astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria (Cass. S.U., n. 26711/2013). Infatti il Codice di «Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati», adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, avente valore di normativa secondaria, esclude espressamente che l'astensione possa riguardare le udienze penali «afferenti misure cautelari». Il riferimento, ritenuto appropriato dalla Sezioni Unite, al codice di autoregolamentazione elevato a norma secondaria attraverso il richiamo operato dalla l. n. 146/1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, induce a ritenere preferibile il primo degli orientamenti giurisprudenziali citati in punto di diritto al rinvio in caso di astensione collettiva dalle udienze. Il codice di autoregolamentazione, infatti, non detta una disciplina specifica per i procedimenti in camera di consiglio, e — dunque — non li contempla fra quelli in relazione ai quali non è esercitabile il diritto di sciopero. Fatto questo che induce certamente a ritenere che anche in relazione ad essi il difensore possa astenersi dalle udienze. Le memorie ed i documentiLa disposizione faculta le parti a depositare, fino a cinque giorni prima della udienza, memorie in cancelleria. Ma, non essendo prevista al riguardo una specifica nullità, non sarebbe viziato il provvedimento del giudice che ritenesse ricevibile una memoria tardiva. In merito invece al deposito di documenti, si registra un ulteriore contrasto giurisprudenziale. Per un verso in giurisprudenza si è affermato che la produzione di documenti, se effettuata nel rispetto del contraddittorio, non incontra il limite temporale dei cinque giorni antecedenti all'udienza, previsto per il solo deposito di memorie (Cass. V, n. 43382/2013). Ed un tale principio è stato di recente ribadito con riferimento al procedimento di esecuzione, essendosi affermato che il termine di cinque giorni è valido per le memorie ma non per i documenti, purché sia rispettato il principio del contraddittorio (Cass. V, n. 5458/2018). Ma la Suprema Corte ha invero anche affermato il principio opposto, stabilendo che per la produzione di documenti deve essere rispettato il termine di cinque giorni, previsto per le memorie dal comma 2 dell’art. 127 (Cass. I, n. 26680/2013). È comunque certo che il giudice può porre a base della decisione soltanto le prove che siano state formalmente ammesse prima delle conclusioni delle parti; ed è perciò da considerarsi nulla ex art. 178, per violazione del contraddittorio, la decisione assunta sulla base di documenti acquisiti fuori udienza, mediante ordinanza, successivamente alla riserva della decisione (Cass. I, n. 8585/2015). Svolgimento della udienzaL'udienza si svolge in camera di consiglio, ovvero senza la presenza del pubblico. Ma in applicazione dell'art. 6, par. 1, l. n. 848/1955, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, deve riconoscersi il diritto del giudicabile di sollecitare una pubblica udienza. Le parti sono sentite “se compaiono”. Dunque, le parti hanno mera facoltà, ma non l'obbligo di presenziare alla udienza; cosicché in caso di assenza del difensore il giudice non dovrà procedere alla nomina di sostituto a norma dell'art. 97 comma 4. L'ordine nel quale possono prendere la parola le parti è quello consueto (art. 421). La giurisprudenza ha però precisato che la violazione dell'ordine di intervento delle parti è sfornita di sanzione processuale, in quanto non priva l'indagato né del diritto di intervento né del diritto all'assistenza tecnica (Cass. III, n. 27595/2010). In merito alla facoltà di intervento delle parti, si è chiarito che la comparizione delle parti alla udienza non impone al giudice di procedere autonomamente a dare la parola ai presenti, in quanto egli ha solo l'obbligo di raccogliere le dichiarazioni che le parti intendano fare; cosicché ove la parte, pur presente, non manifesti l'intenzione di esercitare il diritto ad interloquire, nessuna violazione procedurale può ravvisarsi nel comportamento del giudice che pervenga all'atto decisionale senza alcuna audizione della parte (Cass. VI, n. 2443/1999). La giurisprudenza ha inoltre affermato, con specifico riferimento alla udienza camerale tenuta a seguito dell'opposizione proposta dalla persona offesa avverso la richiesta di archiviazione, che il giudice deve provvedere all'audizione dell'opponente qualora questi ne abbia fatto domanda; e che l'omissione di tale adempimento produce una nullità a regime intermedio, la quale deve essere eccepita immediatamente dopo il mancato compimento dell'atto (Cass. IV, n. 20391/2008). Con specifico riferimento allo svolgimento della udienza camerale si è posto in giurisprudenza anche il caso della omessa chiamata per la partecipazione all'udienza di una parte regolarmente presente in cancelleria; e si è ritenuto che tale evenienza sia equiparabile ad una situazione di omessa citazione, cosicché nullo deve ritenersi il provvedimento del giudice che abbia deciso senza dare corso alla audizione della parte che, pur in attesa della sua udienza, non sia stata chiamata (Cass. II, n. 7589/2006). La decisioneIl giudice decide con ordinanza (e per la nozione di ordinanza si rinvia al commento sub art. 125) che è comunicata alle parti presenti quando di essa viene data lettura in udienza; in caso di riserva di decisione, ovvero di parti assenti, la decisione sarà invece notificata a costoro. La decisione è sempre ricorribile in cassazione; ma la proposizione del ricorso non sospende l'esecutività della ordinanza, salvo che ciò non sia disposto dal medesimo giudice che ha emesso il provvedimento avverso il quale il ricorso è stato proposto. La giurisprudenza ha chiarito che l'ordinanza, a differenza della sentenza i cui requisiti sono fissati nell'art. 546, è atto a forma libera, essendo sufficiente che sia chiaramente individuabile l'autorità che l'ha pronunciata e la persona alla quale si riferisce; che contenga la concisa esposizione della motivazione di fatto e di diritto nonché la data e la sottoscrizione del giudice. Il dispositivo non è peraltro requisito necessario, come nella sentenza, essendo esso ricavabile dall'intero testo del documento (Cass. III, n. 528/1996). Per questo, diversamente da quanto avviene per la sentenza, non è prospettabile un contrasto tra dispositivo e motivazione poiché in essi manca il dispositivo inteso come atto dotato di autonoma rilevanza: il contenuto della decisione del giudice è racchiuso nell'intero contesto del provvedimento (Cass. I, n. 11873/2014). Il principio della immutabilità del giudice vige, sia pure in forma attenuata, anche nel procedimento in camera di consiglio; ma non nel senso che devono coincidere le persone fisiche dei giudici che hanno raccolto le prove con quelli che assumono la decisione, posto che in questa sede di regola non vi è attività istruttoria. Ma devono coincidere i giudici che hanno partecipato alla udienza ed alla eventuale discussione con quelli che assumono la decisione (Cass. IV, n. 38122/2014). La inammissibilitàLa disposizione in commento prevede che in caso di inammissibilità dell'atto introduttivo, questa sia dichiarata dal giudice anche senza formalità di procedura. La interpretazione tradizionale della disposizione ha così affermato la legittimità di una pronuncia di inammissibilità adottata «de plano», ovvero fuori e senza fissazione di udienza. Più in particolare si è ritenuto che la decisione «de plano» debba essere adottata in tutti i casi in cui la richiesta sia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, dunque per evidente carenza di legittimazione, vizio di forma, mancato rispetto di termini, carenza di interesse ed evenienze assimilabili. Cosicché spetta al giudice, caso per caso, valutare se dichiarare la inammissibilità della richiesta «de plano» ovvero adottare il rito camerale partecipato per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento (Cass. III, n. 34945/2015). Un nuovo orientamento va però delineandosi nella giurisprudenza della Suprema Corte, a mente del quale la declaratoria d'inammissibilità dell'istanza andrebbe sempre pronunciata nel contraddittorio delle parti a norma dell'art. 127 comma 1, vale a dire all'esito dell'udienza camerale partecipata (Cass. III, n. 11690/2015). A ciò condurrebbe la nuova formulazione dell'art. 111 Cost., che nel comma 2 ha espressamente costituzionalizzato il principio del contraddittorio, che non sarebbe garantito dalla mera possibilità di proporre ricorso per cassazione avverso la decisione adottata de plano, giacché in tal modo si verrebbe a stravolgere o vanificare il significato stesso del principio del contraddittorio, il quale deve valere per ogni grado del giudizio e non può dirsi rispettato se limitato solo al giudizio di legittimità. In coerenza con tale orientamento le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ritenuto che non può essere dichiarato inammissibile de plano, secondo la procedura prevista dall'art. 127, comma 9, ma deve essere deciso nell'udienza camerale e nel contraddittorio delle parti, previamente avvisate, l'appello avverso una misura interdittiva, che nelle more sia stata revocata a seguito delle condotte riparatorie ex art. 17 d.lgs. n. 231/2001 (Cass. S.U., n. 51515/2018). Dunque, una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui dell'art. 127 comma 9, condurrebbe ad affermare che la inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento camerale può essere dichiarata dal giudice solo all'esito della udienza camerale. Il tema è tuttavia ad oggi ancora controverso, registrandosi anche orientamenti fedeli alla tradizionale lettura della norma ed al chiaro tenore testuale della disposizione. Si è così affermato che è legittima la dichiarazione di inammissibilità per manifesta infondatezza di una istanza di rescissione del giudicato pronunciata "de plano", in quanto l'instaurazione del contraddittorio camerale è necessaria solo nel caso in cui occorra procedere a valutazioni di merito sulla richiesta (Cass. VI, n. 17836/2020). La redazione del verbaleIl verbale della udienza camerale deve essere sempre redatto in forma riassuntiva. Per tale forma di verbalizzazione vedi il commento sub art. 134. CasisticaIn applicazione di tali principi la giurisprudenza ha ritenuto che: a) il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione originato da ricorsi ex art. 325 in materia di sequestri deve svolgersi nelle forme del rito «non partecipato» previsto dall'art. 611 e non in quelle di cui all'art. 127 (Cass. S.U., n. 51207/2015); b) è affetta da nullità di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. c) l’omessa notifica al difensore dell'avviso per l'udienza camerale fissata per la discussione dell'appello ex art. 310 (Cass. II, n. 3874/2019); c) il deposito delle memorie difensive nel procedimento di appello cautelare è regolato non già dalla norma generale di cui all'art. 121 ma da quella speciale di cui al comma 2 dell'art. 127, con la conseguenza che deve essere rispettato, a pena di inammissibilità, il termine dilatorio di cinque giorni prima dell'udienza (Cass. I, n. 33/2018); d) per effetto della modifica all'art. 309 operata dalla l. n. 47/2015, il detenuto può esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza nel procedimento di riesame solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, nell'istanza di riesame, e non sono più applicabili le disposizioni di cui agli artt. 127, comma 3, e 101 disp. att. che prevedono il diritto dell'interessato detenuto o internato fuori dal circondario ad essere sentito dal magistrato di sorveglianza (Cass. I, n. 49882/2015); e) corretta la decisione del giudice di appello, che non aveva accolto la richiesta di rinvio dell'udienza camerale con la quale il difensore si era limitato soltanto a rappresentare la propria astensione dall'udienza, in adesione allo sciopero indetto dagli organismi rappresentativi di categoria, ma non anche la volontà di voler presenziare alla udienza (Cass. II, n. 18681/2015); f) la mancata traduzione in udienza dell'imputato o dell'indagato — ovunque egli sia detenuto — che abbia fatto richiesta di presenziare al procedimento camerale di riesame o di appello avverso le misure cautelari, determina la nullità assoluta ed insanabile del provvedimento conclusivo ai sensi degli artt. 178 e 179, senza che ne consegua tuttavia l'inefficacia della misura cautelare (Cass. VI, n. 21849/2015); g) l'adesione del difensore all'astensione collettiva dalle udienze non costituisce causa di rinvio nel procedimento dinanzi al tribunale di sorveglianza (Cass. I, n. 6891/2014); h) nulla è l'ordinanza quando il verbale dell'udienza camerale reca in intestazione l'indicazione di un collegio presieduto da magistrato diverso da quello che aveva sottoscritto il provvedimento in veste di presidente (Cass. IV, n. 38122/2014); i) l'omessa citazione del codifensore nel giudizio camerale comporta una nullità a regime intermedio, la quale va eccepita prima della deliberazione della sentenza che definisce il grado, senza che rilevi la presenza o meno in udienza dell'imputato o del codifensore ritualmente citato (Cass. VI, n. 10607/2010); e tale nullità è sanata con la presenza in udienza dell'altro difensore, il quale svolga le sue argomentazioni senza nulla eccepire in proposito (Cass. VI, n. 21736/2008); l) il giudice deve provvedere all'audizione dell'opponente qualora questi ne abbia fatto domanda nell'udienza camerale disposta a seguito dell'opposizione della persona offesa avverso la richiesta di archiviazione proposta dal P.m., e l'omissione di detto adempimento determina una nullità a regime intermedio la quale deve essere eccepita immediatamente dopo il compimento dell'atto e comunque prima delle conclusioni dell'udienza (Cass. V, n. 19584/2010); m) anche la sentenza pronunciata in appello all'esito di giudizio abbreviato deve essere pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza camerale dopo la deliberazione, e non mediante deposito in cancelleria; ma la omessa lettura, pur non facendo decorrere i termini per l'appello, determina una mera irregolarità (Cass. S.U., n. 12822/2010). BibliografiaBiondi, Il procedimento penale in Camera di Consiglio, Milano, 2011; v. sub art. 125. |