Codice di Procedura Penale art. 130 - Correzione di errori materiali.Correzione di errori materiali. 1. La correzione delle sentenze [535 4, 547], delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità [177 s.], e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto, è disposta, anche di ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento [66 comma 3, 624, 668; 48 att.]. Se questo è impugnato, e l'impugnazione non è dichiarata inammissibile [591], la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell'impugnazione [619]. 1-bis. Quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la corte di cassazione a norma dell’articolo 619, comma 2 1. 2. Il giudice provvede in camera di consiglio a norma dell'articolo 127. Dell'ordinanza che ha disposto la correzione è fatta annotazione sull'originale dell'atto. [1] Comma inserito dall’art.1, comma 49, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). InquadramentoA seguito del deposito di un provvedimento giurisdizionale è possibile che venga rilevata la presenza di errori materiali od omissioni da parte di chi lo ha redatto. Il legislatore prende in considerazione tali eventualità e individua, all'art. 130, uno strumento di correzione del provvedimento per emendarlo dagli errori materiali, dettando nel contempo i limiti entro cui tale operazione è consentita. La disposizione in commento è stata integrata nel 2017, ad opera della l. 23 giugno 2017, n. 103, che ha espressamente disciplinato la possibilità di emendare errori di denominazione e calcolo della pena nella sentenza ex art. 444. Il procedimento di correzioneAi sensi del comma 1 dell'art. 130, la correzione del provvedimento giudiziario affetto da errori od omissioni compete al giudice che lo abbia emesso, salvo che non sia stata proposta impugnazione avverso l'atto da correggere. In questo caso, infatti, la competenza spetta al giudice dell'impugnazione, salvo che non sia stata dichiarata inammissibile. Il procedimento di correzione può essere avviato anche d'ufficio, senza che sia necessario un impulso di parte. Il procedimento di impugnazione, ai sensi del comma 3, si svolge in camera di consiglio, secondo la disciplina di cui all'art. 127 (al cui commento si rinvia), e si conclude con un'ordinanza di correzione, destinata ad essere annotata sull'atto emendato. L'ordinanza di correzione non potrà invece essere oggetto di correzione di errore materiale, né di modifiche unilaterali da parte del giudice, potendo tuttavia essere oggetto di ricorso per cassazione (Cass. I, n. 11238/2020). La giurisprudenza di legittimità ha qualificato la competenza a correggere il provvedimento giurisdizionale del giudice che lo abbia emesso come competenza funzionale, precisando che essa è riservata a tale giudice anche quando vi sia stata impugnazione del provvedimento da emendare ma esclusivamente in relazione ad altri capi e punti, alla. (Cass. I, n. 57818/2017). La successiva giurisprudenza di legittimità ha qualificato come abnorme il provvedimento di correzione emesso da un giudice diverso da quello che lo abbia adottato, per carenza assoluta di potere (Cass. I, n. 39618/2019). Tale competenza, come anticipato, è espressamente derogata in caso di impugnazione del provvedimento da correggere, spettando in tal caso al giudice dell'impugnazione. Anche in capo al quest'ultimo si radica una competenzafunzionale, con conseguente nullitàassoluta dell'atto adottato dal giudice che ha emesso il provvedimento erroneo, qualora lo stesso sia stato impugnato, fatta tuttavia eccezione nei casi in cui gli atti siano ancora a disposizione del giudice a quo e ricorra una situazione di urgenza a provvedere. Tanto in caso di correzione effettuata dal giudice – nell'accezione di ufficio giudiziario e non di persona fisica del giudicante, che potrebbe essere intanto mutata (Cass. I, n. 16708/2025) – che ha emesso il provvedimento, quanto nel caso in cui la competenza spetti al giudice dell'impugnazione, il procedimento di correzione, come anticipato, deve avvenire in camera di consiglio, nelle forme di cui all'art. 127, espressamente richiamato dall'art. 130. Qualora il giudice competente ometta di convocare le parti in camera di consiglio ed emetta, de plano, un provvedimento di correzione di errore materiale, dà origine ad una causa di nullità di ordine generale, ex art. 178, (Cass. III, n. 36350/2013), dovendosi invece escludere che si tratti di un atto abnorme (Cass. IV, n. 8612/2022, che supera l'opposto orientamento sostenuto da Cass. III, n. 41093/2011). Per vedere dichiarata nullità del provvedimento di correzione emesso inaudita altera parte, in mancanza di rimedi espressamente previsti dalla legge, dovrà proporsi avverso di esso ricorso per cassazione (Cass. I, n. 1674/2013). La Corte di cassazione ha infatti evidenziato che l'espressione letterale « a norma dell'art. 127 » , contenuta nell'art. 130, comma 2, si riferisce non solo alle forme del procedimento camerale, ma anche al regime di impugnabilità del provvedimento finale (Cass. I, n. 46504/2022). Affinché il ricorso possa essere considerato ammissibile, occorre tuttavia che la parte che lo abbia proposto abbia un concreto e specifico interesse all'accoglimento dell'impugnazione, che non può ravvisarsi allorché non risulti che l'omessa partecipazione alla camera di consiglio, mai convocata, abbia concretamente inciso sul contenuto del provvedimento di correzione (Cass. I, n. 20984/2020). Si tratta di una deduzione difensiva necessaria ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che diversamente sarà dichiarato inammissibile per mancanza di interesse del ricorrente, ogni qual volta risulti che l'omessa convocazione della camera di consiglio non abbia determinato alcun pregiudizioeffettivo a suo carico (Cass. VI, n. 42622/2015); i medesimi principi sono stati affermati anche in relazione alla violazione della competenza funzionale, allorché la correzione sia stata disposta da un giudice che ne sia sprovvisto (Cass. I, n. 10419/2010). L'orientamento descritto ha pertanto alimentato la prassi di adozione di provvedimenti de plano di correzione dell'errore materiale, talvolta anche in calce alle motivazioni della sentenza, al momento del deposito delle stesse.
L’oggetto della correzioneAi sensi del comma 1 dell’art. 130, l’ordinanza di correzione di errori materiali può avere ad oggetto ciascuno degli atti tipici dell’autorità giudiziaria, di cui all’art. 125 (al cui commento si rinvia): sentenze, ordinanze e decreti. Rispetto alle sentenze, tuttavia, il Codice prevede una disciplina speciale agli artt. 535, ultimo comma, in forza del quale, qualora il giudice non abbia provveduto circa le spese, la sentenza è rettificata a norma dell'art. 130, e 547, che richiama il procedimento di correzione per i casi in cui occorra completare la motivazione insufficiente ovvero se manca o è incompleto alcuno dei requisiti dall'art. 546 (al cui commento si rinvia) non previsti a pena di nullità. Si tratta di disposizioni che, pur rinviando espressamente all’art. 130, individuano un oggetto specifico e che deroga ai limiti entro cui è ammessa la correzione di errore materiale, consentendo una vera e propria integrazione del provvedimento. Per effetto della su richiamata riforma del 2017, è stato introdotto in nuovo comma 1-bis dell’art. 130, che disciplina la correzione delle sentenze cc.dd. di patteggiamento, ex artt. 444 e ss., con particolare riferimento a denominazione e computo della pena. Il primo caso riguarda la erronea indicazione della multa in luogo dell’ammenda o della reclusione in luogo dell’arresto e viceversa. Con riferimento invece agli errori di computo, la norma recepisce l’orientamento giurisprudenziale maggioritario che, anche prima della novella, ammetteva la correzione degli errori di calcolo, riconoscibili come tali dal tenore della motivazione (Cass. I, n. 49239/2014). Nel caso in cui la sentenza sia stata oggetto di ricorso per cassazione, sarà quella la sede per la correzione dell’errore, nelle forme dell’art. 619, comma 2 (al cui commento si rinvia). La Corte di cassazione ha tuttavia precisato che, ove il giudice abbia inflitto una pena illegale ma in senso favorevole all'imputato, si realizza un errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico motivo di gravame da parte del Pubblico Ministero, non può porre riparo né con le formalità di cui agli artt. 130 e 619, versandosi in ipotesi di errore di giudizio e non di errore materiale del computo aritmetico della pena, né in osservanza all'art. 1 c.p. e in forza del proprio compito istituzionale di correggere le deviazioni da tale disposizione, in quanto la possibilità di correggere in sede di legittimità l'illegalità della pena, nella specie o nella quantità, è limitata all'ipotesi in cui l'errore sia avvenuto a danno dell'imputato, essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto della reformatio in peius (Cass. III, n. 30286/2022). La procedura ex art. 130 non trova del pari applicazione con riferimento al verbale di udienza (Cass. III, n. 8882/2005) o agli atti del Pubblico Ministero (Cass. I, n. 16779/2004), riguardando i soli atti del giudice. Così chiarito l’ambito oggettivo di operatività del rimedio della correzione di errori materiali (e rinviando al commento all’art. 625-bis per lo speciale procedimento previsto in sede di legittimità), si possono quindi prendere in rassegna gli errori emendabili attraverso il procedimento ex art. 130. Ai sensi del comma 1 della disposizione in commento deve trattarsi di «errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell’atto». La giurisprudenza di legittimità è a più riprese intervenuta per tracciare i confini entro cui è legittimo un intervento correttivo del giudice, affermando che tale rimedio deve ritenersi escluso quando la correzione si risolve nella modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già assunta. L'errore, quale che sia la causa che possa averlo determinato, una volta divenuto partecipe del processo formativo della volontà del giudice, non può che diffondere i suoi effetti sulla decisione: ma questa, nella sua organica unità e nelle sue essenziali componenti non può subire interventi correttivi, per quanto ampio significato si voglia dare alla nozione di "errore materiale" suscettibile di correzione. Viceversa, sono sempre ammissibili gli interventi correttivi imposti soltanto dalla necessità di armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione con il suo reale intangibile contenuto, proprio perché intrinsecamente incapaci di incidere sulla decisione già assunta. (Cass. S.U., n. 8/1994). L’errore materiale viene dunque tenuto distinto dall’errore concettuale, che incide sulla fase formativa del ragionamento del giudice, nonché da quello c.d. ostativo, incidente nella dichiarazione, che non corrisponde alla reale volontà. Sussiste l’errore materiale nei soli casi di divergenza di immediata rilevabilità ed emendabile con semplici operazioni meccaniche di adeguamento sostitutivo o integrativo, che non potranno mai riguardare il processo di formazione del giudizio o richiedere un’indagine diretta a stabilire quale fu la reale volontà o l’idea manifestata col processo di documentazione (Cass. S.U., n. 7945/2008). La correzione integrativa è pertanto consentita solo se riconducibile nell’ambito di un rapporto di stretta dipendenza logico-giuridica con il contenuto di una decisione, perché soltanto in presenza di tale rapporto l’integrazione rispetta l’intangibilità del contenuto essenziale del provvedimento e lo rende conforme ai parametri normativi di riferimento (Cass. S.U., n. 7945/2008). L’errore emendabile deve dunque rinvenirsi nei casi di divergenza manifesta e casuale tra la volontà del giudice e il correlativo mezzo di espressione, come nel caso di errore linguistico ed errore evidenziabile immediatamente dal contesto interno dell’atto, da considerarsi alla stregua di mere irregolarità formali, riparabili attraverso la semplice esplicitazione della volontà effettiva del giudice enucleabile dall’atto stesso (Cass. S.U., n. 7945/2008). A tali ipotesi la giurisprudenza di legittimità equipara i casi in cui, a fronte della divergenza tra l’espressione usata dal giudice e quanto egli, pur nell’assenza di dirette risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto univocamente esprimere in forza di un obbligo normativo, occorre ricostruire non già la volontà soggettiva del magistrato ma la sua volontà oggettiva, necessaria per legge. Al contrario, non sono mai legittimati processi concettuali di revisione o formulazione ex novo della volontà giudiziale, potendosi esclusivamente ammettere interventi correttivi di automatica applicazione di quanto sia imposto dall’ordinamento (Cass. S.U., n. 7945/2008). Le coordinate ermeneutiche della giurisprudenza delle Sezioni Unite hanno trovato eco e specificazione nelle pronunce successive, con cui è stata riconosciuta la possibilità di correzione del provvedimento del giudice nelle forme dell’art. 130 mediante integrazione di statuizioni obbligatorie a carattere accessorio e a contenuto predeterminato (Cass. III, n. 16714/2024)con esclusione invece dell’emenda di errori di diritto, di interpretazione delle norme applicate (Cass. VI, n. 25861/2013) o di applicazione di parametri di giudizio errati (Cass. II, n. 16367/2014). La casistica di riferimentoLa casistica di riferimento è molto ampia e ha visto intervenire in numerose occasioni la Corte di cassazione per stabilire se ed entro quali limiti sia legittimo l’intervento di correzione nelle forme dell’art. 130, alla luce dei criteri generali sopra delineati. Gli errori materiali suscettibili di correzione Tra gli errori materiali suscettibili di correzione ex art. 130, la giurisprudenza di legittimità annovera quelli relativi alle generalità dell'imputato, purché non vi siano dubbi in merito alla sua identificazione. È stato pertanto ritenuto legittimo il provvedimento di correzione data di nascita dell'imputato (Cass. II, n. 32641/2018) e finanche del nome e cognome dello stesso (Cass. II, n. 3396/2012), quando non vi è incertezza sulla riferibilità dell'attività giurisdizionale e dei provvedimenti del giudice alla sua persona, siano essi introduttivi del giudizio o conclusivi del processo, come la sentenza (Cass. I, n. 1406/2014). È stata altresì considerata dalla Corte di Cassazione legittima la correzione della data di commissione del reato indicata nel decreto che dispone il giudizio, risulti frutto di un mero errore materiale, obiettivamente riconoscibile (Cass., II, n. 14536/2018). La giurisprudenza di legittimità ammette finanche la correzione dell'errore di calcolo, purché riscontrabile a fronte di parametri predeterminati e che non lascino margini di discrezionalità al giudice, come nel caso di riduzione di un terzo della pena per effetto del giudizio nelle forme del rito abbreviato (Cass. IV, n. 26117/2012). È altresì considerato un errore materiale suscettibile di correzione nelle forme ex art. 130 quello relativi alla intestazione della sentenza che riporti il nominativo di un componente del collegio giudicante diverso da quello che ha preso effettivamente parte alla deliberazione, come da verbale di udienza (Cass. V, n. 2809/2014). Al contrario, la Corte di cassazione ha escluso dall'ambito di operatività dell'art. 130 i casi in cui l'errore non presenti le caratteristiche di riconoscibilità obiettiva e di automatica emendabilità. È stato pertanto affermato che la sentenza che rechi il dispositivo e la motivazione riguardanti un soggetto imputato in un altro processo non è emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali, posto che la sostanziale assenza della motivazione richiederebbe una modifica essenziale del provvedimento su aspetti attinenti alla discrezionalità del giudice (Cass. VI, n. 15263/2025). Allo stesso modo, l'affermazione della recidiva nonostante che l'imputato sia incensurato è stata considerata frutto di un errore giuridico, emendabile solo con la impugnazione (Cass. V, n. 17926/2019), così come la previsione della sospensione della patente di guida in luogo della revoca della stessa (Cass. IV, n. 19144/2015), o ancora la erronea concessione della sospensione condizionale in assenza dei presupposti di legge (Cass. I, n. 214/2021). Le omissioni suscettibili di integrazione Anche con riferimento alle omissioni suscettibili di integrazione del provvedimento del giudice, mediante il procedimento di correzione ex art. 130, sono state oggetto di plurimi interventi della Corte di Cassazione, che ha così delimitato l'ambito applicativo della disposizione in commento. È stato infatti affermato che non è consentita l'introduzione postuma di elementi estranei alla ratio decidendi e che comportino l'esercizio di un potere discrezionale (Cass. I, n. 30483/2010), laddove sono emendabili con il procedimento ex art. 130 le omissioni di statuizioni obbligatorie a carattere accessorio e a contenuto predeterminato. Tra i casi più frequenti rientra in primo luogo quello di omessa condanna al pagamento delle spese processuali. La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, al riguardo, che l'omessa statuizione sulle spese di custodia e conservazione dei beni sequestrati può essere emendata con la procedura di correzione degli errori materiali, in quanto l'obbligo del pagamento di tali spese è stabilito direttamente dalla legge (Cass. I, n. 3347/2014). Ad analoga soluzione la Corte è pervenuta con riferimento alla condanna al pagamento delle spese processuali, quando la Corte di cassazione dichiari inammissibile o rigetti il ricorso, omettendo di condannare il ricorrente alle spese, in quanto tale condanna consegue in via automatica a tali pronunce. Alla medesima soluzione non è invece possibile pervenire con riferimento alla condanna al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che richiede una valutazione discrezionale della Corte sia nell'an sia nel quantum (Cass. I, n. 48189/2013). Rientrano, secondo la giurisprudenza di legittimità, tra le previsioni che, in caso di omissione da parte del giudice, possono essere inserite mediante correzione ex art. 130, quelle di condanna del responsabile civile, in solido con l'imputato, al pagamento delle spese processuali (Cass. IV, n. 31353/2013) o di condanna dell'imputato al pagamento delle spese di mantenimento in carcere (Cass. VI, n. 38189/2011), in quanto conseguono di diritto alla condanna. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno altresì ammesso la possibilità di correzione del provvedimento del giudice, allorché sia stata omessa la condanna dell'imputato alla refusione delle spese di costituzione di parte civile e non emergano elementi tali da ipotizzare una compensazione (Cass. S.U. , n. 7945/2008 , seguita da Cass. V, n. 14702/2019 e Cass. IV, n. 5805/2021 ). Qualora tuttavia manchi del tutto, nel dispositivo, l'intero complesso delle statuizioni di carattere civile non può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, posto che sono coinvolte scelte discrezionali e di merito, in quanto tali non predeterminate e quindi non integrabili ex post (Cass. II, n. 28168/2010). La giurisprudenza di legittimità ha invece ritenuto legittimo il provvedimento di correzione di errore materiale con cui il giudice abbia disposto, a seguito di un'omissione nel dispositivo della sentenza, la sospensione condizionale della pena, purché tale statuizione risulti chiaramente e correttamente enunciata in sede di motivazione (Cass. II, n. 3186/2013). È stata altresì ritenuta emendabile nelle forme dell'art. 130 la omessa statuizione in ordine alla confisca obbligatoria di beni in sequestro (Cass. III, n. 16714/2024). Del pari, è possibile adoperare il procedimento di correzione nel caso in cui nella intestazione della sentenza non sia inserito un capo di imputazione, contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero, oggetto della decisione, poiché non modifica il contenuto essenziale del provvedimento (Cass. VI, n. 29912/2018). Sono invece escluse dall'ambito operativo della correzione di errore materiale le omissioni relative alla condanna a sanzione amministrativa accessoria (Cass. I, n. 3627/2022), ovvero alla indicazione nel dispositivo letto in udienza e riprodotto in calce alla motivazione, del nominativo di uno degli imputati (in quanto causa di nullità della sentenza) (Cass. I, n. 13559/2009), o ancora l'irrogazione di una pena prevista dalla legge nel dispositivo di una sentenza di condanna (Cass. III, n. 19537/2015). In relazione a tale ultima evenienza, la Corte di cassazione ha infatti osservato che l'omessa irrogazione, con il dispositivo di una sentenza di condanna, di una pena prevista ex legenon integra un errore materiale, ma dà luogo ad un errore di diritto, come tale non rettificabile, venendo in rilievo un errore di giudizio e non un mero errore materiale di computo ed ostandovi il disposto di cui all'art. 1 c.p., atteso che la possibilità di emendare, in sede di legittimità, l'illegalità della pena, nella sua specie o nella sua quantità, è limitata al caso in cui l'errore sia in danno dell'imputato, stante l'insuperabilità del divieto di reformatio in peius (Cass. II, n. 5851/2025). BibliografiaVedi sub art. 125. |