Codice di Procedura Penale art. 143 - Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali 1 .

Angelo Salerno

Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali1.

1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.

2. Negli stessi casi l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna.

3. La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza.

4. L'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano.

5. L'interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.

6. La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti del presente titolo. La prestazione dell'ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, d.lg. 4 marzo 2014, n. 32. Il testo originario recitava: «Nomina dell'interprete. 1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. 2. Oltre che nel caso previsto dal comma 1 e dall'articolo 119, l'autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete. 3. L'interprete è nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. 4. La prestazione dell'ufficio di interprete è obbligatoria.».

Inquadramento

Ai diritti dei cittadini appartenenti alle minoranze linguistiche riconosciute, di cui all'art. 109, si affianca la disciplina generale dell'art. 143, che garantisce all'imputato – con estensione all'indagato – il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete per poter comprendere le accuse mossegli o seguire il compimento degli atti processuali e lo svolgimento delle udienze cui presenzi, nonché per le comunicazioni con il difensore. La disposizione in commento prevede altresì il diritto alla traduzione scritta di determinati atti processuali nella lingua compresa dall'imputato.

Il testo dell'art. 143 è stato invero riscritto per effetto del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, di attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.

In assenza di una disciplina transitoria, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la nuova disciplina, nella parte in cui estende il diritto all'assistenza di un interprete e alla traduzione scritta in favore dell'imputato alloglotta, non opera in relazione ad atti e attività compiuti antecedentemente alla data di entrata in vigore della novella (Cass. III, n. 27067/2014), con la precisazione che, quando vi sia un diritto ancora esercitabile, l'obbligo di traduzione degli atti processuali è configurabile anche in relazione agli atti processuali anteriori alla novella (Cass. III, n. 41834/2015).

Alle norme dell'ordinamento dell'Unione Europea di cui l'articolo in commento costituisce attuazione si affianca il disposto dell'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, il cui paragrafo 3, riconosce il diritto dell'accusato (sia dunque esso indagato o imputato), ad « essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico » (lett. a), nonché di « farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza » (lett. e). Si tratta di garanzie cc.dd. minime, cui il legislatore italiano ha aggiunto, come anticipato, la traduzione scritta degli atti processuali indicati al comma 2 dell'art. 143.

Nello stesso senso l'art. 14, par. 3, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sottoscritto a New York il 19 dicembre 1966.

La disposizione in commento non contempla le altre parti del processo e tantomeno la persona offesa, cui è invece dedicato l'art. 143-bis, al cui commento si rinvia.

Il diritto all’assistenza di un interprete

Ai sensi del comma 1 dell'art. 143, è riconosciuto all'imputato che non conosca la lingua italiana il diritto a farsi assistere da un interprete che provveda alla traduzione simultanea in una lingua dallo stesso conosciuta.

La disposizione citata prevede espressamente che l'assistenza da parte di un interprete debba essere gratuita, precisando altresì che ciò non dipenda dall'esito del procedimento penale.

L'assistenza dell'interprete e quindi la traduzione in lingua conosciuta dall'imputato (o indagato, stante l'estensione di cui all'art. 61, cui si rinvia), è volta, per espressa previsione di legge, al fine di consentire al predetto di comprendere le accuse rivoltegli (come richiesto dall'art. 6, comma 3, lett. a), CEDU), nonché per avere consapevolezza del compimento degli atti del procedimento e poter seguire le udienze alle quali partecipi (come prescritto dall'art. 6, comma 3, lett. e) CEDU).

La nomina e la conseguente presenza in udienza dell'interprete non è sempre e comunque necessaria, rendendosi tale quando l'imputato presenzi alle udienze. In caso, pertanto, di assenza ovvero di rinuncia a presenziare a più o a singole udienze, il giudice non dovrà predisporre la presenza dell'interprete.

Il secondo periodo del comma 1 estende il diritto all'assistenza dell'interprete in favore dell'imputato altresì alle comunicazioni con il difensore, preliminari ad un interrogatorio. In caso, dunque, di arresto in flagranza e successiva convalida, il difensore potrà avvalersi dell'interprete nominato dal Tribunale per i colloqui preventivi con l'arrestato, così come in occasione di ogni altra ipotesi di interrogatorio.

L'assistenza dell'interprete è infine garantita all'imputato c.d. alloglotta ogni qual volta occorra al fine di presentare in favore del medesimo una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.

Alla necessità di assistenza di un interprete in favore dell'imputato, per espressa previsione del comma 5 dell'art. 143, non può sopperire la conoscenza da parte dell'Autorità giudiziaria o della Polizia giudiziaria della lingua (o del dialetto) compresa dall'imputato, dovendosi in ogni caso procedere alla nomina dell'interprete secondo le disposizioni degli artt. 144 e ss. (ai cui commenti si rinvia), con obbligo per l'interprete nominato di procedere all'adempimento del suo ufficio, sancito dal comma 6.

L’accertamento della necessità dell’assistenza di un interprete

Presupposto per il riconoscimento del diritto all'assistenza dell'interprete è la necessità della traduzione in favore dell'imputato, quando quindi questi non comprenda sufficientemente la lingua italiana.

Il comma 4 dell'art. 143 prevede, al riguardo, che l'accertamento in ordine alla conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato debba essere compiuto dall'Autorità giudiziaria, che può avvalersi di una presunzione legale di conoscenza qualora l'imputato sia cittadino italiano.

Si tratta in ogni caso di una presunzione relativa, che consente all'imputato e alla sua difesa di allegare elementi di segno contrari, sulla base dei quali è possibile sollecitare un accertamento da parte del giudice.

Tale accertamento deve essere invece sempre eseguito, per gli indagati o imputati che non siano cittadini italiani, in occasione del primo contatto con la Polizia giudiziaria ovvero con l'Autorità giudiziaria.

In merito al grado di conoscenza della lingua italiana, il legislatore non individua degli standard minimi, adottando un approccio funzionale: dalla lettura del comma 1 dell'art. 143 emerge infatti che l'assistenza dell'interprete è funzionale alla comprensione delle accuse mosse all'indagato o imputato, nonché alla comprensione degli atti processuali e dell'attività in udienza.

Qualora pertanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice, l'imputato sia in possesso della conoscenza della lingua italiana in misura tale da consentirgli di comprendere le accuse a suo carico e il significato dell'attività processuale, potrà procedere senza nominare un interprete.

Quando invece la conoscenza della lingua italiana sia embrionale o comunque insufficiente per ritenere raggiunti gli obiettivi che l'art. 143 si prefigge nel garantire l'assistenza dell'interprete, sarà necessario procedere alla nomina.

Nell'effettuare tale valutazione, il magistrato potrà valutare ogni elemento utile, ivi compreso il comportamento in udienza dell'imputato. Quando questi mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma, al contrario, assuma personalmente iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, al giudice non incombe l'obbligo di provvedere alla nomina dell'interprete, non essendo del resto rinvenibile nell'ordinamento processuale un principio generale da cui discenda il diritto indiscriminato dello straniero, in quanto tale, a giovarsi di tale assistenza (Cass. S.U., n. 12/2000).

Nel contempo non è richiesto all'imputato di dimostrare la propria ignoranza della lingua italiana, potendo questi, anche a mezzo del proprio difensore, limitarsi a dichiarare di non sapersi esprimere in lingua italiana o di non comprenderla, ben potendo questi rinunciare a tale diritto, atteso che l'art. 143 non prevede l'obbligo indiscriminato della nomina di un interprete allo straniero in quanto tale, ma lascia all'imputato straniero la libertà di decidere se richiedere, o meno, tale assistenza (Cass. II, n. 17327/2023).

Spetterà quindi all'Autorità giudiziaria valutare la necessità della nomina dell'interprete, con la precisazione che l'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana costituisce una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se motivata in termini corretti ed esaustivi (Cass. II, n. 11137/2020).

Il nuovo impianto normativo dell'art. 143, come riscritto dalla novella del 2015, consente di ritenere tutt'ora valide le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità – in relazione alla pregressa formulazione della norma – secondo cui il riconoscimento del diritto all'assistenza dell'interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero status di straniero o apolide, ma richiede l'ulteriore presupposto, in capo a quest'ultimo, dell'accertata ignoranza della lingua italiana (Cass. S.U. , n. 25932/2008 ).

Tantomeno il giudice è vincolato dall'avvenuta nomina in altra precedente fase processuale o dall'avvenuta traduzione scritta degli atti processuali, potendo liberamente accertare, in ogni momento o fase del giudizio, la conoscenza effettiva della lingua sulla base di circostanze univoche di segno diverso (Cass. III, n. 37364/2015).

All'opposto, non è consentito desumere la conoscenza della lingua italiana dall'avvenuta nomina di un difensore di fiducia, in assenza di ulteriori elementi che ne rivelino il suo impiego nei contatti intercorsi con il difensore o nel compimento delle altre attività processuali (Cass. III, n. 16794/2015).

L'art. 143 non richiede che l'accertamento circa la conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato sia effettuato personalmente e direttamente dall'Autorità giudiziaria, né che vi partecipi necessariamente il difensore, trattandosi di una semplice verifica di qualità e circostanze e non di un atto a valenza difensiva (Cass. II, n. 7913/2017).

Il giudice potrà dunque procedere all'accertamento anche sulla base degli elementi risultanti dagli atti di Polizia giudiziaria, come ad esempio l'elezione di domicilio, sufficienti in assenza di dati oggettivi indicativi della mancata conoscenza, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove tali elementi non siano concludenti (Cass. III, n. 9354/2021).

 

Le conseguenze in caso di omessa assistenza di un interprete

Qualora risulti che l'imputato necessitasse dell'assistenza di un interprete e l'Autorità giudiziaria non abbia provveduto alla sua nomina, d'ufficio o rigettando la richiesta avanzata dalla parte, si configura un'ipotesi di nullità a regime intermedio (Cass. V, n. 48102/2023) che deve essere eccepita dalla parte prima del compimento dell'atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sia verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Cass. III, n. 5235/2017).

In ogni caso, la mancata nomina di interprete per conferire con il difensore può configurare causa di nullità solo quando abbia determinato un'effettiva lesione del diritto di assistenza dell'imputato, sul quale grava pertanto l'onere di individuare il pregiudizio concretamente subito, ad esempio allegando l'impossibilità di sviluppare argomenti o deduzioni, ovvero altra lacuna difensiva determinata dalla specifica carenza di informazione sul contenuto dell'accusa (Cass. I, n. 30127/2015).

Con particolare riferimento all'udienza di convalida a seguito di arresto o fermo dell'indagato alloglotta, la Corte di cassazione è intervenuta in relazione al caso in cui non sia possibile reperire prontamente un interprete, precisando che in tal caso la convalida è legittima anche senza che si sia previamente proceduto all'interrogatorio dell'arrestato alloglotta per impossibilità di reperire tempestivamente un interprete (Cass. IV, n. 4649/2015).

Tale circostanza viene infatti qualificata come un caso di forza maggiore, che non impedisce la decisione del giudice sulla legittimità dell'operato della polizia giudiziaria (Cass. IV, n. 4649/2015).

Il diritto alla traduzione scritta

Come anticipato, l'art. 143, al comma 2, prevede altresì che quando l'imputato non conosca la lingua italiana, l'Autorità giudiziaria proceda alla traduzione scritta di una serie di atti specificamente indicati dal legislatore nella lingua da questi compresa.

La traduzione deve avvenire entro un termine congruo, che consenta all'imputato l'esercizio dei propri diritti e alla difesa l'esercizio delle proprie facoltà.

Ai sensi del comma 3, anche la traduzione degli atti deve avvenire gratuitamente.

Gli atti per i quali l'Autorità giudiziaria è tenuta alla traduzione scritta sono l'informazione di garanzia ex art. 369, le informazioni sul diritto di difesa ex art. 369-bis, i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, nonché l'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis, i decreti che dispongono l'udienza preliminare, di cui all'art. 419), la citazione a giudizio, le sentenze e i decreti penali di condanna.

Si tratta di un elenco tassativo ma, al contempo, suscettibile di interpretazione estensiva, con particolare riferimento ai “provvedimenti che dispongono misure cautelari personali” e ai decreti di “citazione a giudizio”, suscettibili di ricomprendere rispettivamente le ordinanze applicative di misure di sicurezza provvisorie ovvero i decreti di giudizio immediato (Cass. V, n. 11060/2017) o di rinvio a giudizio, oltre che gli atti di citazione in appello (Cass. VI, n. 3993/2024) o innanzi alla Corte di cassazione.

Parte della giurisprudenza di legittimità ha tuttavia aderito ad una interpretazione restrittiva dell'elenco di cui al comma 2, escludendo la necessità di tradurre l'avviso di fissazione dell'udienza camerale in appello (Cass. II, n. 20394/2022, in senso contrario Cass. VI, n. 3993/2024), l'avviso di fissazione dell'udienza in camera di consiglio innanzi al Tribunale del riesame (Cass. VI, n. 48647/2014), o infine il decreto di fissazione dell'udienza camerale di definizione del patteggiamento (Cass. V, n. 32878/2019).

Del pari è stato escluso dalla giurisprudenza che il provvedimento pronunciato dal Tribunale del riesame rientri nella categoria di quelli che «dispongono misure cautelari personali», pur riconoscendo, in caso di omessa traduzione, che i termini per il ricorso per cassazione decorrano dal momento in cui l'indagato abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto dell'ordinanza (Cass. V, n. 10993/2020). Alle medesime conclusioni la Corte di cassazione è pervenuta anche riguardo all'omessa traduzione dell'ordinanza del tribunale del riesame con cui, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero, sia applicata una misura cautelare personale più gravosa di quella originariamente disposta e non ancora eseguita od eseguibile (Cass. II, n. 10485/2025).

Più di recente, invero, si è registrato un orientamento più attento alle esigenze difensive dell'imputato, affermando che l'omessa traduzione del decreto di citazione in appello all'imputato alloglotto che non comprende la lingua italiana integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, sul presupposto che l'obbligo di traduzione degli atti non è solo funzionale ad informare l'imputato dell'accusa a suo carico, ma è inteso a garantire l'effettività della sua partecipazione al procedimento e l'esplicazione della difesa in forma diretta e personale, anche in fase di appello consentite (Cass. VI, n. 3993/2024).

Alla luce del contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità, sono state rimesse alle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. II, ord. 9900/2025) le seguenti questioni:

«Se il decreto di citazione per il giudizio di appello debba essere tradotto in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana.

Se la sentenza debba essere tradotta in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana.

Se la mancata traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello e della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana integrino una nullità generale a regime intermedio».

All'udienza del 29 maggio 2025, le Sezioni Unite, con decisione le cui motivazioni non risultano depositate nel momenti in cui si scrive, hanno dato risposta affermativa alle prime due questioni, precisando, in ordine alla terza questione che «la mancata traduzione del decreto di citazione per il giudizio d'appello in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporta la nullità generale a regime intermedio dello stesso ove riguardante le indicazioni di cui al combinato disposto degli artt. 601, comma 6, e 429, comma 1, lett. f)» (ossia l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora dell'udienza per la prosecuzione del processo davanti al giudice del dibattimento con l'avvertimento all'imputato che potranno essere disposte, ove ne ricorrano le condizioni, le sanzioni e le misure, anche di confisca, previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede).

È stato altresì affermato dalle Sezioni Unite, nell'informativa provvisoria, che «La mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporta la nullità generale a regime intermedio della "sentenza-documento" con conseguente rinvio al giudice del grado precedente per la traduzione stessa».

Per espressa previsione del comma 3, l'Autorità giudiziaria può disporre altresì la traduzione, sempre gratuita, di altri atti o di parte di essi, diversi da quelli elencati dal comma 2, quando li ritenga essenziali per consentire all'imputato di comprendere le accuse allo stesso rivolte. La traduzione in questo caso può essere disposta d'ufficio o sollecitata su richiesta di parte, su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi con atto motivato, non autonomamente impugnabile ma che può essere oggetto di appello o ricorso per Cassazione unitamente alla sentenza.

I presupposti per la traduzione scritta

Pur con riferimento alla previgente disciplina ma con conclusioni estese espressamente all'attuale formulazione dell'art. 143, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l'obbligo di traduzione degli atti processuali in favore dell'imputato o condannato alloglotta che non comprende la lingua italiana, anche a seguito della novella del 2014, è escluso ove lo stesso si sia posto in una condizione processuale (nella specie, irreperibilità) cui segua per legge la notificazione degli atti mediante consegna al difensore (Cass. I, n. 8591/2020).

Presupposto dell'obbligo di traduzione, oltre alla mancanza di una sufficiente conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato, è la partecipazione al processo da parte di quest'ultimo, personalmente o comunque in maniera tale da avere diretta percezione degli atti da tradurre, con esclusione pertanto dall'oggetto dell'art. 143 di quegli atti destinati al solo difensore (Cass. I, n. 8591/2020, già Cass. II, n. 12101/2015).

Con particolare riferimento al caso in cui l'imputato alloglotta abbia eletto domicilio presso il proprio difensore, si sono registrate posizioni divergenti nella giurisprudenza di legittimità.

È stato infatti sostenuto che l'obbligo di traduzione non sussista in favore dell'imputato alloglotta in tutti i casi in cui questi abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, precisando che grava sul difensore di fiducia ma non anche su quello d'ufficio l'obbligo-onere di traduzione degli atti nell'eventuale diversa lingua del cliente alloglotta o, quantomeno, di farne comprendere allo stesso il significato (Cass. V, n. 57740/2017;Cass. II, n. 31643/2017).

Di segno contrario sono risultate tuttavia le pronunce successive della Corte di cassazione, secondo cui l'elezione di domicilio presso un difensore attiene solo alle modalità di notificazione degli atti processuali e non comporta la rinuncia dell'indagato alloglotta alla traduzione degli atti nella propria lingua (Cass. VI, n. 30143/2021). La Corte ha infatti precisato che sul difensore domiciliatario grava solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione (Cass. I, n. 28562/2022; Cass. I, n. 40584/2021).

Le conseguenze dell’omessa traduzione

Qualora sussista l'obbligo di procedere a traduzione scritta di un atto del procedimento e l'Autorità giudiziaria non vi provveda, si verifica una lesione del diritto di difesa dell'imputato, con conseguente nullità di ordine generale ex art. 178, lett. c), di tipo intermedio e sanabile.

A tali conclusioni la giurisprudenza di legittimità è giunta in relazione ad un'ampia casistica, confermando natura e regime della nullità che deriva dalla violazione del diritto dell'imputato alloglotta alla traduzione scritta degli atti del procedimento.

La causa di nullità è stata ravvisata in caso di omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all'indagato che non comprenda la lingua italiana, con la precisazione che tale nullità non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 (Cass. S.U. , n. 39298/2006 ).

Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato una nullità di ordine generale a regime intermedio in caso di omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio, da ritenersi sanata qualora non sia tempestivamente eccepita (Cass. VI, n. 44421/2015), così come in caso di omessa traduzione della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti introduttivi dell'udienza preliminare, sanata dalla comparizione della parte e dalla mancata tempestiva deduzione della stessa (Cass. III, n. 37364/2015).

Infine, è stata considerata causa di nullità generale di tipo intermedio, sanata in caso di comparizione della parte, l'omessa traduzione del decreto di giudizio immediato (Cass. V, n. 11060/2017).

La sentenza non tradotta

Con particolare riferimento alla traduzione nella lingua compresa dall'imputato (che può dunque non coincidere con la sua lingua madre) della sentenza, oggi espressamente ricompresa nell'elenco degli atti di cui è obbligatoria la traduzione (ma non del solo dispositivo, che non rientra nell'elenco suddetto: Cass. III, n. 19195/2015), la giurisprudenza ha chiarito che l'omessa traduzione non comporta la nullità della decisione, incidendo esclusivamente sul termine per proporre impugnazione.

Difatti, a giudizio esaurito, l'omessa traduzione della sentenza non incide sul diritto di partecipazione o difesa dell'imputato, con esclusione della nullità generale ex art. 178, lett. c).

Tuttavia, ove la sentenza non venga tradotta, l'imputato non sarà in grado di comprendere la decisione e le sue motivazioni, sì da non poter valutare eventuali impugnazioni, tantomeno nei ristretti termini di cui all'art. 585.

La giurisprudenza di legittimità ha quindi chiarito che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotto che non conosce la lingua italiana non integra un'ipotesi di nullità ma, se vi sia stata specifica richiesta della traduzione, i termini per impugnare, nei confronti del solo imputato, decorrono dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota (Cass. VI, n. 24730/2024), con possibilità di ottenere la rimessione in termini per proporre impugnazione (Cass. II, n.  22465/2022).

La traduzione potrà essere anche non integrale, a condizione che essa abbia ad oggetto le parti rilevanti, relative alla posizione processuale del predetto, così da consentirgli di poter comprendere l'accusa elevata nei suoi confronti e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa (Cass. III, n. 30805/2024).

In merito al rilievo dell'omessa traduzione della sentenza in favore dell'imputato alloglotta si è registrato di recente un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

La relativa eccezione è stata infatti, in un primo momento, considerata dalla Corte di cassazione un atto personalissimo, non delegabile tantomeno alla difesa tecnica né desumibile dal silenzio mantenuto dall'imputato a fronte dell'eccezione avanzata dal difensore (Cass. VII, n. 9504/2019). Più di recente, tuttavia, la Corte ha ammesso la legittimazione del difensore dell'imputato alloglotto ad eccepire l'omessa traduzione della sentenza emessa nei confronti dell'assistito, ritenendo che si tratti di attività rientrante nella complessiva difesa tecnica a lui affidata e non invece di atto personalissimo riservato in esclusiva all'imputato (Cass. VI, n. 3993/2024).

In ogni caso, non è sufficiente il mero dato storico della mancata traduzione, ma è necessario dimostrare il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione (Cass. VI, n. 25276/2017).

L’ordinanza cautelare non tradotta

Riguardo, infine, all'omessa traduzione dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, occorre fin da subito evidenziare che il comma 2 dell'art. 143 prende in considerazione le sole ordinanze applicative di misure cautelari personali.

La giurisprudenza ha pertanto escluso che dal mancato espletamento di tale adempimento in relazione ad un'ordinanza di sequestro discenda alcuna conseguenza giuridica o influenza sulla decorrenza del termine per proporre impugnazione al tribunale del riesame (Cass. II, n. 41961/2017).

Con riferimento invece alle ordinanze applicative di misure cautelari personali, si sono registrati contrasti nella giurisprudenza di legittimità, tra un orientamento più rigoroso, che ravvisava in caso di omessa traduzione del provvedimento restrittivo una nullità a regime intermedio del provvedimento, purché la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato fosse già nota al momento dell'emissione del titolo cautelare (Cass. III, n. 14990/2015), e l'opposto orientamento che riconnetteva alla mancata traduzione la mera non decorrenza dei termini per proporre impugnazione (Cass. V, n. 18023/2013).

A fronte del contrasto registratosi, è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione se la mancata traduzione, entro un termine congruo, in lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana, dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale determini la nullità di detto provvedimento ovvero la perdita di efficacia della misura oppure comporti solo il differimento del termine per proporre impugnazione (Cass. I, ord. n. 30551/2023).

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno quindi risolto il contrasto, affermando che l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 (Cass. S.U., n. 15069/2024).

In quanto nullità generale a regime intermedio, essa deve essere eccepita con l'impugnazione dell'ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità (Cass. III, n. 41786/2021; Cass. I, n. 1072/2020).

Ove, invece, non sia già emerso che l'indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine, la cui violazione determina la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l'ordinanza di custodia cautelare (Cass. S.U., n. 15069/2024).

Tanto chiarito in ordine all'obbligo di traduzione e alle conseguenze della sua violazione, va precisato che la traduzione dell'ordinanza, come previsto dal comma 2 dell'art. 143, deve avvenire in forma scritta, con la conseguenza che anche una eventuale traduzione in forma orale determina una nullità a regime intermedio, da ritenersi tuttavia sanata nel caso in cui al compimento dell'atto abbiano assistito la parte e il suo difensore, senza nulla eccepire (Cass. F, n. 47739/2015); la traduzione scritta non è tuttavia necessaria in caso di ordinanza cautelare emessa all'esito dell'udienza di convalida svoltasi con l'assistenza di un interprete, in quanto in questo caso l'indagato è stato reso edotto degli elementi di accusa a suo carico ed è posto in grado di proporre ricorso al tribunale del riesame (Cass. I, n. 48299/2014).

Sussiste invece l'obbligo di traduzione anche in caso di ordinanza ex art. 27, a seguito di dichiarazione di incompetenza del giudice che aveva emesso il titolo custodiale originario (Cass. III, n. 11514/2015).

Del pari, la traduzione è necessaria in caso di provvedimento di aggravamento della misura cautelare in atto nei confronti dell'indagato o imputato alloglotta (Cass. VI, n. 51951/2017).

In ogni caso, l'eventuale proposizione di appello o riesame avverso l'ordinanza non tradotta, quand'anche sia avvenuta ad opera del solo difensore, determina effetti sananti, purché l'impugnazione non sia stata presentata al solo fine di dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (Cass. III, n. 7056/2015).

È stato inoltre precisato dalla Corte di Cassazione che l'interesse della persona alloglotta a dedurre la nullità derivante dalla tardiva traduzione dell'ordinanza genetica sussiste solo quando la stessa alleghi, quale conseguenza del ritardo, un effettivo illegittimo pregiudizio per i diritti di difesa (Cass. VI, n. 2741/2025).

 

Bibliografia

Curlotti, Il diritto all'interprete: dal dato normativo all'applicazione concreta, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1997, 463, fasc. 2; Meloni, Niente di nuovo sul fronte della traduzione degli atti in ambito processuale; una storia italiana, in Cass. pen. 2010, 3683B, fasc. 10; Spangher, Il diritto all'interprete ed al traduttore: attuata la direttiva Europea Attuata La Direttiva Europea (The Right to an Interpreter and to a Traslator: the Carrying Out of the European Directive, in Cass. pen. 2015, 2876B, fasc. 7-8.

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