Codice di Procedura Penale art. 190 - Diritto alla prova.

Alessandro D'Andrea

Diritto alla prova.

1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte [392, 422, 493, 507, 519, 603, 633]. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza [495] escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue [495 4] o irrilevanti [468].

2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio [70, 195, 224, 237, 422, 507, 511, 603].

3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio [495].

Inquadramento

L'art. 190 introduce il principio del diritto alla prova, ovvero riconosce la prova come diritto della parte, cui pertiene il potere di chiederne l'ammissione, da disporsi dal giudice ove non si tratti di prove vietate dalla legge o di prove manifestamente superflue o irrilevanti. La norma relega l'ammissibilità ex officio delle prove ad un ruolo secondario e marginale, limitato ai soli casi espressamente previsti dalla legge.

Principi generali

L'art. 190 si pone quale norma cardine dell'intero sistema processuale, apparendo quella che, più di ogni altra, ne simboleggia l'attuale natura accusatoria. Si tratta di un processo di parti, cui è quasi integralmente rimessa l'iniziativa probatoria, regalando l'iniziativa officiosa del giudice ad un ruolo residuale ed eccezionale, limitato ai pochi casi ancora espressamente previsti dalla legge.

Per come osservato in giurisprudenza, nel vigente sistema processuale — caratterizzato dalla dialettica delle parti (art. 190), alle quali è attribuito l'onere di allegare le prove a sostegno dei rispettivi petita — il giudice è tenuto a provvedere sulle richieste di parte sulla base dei parametri di ammissibilità enunciati dall'art. 190, comma 1, con riguardo, cioè, ai divieti probatori ed alla pertinenza della prova richiesta al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, non improntata ai suddetti criteri, in fatto e in diritto, non solo esula dal potere del giudice, ma contravviene al diritto alla prova delle parti, concretizzando una violazione di legge che vizia la relativa pronuncia del giudice (Cass. VI, n. 3666/1993).

Il fondamento del diritto alla prova delle parti si rinviene nel dettato dell'art. 111, comma 4, Cost., che cristallizza il principio del contraddittorio nella formazione della prova. Il diritto alla prova dell'imputato trova rifermenti anche nel diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost. e nella presunzione di innocenza di cui all'art. 27 Cost., mentre quello del pubblico ministero nell'obbligo di esercitare l'azione penale sancito dall'art. 112 Cost.

L'ammissione delle prove

A norma del comma 1 dell'art. 190, le prove sono ammesse su richiesta di parte.

Non si tratta, tuttavia, di un diritto assoluto della parte all'acquisizione di ogni mezzo di prova richiesto, essendo stabiliti, nella seconda parte del comma 1, degli specifici limiti di ammissibilità, dovendo il giudice escludere le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti. La prova, in sostanza, è sempre ammissibile, a meno che non vi sia una norma processuale che la escluda.

Quanto agli indicati criteri di ammissione, sono prove vietate dalla legge, come tali non ammissibili, quelle che incorrono in un divieto normativamente previsto in ordine all'oggetto o al soggetto della prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria. La valutazione rimessa al giudice è, in questo caso, vincolata, in quanto di fatto priva di margini di discrezionalità.

Il secondo parametro di ammissibilità attiene, quindi, alla manifesta superfluità o irrilevanza delle prove, imponendo al giudice una valutazione estremamente rigorosa nell'esercizio del potere di relativa esclusione. In questo caso il giudizio riguarda la rilevanza (e pertinenza) della prova, e cioè la sua rispondenza ai parametri indicati dall'art. 187, mentre la superfluità involge una prognosi di più stretta utilità, intendendosi per superflua una prova che sia sovrabbondante o ridondante, e che tenda ad acclarare quanto già sia stato accertato o sia comunque accertabile.

Gli indicati criteri si applicano anche ai fini dell'ammissione della prova contraria che, per l'appunto, può essere denegata dal giudice, con adeguata motivazione, solo quando le prove richieste siano vietate dalla legge o siano manifestamente superflue o irrilevanti (Cass. III, n. 17054/2019). Il diritto alla prova contraria garantito all'imputato dall'art. 495, comma 2, in conformità dell'art. 6, par. 3, lett. d della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e attualmente a livello costituzionale dall'art. 111, comma 3, Cost., può essere, con adeguata motivazione, denegato dal giudice solo quando le prove richieste sono manifestamente superflue o irrilevanti ex art. 190, comma 1, (Cass. VI, n. 44736/2003).

Le Sezioni Unite hanno, poi, chiarito che il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. S.U., n. 15208/2010).

Per il disposto dell'art. 190, comma 1, il giudice provvede senza ritardo con ordinanza sulla richiesta di ammissione delle prove. Conseguentemente, la decisione non può essere riservata ad una fase successiva, né al momento della motivazione della sentenza, essendo immanente al sistema accusatorio la necessità dell'adozione di un provvedimento tempestivo, che consenta alle parti di conoscere gli elementi probatori di cui esse possono disporre per sostenere la propria ipotesi ricostruttiva.

È stato, tuttavia, osservato dalla giurisprudenza che la violazione del dovere di decidere senza ritardo sulla richiesta di ammissione delle prove non comporta alcuna sanzione processuale (Cass. IV, n. 34352/2009).

Il giudice non deve giustificare l'ammissione della prova, ma solo la contraria decisione di rigetto della richiesta di parte, in virtù del principio generale di ammissibilità della prova.

Il giudice può, comunque, ritenere provato un fatto anche sulla base dei risultati probatori ricavati dall'assunzione di un mezzo di prova richiesto da una parte diversa da quella che ha dedotto il fatto stesso.

L'ammissione ex officio

Il secondo comma dell'art. 190 stabilisce che la legge prevede espressamente i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio.

Il potere officioso può, dunque, essere esercitato solo nei casi tassativamente determinati dalla legge, come nelle ipotesi di: accertamento sulla capacità dell'imputato (art. 70); testimonianza indiretta (art. 195); perizia (art. 224); acquisizione di documenti provenienti dell'imputato (art. 237); integrazione probatoria nel corso dell'udienza preliminare (art. 422); ammissione di nuove prove (art. 507) o lettura di atti (art. 511) nel corso del dibattimento; rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello (art. 603).

Per come osservato dalla S.C., il giudice ha il dovere di ricorrere al proprio potere di disporre l'acquisizione, anche d'ufficio, di nuovi mezzi di prova qualora ciò sia indispensabile per rendere la decisione ed ha pertanto l'obbligo di motivare in ordine al mancato esercizio di tale potere-dovere (Cass. II, n. 51740/2013).

La questione si risolve, in termini concreti, nello scrutinio della completezza e logicità della motivazione sul punto del mancato esercizio del potere officioso. Il limite sistematico all'esercizio di tale potere è rappresentato dal fatto che il giudice non può sovrapporre la propria ipotesi ricostruttiva a quella formulata dalle parti, che invece deve essere verificata.

La revoca dei provvedimenti di ammissione

Il comma 3 dell'art. 190 prevede la possibilità per il giudice di revocare i provvedimenti sull'ammissione delle prove, sentite le parti in contraddittorio.

Si tratta di un potere di revoca del giudice che, nella sostanza, appare coincidere con quello previsto dall'art. 495, comma 4, per il quale, all'esito delle risultanze istruttorie, il giudice può revocare con ordinanza, sempre sentite le parti, l'ammissione di prove superflue ovvero disporre l'ammissione di prove dallo stesso in precedenza escluse. Tale seconda opzione può essere determinata sia dal mutato convincimento circa la legalità o la manifesta irrilevanza della prova, che dalla modificata valutazione di rilevanza conseguente alle risultanze scaturite dall'attività dibattimentale.

In tal senso, la mancata citazione del teste per l'udienza, sebbene non determini la decadenza dalla prova, può essere legittimamente valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte richiedente di rinunciare alla prova già ammessa, la cui acquisizione ad una udienza successiva comporterebbe una ingiustificata dilazione dei tempi della decisione incompatibile con il principio della ragionevole durata del processo (Cass. III, n. 20851/2015).

Come osservato, il giudice è tenuto a sentire le parti in contraddittorio prima di poter procedere all'adozione di un provvedimento di revoca delle prove ammesse. Si tratta di un'evidente tutela del diritto alla prova che, tuttavia, non deve essere inteso in termini rigidamente formali, essendo comunque sufficiente che le parti siano poste nella condizione di interloquire al riguardo.

Conseguentemente, è viziata da nullità l'ordinanza con la quale il giudice disponga la revoca dell'ammissione di un teste a discarico dell'imputato, nonostante le insistenze del difensore per la sua ammissione; tuttavia, detta nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182, comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata (Cass. V, 16976/2020).

È stato osservato che in presenza di un comportamento concludente del difensore di rinuncia alla prova, non determina alcuna nullità del procedimento la mancata decisione del giudice sulla richiesta di ammissione alla prova contraria (Cass. III, n. 46325/2011).

L'ordinanza di revoca deve essere motivata, pur potendosi verificare ipotesi di revoca implicita, essendo stato, ad esempio, ritenuto che qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell'istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata con l'acquiescenza delle parti medesime (Cass. V, n. 7108/2016).

L'ambito di operatività della norma

L'inserimento della norma sul diritto alla prova nelle disposizioni generali regolanti la materia probatoria lascia comprendere come tale previsione si riferisca all'intero procedimento penale, e non solo alla fase del dibattimento, in cui, naturalmente, ha un'applicazione maggiormente intensa ed ampia.

Durante le indagini preliminari, invero, non pare potersi parlare di diritto alla prova delle parti, quanto di possibilità per esse di attivarsi nella ricerca e nell'individuazione di quegli elementi che, poi, potranno costituire fondamento per l'esercizio del diritto alla prova.

Con riferimento alla posizione dell'indagato, il mancato svolgimento da parte del P.M. delle attività d'indagine in suo favore non ha rilievo processuale e non determina nullità alcuna (Cass. III, n. 34615/2010), potendo costui raccogliere elementi a proprio favore attraverso lo svolgimento delle attività di investigazioni difensive (Cass. IV, n. 14863/2004).

Il diritto alla prova trova applicazione, poi, nell'incidente probatorio, nel quale devono essere rispettati anche gli specifici limiti imposti dall'art. 392, nonché nell'udienza preliminare, in cui può essere ammessa, a norma dell'art. 422, solo la prova che appaia decisiva ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

Nel giudizio abbreviato, prevedendosi limiti di ammissibilità anche più ristretti di quelli stabiliti dalla regola generale dell'art. 190, l'integrazione probatoria può essere ammessa solo se necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento.

È stato, tuttavia, precisato che, ai fini dell'ammissione al giudizio abbreviato condizionato, la necessità dell'integrazione probatoria non deve essere valutata facendo riferimento ai criteri indicati nell'art. 190, ovvero alla complessità o alla lunghezza dei tempi dell'accertamento probatorio, né si identifica con l'assoluta impossibilità di decidere o con l'incertezza della prova, ma presuppone, da un lato, l'incompletezza di un'informazione probatoria in atti, e, dall'altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilità, o idoneità, del probabile risultato dell'attività istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio (Cass. V, n. 600/2014).

Nel giudizio di appello, invece, il diritto alla prova concerne le sole prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado, essendo stato affermato in giurisprudenza che, in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in sede di appello, il giudice, ove trattasi di prove nuove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, deve disporre la detta rinnovazione osservando i soli limiti previsti dall'art. 495, comma 1, che richiama la regola generale stabilita dall'art. 190, comma 1, secondo cui il giudice ammette le prove escludendo quelle vietate dalla legge o quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti; ne consegue che l'assunzione delle dette prove nuove deve sempre essere vagliata dal giudice di appello sotto il profilo dell'utilità processuale, non invece sotto il profilo della loro indispensabilità o assoluta necessità (Cass. III, n. 42965/2015). L'ammissione di prove nuove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado va adottato senza ritardo con ordinanza dibattimentale nel contraddittorio delle parti (Cass. I, n. 43473/2010).

Nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato le parti non possono far valere un diritto alla rinnovazione dell'istruzione per l'assunzione di prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, spettando in ogni caso al giudice la valutazione in ordine alla assoluta necessità della loro acquisizione (Cass. VI, n. 37901/2019). 

Bibliografia

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