Codice di Procedura Penale art. 191 - Prove illegittimamente acquisite.Prove illegittimamente acquisite. 1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate [26, 62, 63, 103, 141-bis, 195, 203, 228, 240, 254, 270, 271, 343, 360, 407, 526, 729]. 2. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento. 2-bis. Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale1. [1] Comma aggiunto dall'art. 2, comma 1, l.14 luglio 2017, n. 110 , con effetto a decorrere dal 18 luglio 2017, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della stessa legge. InquadramentoL’art. 191 eleva a categoria generale l’inutilizzabilità della prova, ovvero l’impossibilità di utilizzare le prove che siano state illegittimamente acquisite, codificando un principio di fatto già consolidatosi sotto la vigenza del codice abrogato. L'inutilizzabilità della prova e la sua distinzione dalla nullitàIl comma 1 dell'art. 191 prevede che non possono essere utilizzate le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Tale inutilizzabilità, ai sensi del comma 2, è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento. La categoria dell'inutilizzabilità della prova è di controversa collocazione sistematica, sussistendo, in proposito, varie interpretazioni, che spaziano dalla qualificazione di essa come: vizio dell'atto (con conseguente applicazione della sanzione processuale); regola di condotta per il giudice; regola probatoria e di decisione, oltre che causa di invalidità. L'inutilizzabilità è un tipo di invalidità che ha la caratteristica di colpire non l'atto in sé, bensì il suo valore probatorio. L'art. 191, comma 1, come detto, ha di fatto reso esplicito un principio già immanente al sistema processuale, essendo implicito che una prova inammissibile non possa essere considerata nel panorama sottoposto al vaglio del giudice. La creazione ad hoc dell'inutilizzabilità della prova, pertanto, risulta essere stata determinata dall'accertata insufficienza della nullità a fronteggiare gli effetti derivanti dall'inserimento nel circuito processuale di prove affette da specifiche patologie. Particolarmente problematico è proprio l'individuazione del rapporto esistente tra le categorie dell'inutilizzabilità e della nullità, peraltro reso ancor più difficoltoso dall'estensione della sanzione dell'inutilizzabilità, nel testo definitivo dell'art. 191, alle prove cha siano state “acquisite” in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, e non solo a quelle “ammesse”. È stato, in proposito, osservato che il vizio di nullità attiene solo all'inosservanza di alcune forme di assunzione, mentre quello di inutilizzabilità presuppone la presenza di una prova vietata per la sua intrinseca illegittimità. Tale distinzione si palesa, tuttavia, spesso complicata in sede di pratica applicazione. Nelle ipotesi di dubbia interpretazione la giurisprudenza tende ad escludere la sanzione dell'inutilizzabilità laddove la violazione abbia natura formale ovvero attenga a semplici modalità esecutive. In ordine alla delimitazione delle categorie dell'inutilizzabilità e della nullità, le Sezioni Unite hanno osservato che l'inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sé, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell'art. 191. Ed invero, quest'ultima norma, se ha previsto l'inutilizzabilità come sanzione di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e dell'inutilizzabilità, pur operando nell'area della patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti, la prima attenendo sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova — vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti — la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova “vietata” per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale (Cass. S.U., n. 5021/1996). Per la S.C., considerato il contenuto e le ragioni che hanno ispirato la norma dell'art. 191, l'inutilizzabilità della prova, come sanzione di carattere generale, è un rimedio che si aggiunge ma non assorbe quello della nullità. La previsione dell'art. 191 non implica che ogni violazione in ordine alle modalità di acquisizione della prova ne determina la conseguente inutilizzabilità, atteso che essa deriva dalla violazione di un divieto di acquisizione, che, quando non è esplicito, è ravvisabile soltanto in relazione alla natura o all'oggetto della prova e non in relazione alle modalità della sua assunzione (Cass. II, n. 49198/2019). La sanzione dell'inutilizzabilità si riferisce, cioè, alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l'osservanza delle formalità prescritte, dovendosi applicare in tal caso la disciplina delle nullità processuali (Cass. II, n. 9494/2018), qualora, in base al principio di tassatività, la sanzione della nullità sia prevista con riferimento alla specifica violazione (Cass. III, n. 56086/2017). L'istituto dell'inutilizzabilità di cui all'art. 191 è essenzialmente posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile, ovvero come prove a carico. Ne consegue che l'istituto non può essere applicato per ignorare elementi di giudizio astrattamente favorevoli alla difesa che, invece, pur quando l'atto che li contenga risulti affetto da inutilizzabilità, devono essere considerati e, quindi, “utilizzati”, secondo i canoni logico razionali propri della funzione giurisdizionale (Cass. II, n. 17694/2018). Ancora, per “prove diverse da quelle legittimamente acquisite” debbono intendersi non tutte le prove le cui formalità di acquisizione non siano state osservate, ma solo quelle che non si sarebbero potute acquisire proprio a cagione dell'esistenza di un espresso o implicito divieto (Cass. II, n. 15877/2008). La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 252/2020, nel dichiarare la manifesta inammissibilità della questione di legittimità dell'art. 191 nella parte in cui non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di un divieto di legge riguardi anche gli esiti probatori, compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione e ispezione domiciliare e personale compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge, ovvero non convalidati dal P.M. con provvedimento motivato, ha nuovamente ribadito quanto espresso nella sentenza n. 219 del 2019, in cui, nella sostanza occupandosi della medesima questione, aveva escluso la possibilità di trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che l'art. 185, comma 1, contempla esclusivamente in relazione alle nullità. Il petitum del rimettente, a dire della Consulta, risultava fondato sulla richiesta di una pronuncia fortemente “manipolativa”, in una materia in cui, tra l'altro, vige un rigoroso regime di tipicità e tassatività, nella sostanza chiedendo al Giudice delle leggi l'esercizio di opzioni di politica processuale riservate alla discrezionalità del legislatore. L'inutilizzabilità generale e specialeLa dottrina e la giurisprudenza hanno creato diverse categorie distintive dell'istituto dell'inutilizzabilità della prova. Tra di esse, in primo luogo, rileva la distinzione tra l'inutilizzabilità generale e quella speciale, intendendosi con la prima la sanzione scaturente dalla violazione del disposto dell'art. 191, comma 1, disciplinante gli effetti di ogni ipotesi di inutilizzabilità, e con la seconda la sanzione conseguente alla violazione di specifiche disposizioni regolanti il procedimento di formazione della prova. Una particolare ipotesi di inutilizzabilità speciale è stata prevista dal legislatore attraverso la recente introduzione, nella norma generale dell'art 191, del nuovo comma 2-bis, per il quale le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, se non al fine di provare la penale responsabilità delle persone accusate di tale delitto. La ratio delle previsioni di inutilizzabilità speciale è stata individuata nella volontà di sanzionare violazioni attinenti al quomodo di comminare le sanzioni in ipotesi in cui la stessa non sia ricavabile con certezza dall'applicazione della disposizione generale. In ragione della loro peculiare natura, pertanto, le ipotesi di inutilizzabilità speciale si caratterizzano per la loro tassatività. Così, a titolo esemplificativo, è stato affermato che la sanzione dell'inutilizzabilità sancita dall'art. 729, comma 1, come modificato dall'art. 13 l. n. 367/2001, è speciale e come tale non è applicabile in via estensiva o analogica al di fuori dello specifico ambito nel quale essa è dettata, cioè quello delle rogatorie “all'estero”. Ne consegue che la suddetta previsione sanzionatoria non è applicabile all'acquisizione di informazioni, emerse all'interno di un procedimento penale all'estero, che spontaneamente ed autonomamente l'autorità giudiziaria di uno Stato ha offerto all'autorità giudiziaria italiana (Cass. II, n. 20100/2002). Si discute, poi, se nella tematica in esame possano rientrare anche le cosiddette prove incostituzionali, e cioè quelle che siano state acquisite con modalità non specificate dal codice di rito e in violazione di situazioni giuridiche soggettive garantite dalla Costituzione, a loro volta da intendersi richiamate nel disposto dell'art. 191, comma 1. La giurisprudenza ha affermato che rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 191, non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli artt. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell'inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge (Cass.S.U., n. 21/1998). La fattispecie tipica del diritto inviolabile, quindi, per poter esercitare un'efficacia immediata nel sistema probatorio, sulla base del disposto dell'art. 191, deve essere esattamente definita — come, per l'appunto, nelle ipotesi degli artt. 13,14 e 15 Cost. —. L'inviolabilità attiene, in tali casi, a situazioni fattuali di libertà assolute che prescindono, e quindi sono indipendenti, dal fenomeno normativo, trattandosi di valori incomprimibili. L'inutilizzabilità fisiologica e patologicaAltra distinzione consolidata è quella che intercorre tra le categorie dell'inutilizzabilità fisiologica e di quella patologica, riferendosi la prima alla mancanza di conformità al modello legale del provvedimento di ammissione o del procedimento di ammissione della prova, e la seconda, al principio di separazione tra la fase delle indagini preliminari e quella dibattimentale, che tendenzialmente impedisce, nel rispetto della struttura accusatoria del rito, che il materiale raccolto prima della formulazione dell'imputazione possa essere utilizzato ai fini della decisione. L'inutilizzabilità patologica trova consacrazione nella previsione dell'art. 526, che, per l'appunto, afferma il principio dell'inutilizzabilità in dibattimento, ai fini della deliberazione, degli atti investigativi, ovvero di prove che siano diverse da quelle legittimamente acquisite nel fascicolo dibattimentale. La distinzione è stata autorevolmente rappresentata in una decisione delle Sezioni Unite, nella quale, analizzando specificamente il giudizio abbreviato, è stato osservato come tale procedimento costituisca un procedimento “a prova contratta”, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all'udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del “dibattimento”. Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano né l'inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526, con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514 (in quanto in tal caso il vizio-sanzione dell'atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), né le ipotesi di inutilizzabilità “relativa” stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell'inutilizzabilità cosiddetta “patologica”, inerente, cioè, agli atti probatori assunticontra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (Cass.S.U., n. 16/2000). L'inutilizzabilità cosiddetta “patologica”, rilevabile, a differenza di quella cosiddetta “fisiologica”, anche nell'ambito del giudizio abbreviato, costituisce, quindi, un'ipotesi estrema e residuale, ravvisabile solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell'ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell'imputato (Cass. III, n. 882/2018). Nel giudizio abbreviato, in particolare, sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità c.d. patologiche, con la conseguenza che l'irritualità dell'acquisizione dell'atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito (Cass. V, n. 46406/2012). L'inutilizzabilità assoluta e relativaStrettamente connessa alla rappresentata distinzione tra l'inutilizzabilità fisiologica e quella patologica è la ripartizione tra le categorie dell'inutilizzabilità assoluta e di quella relativa. In particolare, a fronte dell'impossibilità di utilizzo degli atti in ogni fase procedimentale (inutilizzabilità assoluta), l'inutilizzabilità relativa si riferisce agli atti processuali che, pur non utilizzabili in fase dibattimentale, non assumono tale valenza in sede di indagini preliminari, ai fini della prosecuzione delle indagini stesse ovvero in ordine alla configurazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273. L'inutilizzabilità, pertanto, ha carattere relativo quando la disposizione processuale limita le potenzialità di impiego dell'atto, nei confronti di determinati soggetti ovvero all'interno di fasi specifiche. Il raccordo con la norma dell'art. 526 non preclude al carattere relativo dell'inutilizzabilità di essere rilevabile di ufficio, nel caso in cui il relativo materiale probatorio dovesse confluire nella fase dibattimentale. In ossequio all'indicata distinzione, la S.C. ha affermato, rappresentando un'ipotesi di inutilizzabilità relativa, che le dichiarazioni spontanee dell'indagato rese a norma dell'art. 350, comma 7, raccolte dalla polizia giudiziaria ma non documentate in verbale nelle forme di cui all'art. 357, commi 2 e 3, ma soltanto annotate sommariamente in forma libera, possono essere utilizzate erga alios quali indizi nella fase delle indagini preliminari ai fini dell'autorizzazione dell'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche nell'ambito di un procedimento per delitti di criminalità organizzata, non ricorrendo alcuna ipotesi di inutilizzabilità generale di cui all'art. 191 ovvero di inutilizzabilità specifica (Cass. I, n. 14980/2004). Allo stesso modo, sono utilizzabili per l'adozione di misure cautelari le dichiarazioni spontanee di persone informate sui fatti annotate dalla polizia giudiziaria e riportate nell'informativa di reato, ancorché non oggetto di verbalizzazione (Cass. I, n. 33819/2014). A soluzione di uno specifico contrasto interpretativo, le Sezioni Unite hanno chiarito che le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Cass. S.U., n. 1149/2009). Altresì riferibile alla distinzione tra inutilizzabilità assoluta e relativa, infine, è l'affermazione del principio per cui il decorso del termine per il compimento delle indagini non può comportare l'invalidazione dell'atto di indagine compiuto dopo la scadenza, ma soltanto la inutilizzabilità — ad istanza di parte — della prova acquisita attraverso tale atto (Cass. VI, n. 9664/2015). La non configurabilità dell'inutilizzabilità derivataSi qualifica una prova come affetta da inutilizzabilità derivata allorquando la patologia viene trasmessa ad una prova successiva, logicamente dipendente da quella antecedente viziata. Con riferimento alle nullità, il principio trova codificazione nel disposto dell'art. 185, per il quale la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo. La giurisprudenza, tuttavia, ne ha escluso la configurabilità con riguardo alle prove inutilizzabili, sul presupposto che, rispetto ad esse, non è prevista una disposizione, analoga a quella dell'art. 185, che preveda la comunicabilità della patologia agli atti successivi e dipendenti. Così, è stato affermato che la regola fissata dall'art. 185, comma 1, secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti successivi che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità; quest'ultima sanzione processuale, infatti, rimane circoscritta alle prove illegittimamente acquisite e non incide in alcun modo sulle altre risultanze probatorie ancorché collegate a quelle inutilizzabili, rispondendo alla ratio legislativa del vitiatur sed non vitiat (Cass. II, n. 6360/1996). Il principio secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest'ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non quelle la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite (Cass. V, n. 12697/2015). Il principio della non configurabilità della inutilizzabilità derivata è stato di recente riaffermato dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 219/2019) che ha dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 191, sollevate per presunto contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, comma 2, e 117, comma 1, in relazione all’art. 8 Conv. EDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevede, in primo luogo, che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato, e, in secondo luogo, che sia vietata la deposizione testimoniale in ordine a tali attività. Ricostruite l’evoluzione e la ratio dell’istituto della inutilizzabilità, infatti, la Consulta ha ritenuto che in materia non possa trovare applicazione un principio di “inutilizzabilità derivata”, sulla falsariga di quanto è previsto invece, nel campo delle nullità, dall’art. 185, comma 1, non potendosi confondere fra loro fenomeni – quali quelli della nullità e della inutilizzabilità – del tutto autonomi e tutt’altro che sovrapponibili, e dunque escludendosi la possibilità di trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità. La rilevabilità del vizioCon riferimento alla rilevabilità dell'inutilizzabilità della prova, la giurisprudenza ha chiarito che la sanzione processuale dell'inutilizzabilità non rientra tra le questioni lasciate nella disponibilità esclusiva delle parti, essendo sempre rilevabile d'ufficio (Cass. III, n. 32530/2010). È stato affermato, quindi, che nel giudizio di rinvio, secondo l'interpretazione prevalente, non possono essere dedotte né rilevate cause di nullità, inammissibilità o inutilizzabilità concernenti atti formati nelle fasi anteriori del procedimento, atteso che la sentenza della corte di cassazione, da cui origina il giudizio stesso, determina una preclusione con riguardo a tutte le questioni non attinte dalla decisione di annullamento, di talché, nell'ipotesi in cu il processo torni nuovamente al vaglio della corte di cassazione, le preclusioni prodotte dalla precedente sentenza di annullamento comportano la limitazione del sindacato di legittimità alle questioni di rito attinenti alle attività processuali compiute nel giudizio di rinvio (Cass. IV, n. 20044/2015). In proposito, è stato osservato che la regola posta dall'art. 627, comma 4 — che inibisce espressamente la sola rilevazione delle cause di nullità o inammissibilità — costituisce applicazione del più generale principio di inoppugnabilità delle sentenze della corte di cassazione, dal quale discende la formazione del cosiddetto “giudicato progressivo” per le questioni non dedotte, di talché l'omessa menzione delle cause di inutilizzabilità non implica che le stesse restino rilevabili oltre i limiti segnati dalla decisione di annullamento (Cass. V, n. 36769/2006). D'altro canto, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Cass. VI, n. 1219/2020). È stato osservato, quindi, che la regola per cui la inutilizzabilità può essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento deve essere raccordata alla norma che limita la cognizione della corte di cassazione, oltre i confini del devolutum, alle sole questioni di puro diritto, sganciate da ogni accertamento sul fatto. Ne consegue che non possono essere proposte per la prima volta, nel giudizio di legittimità, questioni di inutilizzabilità la cui valutazione richieda accertamenti di merito, che come tali devono essere necessariamente sollecitati nel giudizio di appello, salva la possibilità di sindacare i relativi provvedimenti, mediante un successivo ricorso per cassazione, nei limiti segnati dall'art. 606, comma 1, lett. b) (Cass. VI, n. 12175/2005). CasisticaVariegata ed ampia è stata l'applicazione del principio previsto dall'art. 191 nelle pronunce della giurisprudenza di legittimità. Allo scopo di darne una rappresentazione, necessariamente parziale, deve essere osservato come la S.C. abbia affermato il principio per cui è sempre possibile disporre la rinnovazione di un atto probatorio inutilizzabile, purché l'inutilizzabilità non derivi dalla violazione di un divieto previsto dall'art. 191, con riferimento ad un'ipotesi in cui è stato ritenuto legittimo il richiamo effettuato da un verbale di dichiarazioni rese dall'indagato in presenza di difensore in modo espresso ed inequivocabile al contenuto di un precedente verbale di dichiarazioni spontanee del medesimo soggetto alla polizia giudiziaria in assenza del difensore (Cass. II, n. 26738/2013). L'ammissione di prove non tempestivamente indicate dalle parti nelle apposite liste non comporta, poi, alcuna nullità, né le prove in questione, dopo essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili, posto che l' art. 507 consente al giudice di assumere d'ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 (Cass. V, n. 8394/2014). Sempre in tema di esame testimoniale, poi, la violazione del divieto di porre domande suggestive non dà luogo né alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191, né a quella di nullità, atteso che l'inosservanza delle disposizioni fissate dagli artt. 498, comma primo, e 499 non determina né l'assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, né la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall'art. 178 (Cass. III, n. 49993/2019). Ancora, l'assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del presidente o del giudice, pur non essendo conforme alle regole che ne disciplinano l'acquisizione, non dà luogo a nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all'art. 178, né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte (Cass. III, n. 45931/2014). E’ stato chiarito, inoltre, che, in tema di prove, anche a seguito della sentenza della Corte cost. n. 111 del 2023, l’omesso avviso all’interessato della facoltà di non sottoporsi al rilascio di scritture di comparazione non ne determina l’inutilizzabilità (Cass. II, n. 20751/2024). È stato affermato, poi, che il prelievo del Dna della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non é qualificabile quale atto invasivo o costrittivo, e, essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico (Cass. II, n. 2087/2012). E’ stata di recente esclusa, in mancanza di violazione di legge, l’inutilizzabilità dei profili del DNA tipizzati da reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali per la mancata trasmissione del nulla osta del pubblico ministero di cui all’art. 10 della legge n. 85 del 2009, atteso che esso attiene solo alla modalità di trasmissione alla banca dati nazionale del DNA per la raccolta ed i confronti, e dunque ad un adempimento meramente formale attinente alla trasmissione di un risultato legittimamente acquisito (Cass. II, n. 11622/2020). La fonoregistrazione delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dalle persone offese, pur non costituendo prova “diretta” in quanto non è attività tipica di documentazione fornita di una propria autonomia conoscitiva, non rientra tra le prove illegittimamente acquisite di cui è vietata l'utilizzazione (art. 191) ma tra quelle “atipiche” in quanto non disciplinate dalla legge (art. 189), da considerarsi legittima perché volta ad assicurare l'accertamento idoneo dei fatti, senza pregiudizio per la libertà morale dei dichiaranti (Cass. III, n. 36390/2007). Ancora, le dichiarazioni assunte dalla persona offesa nel corso di una rogatoria internazionale non sono inutilizzabili se l'assunzione sia avvenuta alla presenza di un difensore dell'imputato e benché non risultino verbalizzate le domande di detto professionista, trattandosi di prove non nulle, in assenza di una specifica previsione di nullità, ed assunte senza alcuna violazione dei divieti di legge, ma solo con modalità diverse da quelle legalmente previste (Cass. III, n. 1183/2012). Sono, poi, utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo per tutelare il patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio (Cass. II, n. 2890/2015). L'esame a distanza del collaboratore di giustizia, attuato mediante ricorso alla videoconferenza, con riprese da tergo del soggetto esaminato, non comporta l'inutilizzabilità della prova né la nullità assoluta, ex art. 178 e 179, trattandosi di mera irregolarità che, tuttavia, non sussiste ove tale accorgimento sia preordinato a tutelare il soggetto interrogato, giusta la previsione di cui all'art. 147-bis, comma 1, disp. att., applicabile anche all'esame a distanza disciplinato dal comma 2 del medesimo art. 147-bis (Cass. V, n. 22619/2009). E’ stato di recente precisato che è inutilizzabile la prova acquisita dall’agente infiltrato che abbia determinato l’indagato alla commissione di un reato e non quella acquisita con l’azione di mero disvelamento di una risoluzione delittuosa già esistente, rispetto alla quale l’attività dell'infiltrato si presenti solo come occasione di estrinsecazione del reato (Cass. VI, n. 12204/2020). È stato chiarito, infine, che l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione (Cass.S.U., n. 1153/2009), nonché nel procedimento di prevenzione (Cass.S.U., n. 13426/2010). BibliografiaAngeletti, La costruzione e la valutazione della prova penale, Torino, 2012; Aprati, Prove contraddittorie e testimonianza indiretta, Padova, 2007; Aprile, La prova penale, Milano, 2002; Casiraghi, Prove vietate e processo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2009, 1768; Conti, voce Inutilizzabilità, in Enc. giur. Treccani, Aggiornamento, XIII, Roma, 2004, 1; Fanuli, Inutilizzabilità e nullità della prova. Nel giudizio abbreviato, nel patteggiamento e nell'istituto della acquisizione degli atti su accordo delle parti, Milano, 2004; Galantini, Inutilizzabilità della prova e diritto vivente, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2012, 64; Melchionda, voce Prova in generale (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Agg., I, Milano, 1997, 838; Scella, voce Inutilizzabilità della prova (diritto processuale penale), in Enc. dir., Annali, vol. II, Milano, 2008, 479. |