Codice di Procedura Penale art. 197 bis - Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone 1 2 3 .Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone 123. 1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444. 2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c). 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio (2). 4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti. 5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette. 6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3 (3).
[1] Articolo inserito dall'art. 6 l. 1° marzo 2001, n. 63. [2] La Corte cost., con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 6 del presente articolo «nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis c.p.p. nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile». Successivamente, la Corte cost., con sentenza 26 gennaio 2017, n. 21, ha dichiarato, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede l’assistenza di un difensore anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile. [3] La Corte cost., con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 6 del presente articolo «nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis c.p.p. nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile». Successivamente la Corte cost., con sentenza 26 gennaio 2017, n. 21 (in Gazz.Uff. 1° febbraio 2017, n 5), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui prevede l’applicazione della disposizione di cui all’art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del presente articolo, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile. InquadramentoLa norma prevede la disciplina in tema di testimonianza dei soggetti di cui alle lettere a) e b) dell'art. 197 c.p.p. per i quali sia venuta meno la ragione di incompatibilità a testimoniare, per essere intervenuta decisione irrevocabile sulla loro posizione (proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena), ovvero per avere gli stessi accettato di rendere testimonianza alle date condizioni. Nel sistema delineato nel contesto della riforma del giusto processo con l. n. 63/2001, che ha ridotto l'ambito dei casi di incompatibilità a testimoniare per le esigenze di garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio, l'art. 197-bis c.p.p. introduce per tale testimonianza modalità, limiti e criterio legale di valutazione, che la differenziano dal caso comune, delineando la particolare figura del “testimone assistito”. La peculiarità è che tale soggetto ha la posizione del testimone quanto a obbligatorietà della deposizione e obbligo di dire la verità, non potendo quindi sottrarsi all'esame condotto dalle parti, ma dall'altro ha la posizione della persona esaminata ai sensi dell'art. 210 c.p.p. Difatti il testimone dell'art. 197-bis c.p.p.: – deve essere assistito dal difensore; – non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità, salvo, il caso che sia stato assolto ovvero abbia confermato la propria responsabilità nel corso del giudizio. In ogni caso, le sue dichiarazioni non potranno mai essere utilizzate contro di lui in alcun tipo di giudizio (agevole ritenere che nell'ambito del “giudizio civile o amministrativo” di cui al testo della norma, rientri anche il giudizio tributario); – rende dichiarazioni sottoposte alla regola legale di valutazione del comma 6: si applica la disposizione dell'art. 192, comma 3, c.p.p. In tale modo, la norma risolve il dubbio “strutturale” sulla affidabilità di un soggetto che ha un peculiare legame con il fatto per il quale di procede, applicando alle sue dichiarazioni la regola che impone la presenza di riscontri oggettivi che ne confermino la attendibilità. La disposizione va però integrata da due interventi della Corte costituzionale che hanno creato una sorta di categoria intermedia: con sentenze n. 381/2006 e n. 21/2017, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 6 nella parte in cui sono applicabili alle persone assolte con sentenza irrevocabile “perché il fatto non sussiste” e “per non avere commesso il fatto”. Tali persone, quindi, sono testimoni “comuni”, non dovendo essere assistiti da un difensore e non è applicabile per valutare le loro dichiarazioni la regola di giudizio dell'art. 192, comma 3, c.p.p. Mantengono, però, un particolare status, operando in loro favore le garanzie dei commi 4 e 5 (non possono essere obbligati a parlare delle vicende relative alla imputazione nei propri confronti e le loro dichiarazioni sono inutilizzabili contra se). In tali termini, quindi, si tratta di una sorta di categoria intermedia di teste “garantito”. In entrambi casi individuati dalla Corte costituzionale, non necessariamente vengono meno per la tipologia di assoluzioni le ragioni di dubbio sulla affidabilità della testimonianza di tali soggetti. A seconda dei motivi dell'assoluzione, ben potrebbero ricorrere le medesime ragioni per le quali, negli altri casi dell'art. 197-bis c.p.p., a garanzia dell'imputato nel cui processo sono utilizzate le dichiarazioni, sono richiesti riscontri esterni per l'utilizzazione di tali prove. Le evidenti questioni, rimarcate in dottrina, andranno, invero, risolte sul piano della attenta verifica della attendibilità in concreto. Assistenza del difensore e svolgimento dell’esameL'assistenza del difensore è strettamente finalizzata alla tutela dell'interesse del testimone assistito, in quanto chiamato a rispondere su fatti che in vario modo possono coinvolgerlo, permanendo un suo diritto al silenzio nei limiti di cui al comma 4. Il difensore non può avere un ruolo nella formazione della prova non rappresentando una parte del processo e, del resto, l'articolo in esame non riprende la previsione dell'art. 210, comma 3, c.p.p. che dispone espressamente che il difensore del coimputato “ha il diritto di partecipare all'esame”. Il difensore, nel caso dell'art. 197-bis c.p.p., potrà intervenire perché l'esame non tocchi i profili per i quali non sono ammesse domande e per il rispetto dell'interesse del testimone assistito, che potrebbe essere ancora sottoposto a processo; e potrà intervenire anche per la corretta qualificazione del soggetto. Chiara, poi, la ragione della testuale incompatibilità con la difesa di uno degli imputati nell'ambito dello stesso processo o in altri connessi trattati separatamente. La assenza del difensore non sembra avere conseguenze sulla validità della prova raccolta. In particolare, poiché l'assistenza è funzionale alla garanzia del dichiarante e non dell'imputato, la violazione del comma 3 non produce affatto l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal testimone assistito anche erga alios. Del resto, il comma 5 prevede una inutilizzabilità delle dichiarazioni solo “contro la persona che le ha rese” (Cass. VI, n. 18910/2021; Cass. IV, n. 51599/2023; Cass. VI, n. 4230/2008). Il parziale diritto al silenzioIl quarto comma limita il diritto al silenzio alle dichiarazioni ivi descritte, con l'evidente difficoltà di individuarle in concreto. Al di fuori di tale ambito, laddove il dichiarante, testimone ex art. 197-bis c.p.p., abbia in precedenza già reso dichiarazioni sulla responsabilità di altri, non deve necessariamente ricevere gli avvisi previsti dall'art. 64, comma 2, lett. c) c.p.p., perché non ha più il diritto al silenzio del testimone assistito (Cass. II, n. 28265/2023; Cass. VI, n. 17133/2013). Una tesi opposta, nel senso che per ogni esame testimoniale vadano ripetuti tutti gli avvisi dell'art. 64 c.p.p., era stata espressa nella ordinanza n. 191/2003 della Corte costituzionale, con interpretazione non vincolante; la giurisprudenza penale, però, nell'affermare la propria diversa interpretazione, ha comunque considerato che una violazione della disposizione non avrebbe l'effetto di inutilizzabilità probatoria della testimonianza non essendo tale sanzione prevista espressamente dalla legge, come richiesto dall'art. 191 c.p.p., né essendo violato alcun diritto di difesa dell'imputato (Cass. V, n. 18837/2014). Inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni
Si tratta di una garanzia essenziale, riconosciuta a seguito della decisione della Corte costituzionale anche per i soggetti che vengono ascoltati quali testimoni “comuni” perché prosciolti perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. Resta, ovviamente, al di fuori la utilizzabilità delle dichiarazioni per la prova del reato commesso mediante la falsa dichiarazione, tipicamente la falsa testimonianza o il favoreggiamento personale. Per il resto, la disposizione non crea particolari problemi in sede di processo penale, valendo tutt’al più il tema della utilizzabilità in contesti diversi da quelli strettamente processuali (ad esempio nella materia disciplinare, pubblica o privata, anche se il tema della inutilizzabilità ricorrerebbe nel successivo eventuale giudizio di impugnazione in sede giurisdizionale). La necessità di riscontriL’ultimo comma della disposizione ha un ruolo centrale nel qualificare in termini peculiari la testimonianza assistita per la quale non vale la regola di piena libertà di valutazione ed è, anzi, uno dei casi eccezionali in cui si applica un criterio legale. La ragione è ben evidente perché permane una condizione di possibile interesse, fosse anche solo morale, per il soggetto già prosciolto a rendere dichiarazioni false sia per tutelare sé stesso che per le tante ragioni ipotizzabili nelle relazioni che possono esservi in vicende complesse. Tale disposizione, come detto non è applicabile per i particolari casi dei prosciolti con formula piena “fatto non sussiste” o “non aver commesso il fatto”, per cui possibili spazi di dubbio (da ricollegare alle ragioni della assoluzione,) verranno risolti sulla base della ordinaria attività di valutazione della prova. BibliografiaAndreazza, Profili problematici di applicazione dell'art. 197-bis c.p.p., in Dir. pen. e proc. 2003, fasc. 2; Andreazza, La valutazione delle dichiarazioni rese dal testimone assistito e l'esigenza di gradazione dei riscontri richiesti dall'art. 192, comma 3, c.p.p., in Giur. merito 2008, 2607; Cascini, Contraddittorio e limiti del diritto al silenzio. Prime note a margine della legge 1° marzo 2001, n. 63, in Quest.giust. 2001, 307; Conti, La Consulta valuta la testimonianza assistita: un istituto coerente con l'intento del legislatore, in Dir. pen. e proc. 2002, 1215; Conti, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003; Conti, Imputato assolto per non aver commesso il fatto: deve essere equiparato al testimone comune, in Dir. pen. e proc. 2007, 316; Conti, Assolto irrevocabile per insussistenza del fatto: la Consulta elimina difensore e “corroboration” ma la testimonianza resta coatta, in Dir. pen. e proc. 2017, 465; Di Bitonto, La Corte costituzionale riapre il dibattito sulla testimonianza assistita, in Cass. pen. 2007, 491; Di Bitonto, Le dichiarazioni dell'imputato, in Giur. it. 2017, 2001; Illuminati, L'imputato che diventa testimone, in Indice pen. 2002, fasc. 2; Ruggiero, Cronaca di una incostituzionalità annunciata (nota a Corte Cost., sent. 26 gennaio 2017, n. 21), in Dir. pen. contemp. 13 febbraio 2017; Tonini-Conti, Il diritto delle prove penali, Milano, 2012. |