Codice di Procedura Penale art. 208 - Richiesta dell'esame.

Pierluigi Di Stefano

Richiesta dell'esame.

1. Nel dibattimento [503], l'imputato [392 1c], la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono esaminati se ne fanno richiesta o vi consentono.

Inquadramento

Il Capo II , “esame delle parti” disciplina l'esame delle parti private(artt. 208 e 209 c.p.p.) e della “persona imputata in un procedimento connesso (art. 210 c.p.p.).

L'art. 208 c.p.p. prevede l'esame delle parti del processo nel quale la prova è ammessa, in questo differenziandosi nettamente dall'ipotesi dell'art. 210 c.p.p.che, invece, è riferito a persone per le quali “si procede o si è proceduto separatamente” e, quindi, non sono parti. Nel commento a tale ultimo articolo, però, si dirà come un intervento della Corte costituzionale abbia reso quella disposizione riferibile all'imputato di reato connesso ex art. 12, lett. a) anche quando si proceda contestualmente. Quindi, l'imputato potrà essere esaminato sia con riferimento alla propria posizione che a quella di concorrenti.

L'esame in oggetto è una prova orale (parte della “categoria degli atti processuali a contenuto dichiarativo”), certamente simile alla testimonianza della quale sono recuperate talune regole (come previsto dall'art. 209 c.p.p.), ma è indiscutibilmente una prova diversa.

Tale diversità non deriva solo dal fatto che l'imputato non può essere testimone né lo possono essere il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, per i quali vi è una espressa previsione di incompatibilità nell'art. 197 c.p.p., ma anche perché la disposizione è testuale nel prevedere espressamente l'esame della parte civile “che non debba essere esaminata come testimone”. Questa precisazione (oltre a confermare la piena capacità di testimoniare della parte civile come riferito più ampiamente nel commento all'art. 194 c.p.p.) impone di individuare le peculiarità della prova ex art. 208 c.p.p. rispetto proprio alla testimonianza.

Le parti private, possono essere esaminate se ne fanno richiesta o vi consentono con le regole dell'art. 209 c.p.p. e le modalità dell'art. 503 c.p.p. che, in particolare, consente l'uso delle precedenti dichiarazioni della parte privata per le contestazioni per le valutazioni di credibilità (art. 500, comma 2, c.p.p.) e, quanto all'imputato, anche a fini probatori se si tratta di dichiarazioni assunte dal pubblico ministero alle quali il difensore aveva diritto di assistere (art. 503, comma 5, c.p.p.).

Come dimostra il contenuto dell'art. 209 c.p.p., le parti sono esaminate “sui fatti che costituiscono oggetto di prova”, senza apprezzamenti personali, con le modalità previste per l'esame testimoniale dall'art. 499 c.p.p., espressamente richiamato.

La differenza essenziale è che non sussistono gli obblighi (né, ovviamente, le sanzioni penali) di rispondere e dire la verità.

Oltre, difatti, a non esservi una previsione analoga a quella dell'art. 198 c.p.p. e all'argomento desumibile dall'essere il reato di falsa testimonianza riferito esclusivamente al solo testimone, la disposizione è chiara nel prevedere che o la richiesta di acquisizione della prova “esame” deve essere presentata dalle medesime parti da esaminare o che vi sia il loro consenso. L'art. 209 c.p.p., inoltre, prevede che del rifiuto di rispondere a singole domande si dia atto nel verbale, senza alcuna conseguenza diversa di tale attestazione.

Il tema fondamentale allora è, ovviamente, il valore probatorio dell'esame delle parti e se sia diverso da quello della testimonianza, come sembra suggerire la peculiarità della situazione della parte civile che potrebbe essere escussa sia come testimone che come parte.

Nel codice non vi è alcuna previsione particolare al riguardo e, anzi, si deve tenere conto che non si prevede neanche che per l'imputato valga la disciplina dell'art. 192, comma 3, c.p.p. (che condiziona la valutabilità probatoria delle dichiarazioni del coimputato alla esistenza di riscontri oggettivi) essendo quindi posto sullo stesso piano l'esame di tutte le parti private.

La conclusione è, allora, che vale il principio di libera valutazione (Cass, VI, n. 28008/2019) senza, però, alcuna presunzione di credibilità. Il giudice valuterà liberamente le dichiarazioni delle parti, anche considerando la assenza di sanzioni penali specifiche rispetto alla falsità e alla reticenza, sanzioni che sono invece previste per garantire la testimonianza.

L'esame dell'imputato

L'esame dell'imputato è la ipotesi più rilevante per il ruolo processuale e la maggior casistica.

Per tale soggetto vi sono anche altre modalità di ingresso nel processo delle sue dichiarazioni.

– Possono essere acquisiti i verbali di interrogatorio con il meccanismo delle contestazioni e della lettura di atti (artt. 503 e 511 c.p.p.);

– Inoltre, è previsto (art. 494 c.p.p.) che egli possa rilasciare in ogni momento dichiarazioni spontanee che, però, non costituiscono “prova” (Cass. II, n. 30653/2020 rileva che non possono essere equiparate alle dichiarazioni rese in sede di esame, né utilizzate come prove a carico di terzi).

L'imputato, nel caso in cui vi sia una sua espressa richiesta, ha pieno diritto all'ammissione dell'esame, che quindi non rientra tra le prova soggette alle valutazioni del giudice di superfluità o irrilevanza ex art. 190 c.p.p. In conseguenza, il diniego della assunzione determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che è sanata se non eccepita immediatamente dopo l'acquisizione delle prove a carico, quindi nel momento in cui l'esame, secondo l'ordine del codice, deve essere eseguito (Sez. III, n. 6152/2021; Sez. III, n. 48746/2013).

Vi è però anche una diversa interpretazione (Cass. I, n. 35627/2012) che, pur confermando il diritto alla sottoposizione all'esame, esclude che il diniego di ammissione della prova integri una nullità non essendo violato il diritto di difesa (con la precisazione “tanto più alla luce della facoltà di rendere in ogni momento spontanee dichiarazioni”).

Il diritto all'esame, però, viene meno se l'imputato non compaia all'udienza fissata senza giustificazione; in tale caso, il giudice può revocare l'ordinanza di ammissione (Cass. I, n. 37283/2021; Cass. VI, n. 14914/2009).

Quanto alle modalità di svolgimento dell'esame dell'imputato, a parte l'applicazione delle regole richiamate dall'art. 209 c.p.p., si discute della obbligatorietà che lo stesso sia preceduto dagli avvertimenti prescritti dall'art. 64, comma 3. c.p.p.

La questione, invero, non è direttamente rilevante per l'esame dell'imputato in quanto l'utilizzabilità nei propri confronti delle sue dichiarazioni non può essere condizionata da tali avvertimenti, chiaramente riferiti alla valutazione della prova nei confronti dei terzi.

La Corte cost., ord. n. 191/2003, dichiarava la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 64, comma 3, c.p.p. nella parte in cui non prevedeva la applicabilità all'esame dell'imputato, proprio perché riteneva che fosse possibile un'interpretazione testuale nel senso della obbligatorietà degli avvertimenti.

La successiva giurisprudenza di legittimità, però, ha ritenuto che tali avvertimenti non siano necessari in quanto “riguardano l'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini, garantendone il diritto al silenzio, e non si applicano all'esame dell'imputato nel dibattimento, in cui il contraddittorio tra le parti è pieno e il diritto di difesa può esplicarsi nella massima ampiezza (Cass. I, n. 34560/2007; Cass. V, n. 46852/2005). Si tratta, comunque, si ribadisce, di questione che attiene al possibile uso contro terzi e non alla utilizzabilità della prova nei confronti del dichiarante.

Quanto, poi, alla valutazione della prova, oltre quanto già detto in termini generali, si pongono le questioni più particolari del valore della “confessione” e del “silenzio”.

In ordine alla confessione, va liberamente valutata e non ritenuta acriticamente fondata; può essere valutata, anche se ritrattata, ne deve essere valutata attendibilità, genuinità, eventuale intento autocalunniatorio, possibili pressioni (Cass. I, n. 34356/2024; Cass. I, n. 43681/2015), può essere creduta parzialmente, valendo le consuete massime di esperienza in ordine alla scindibilità di prove dichiarative, laddove in parte attendibili e in parte non (Cass. V, n. 47602/2014; Cass. I, n. 7792/2021, in un caso nel quale era ritenuta attendibile la confessione dell'omicidio ma non la affermazione del ricorrere le condizioni della legittima difesa).

Quanto al “silenzio”, è pacifico che non possa avere valore probatorio in sé il rifiuto di sottoporsi a esame ovvero di rispondere, in tutto o in parte, alle domande. Non solo perché è difficile riconoscere un valore di prova diretta, ma soprattutto perché vi è espresso diritto al silenzio e l'onere della prova, positiva, è a carico dell'accusa (Cass. VI, n. 8958/2015). In sé, quindi, è un elemento del tutto neutro.

Ma il silenzio, invece, può in determinate condizioni, essere considerato in relazione al complessivo materiale probatorio: tipicamente nel caso nel quale, a fronte di un quadro probatorio che sia di per sé significativo, l'imputato serbi il silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo o non offra idonee spiegazioni alternative. Quindi, non si tratta di valutare in termini probatori il silenzio ma di dare atto che nulla viene opposto alla significatività di prove a carico, confermandone la portata (Cass. III, n. 43254/2019; Cass. VI, n. 28008/2019 secondo la quale “il silenzio dell'imputato, se in partenza costituisce un dato processualmente neutro, può nondimeno assumere anche un più significativo rilievo, in misura direttamente proporzionale alla solidità degli elementi di accusa, che in ipotesi risultino privi di idonea spiegazione”).

L'esame della parte civile

Come detto, dalla disposizione si comprende che vi sia chiara diversità tra la testimonianza e l’esame della parte civile. Con riferimento ad un caso nel quale quest’ultima era stata sentita due volte con i diversi titoli, Cass. V, n. 10951/2013 ha affermato che l’art. 208 c.p.p. non impone un divieto al doppio esame, ma si limita ad evidenziarne la superfluità. Non ricorre, quindi, alcuna causa di nullità/inutilizzabilità di tali prove. 

Bibliografia

Aprile, Per la Corte costituzionale gli avvisi di garanzia previsti dall’art. 64 c.p.p. vanno dati anche all’imputato prima dell’inizio del suo esame dibattimentale, in Nuovo dir. 2003, 601; Barbarano, Esame dell’imputato e garanzie. La Consulta estende l’ambito di applicazione degli avvisi, in Dir. e giust. 2003, n. 24, 88; Ciani, L’esame delle parti: profili strutturali e valenza probatoria, in Cass. pen. 1994, 2264; Di Bitonto, Esame dibattimentale e garanzie difensive dell’imputato, in Cass. pen. 2012, 4348; Ferrua, Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992; Mazza, Interrogatorio ed esame dell’imputato: identità di natura giuridica e di efficacia probatoria, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1994, 821; Mazza, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nel suo procedimento, Milano, 2004; Ramajoli, Persona offesa dal reato: escussione come teste ed esame come parte privata, in Cass. pen. 1994, 185; Nappi, Nuova guida al Codice di procedura penale, Lanciano, 2022.

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