Codice di Procedura Penale art. 267 - Presupposti e forme del provvedimento.

Enrico Campoli

Presupposti e forme del provvedimento.

1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari [328] l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile espone con autonoma valutazione le specifiche ragioni1 che rendono necessaria, in concreto, tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonché, se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono 23

1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'articolo 2034.

2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l'intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore al giudice indicato nel comma 1. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l'intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati [191].

2-bis. Nei casi di cui al comma 2, il pubblico ministero può disporre, con decreto motivato, l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4. A tal fine indica, oltre a quanto previsto dal comma 1, secondo periodo, le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice. Il decreto è trasmesso al giudice che decide sulla convalida nei termini, con le modalità e gli effetti indicati al comma 25.

3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1. Le  intercettazioni  non possono avere  una  durata  complessiva  superiore  a  quarantacinque giorni, salvo che l'assoluta indispensabilità delle  operazioni  per una durata  superiore  sia  giustificata  dall'emergere  di  elementi specifici  e  concreti,  che  devono  essere  oggetto   di   espressa motivazione67.

4. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria [57, 3701]. 8 9.

5. In apposito registro [89 att.] riservato gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni10.

 

[1] Le parole «indica le specifiche ragioni» sono state sostituite alle parole «indica le ragioni» dall'art. 1, comma 1-ter, d.l. 30 settembre 2021, n. 132, conv., con modif., in l. 23 novembre 2021, n. 178. Successivamente l'articolo 1, comma 2-bis,  d.l. 10 agosto 2023, n. 105, conv., con modif., in l. 9 ottobre 2023, n. 137 ha sostituito le parole: «espone con autonoma valutazione» alla parola «indica» e aggiunto dopo la parola: «necessaria» le parole: «, in concreto,».

[2] V. in deroga al presente articolo l'art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con modif., nella l. 12 luglio 1991 n. 203, che si applica, ai sensi dell'art. 3 comma 1 d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., in l. 15 dicembre 2001, n. 438, anche ai procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 270-ter e 280-bis c.p. e per quelli di cui all'art. 4072 lett. a) n. 4 c.p.p. e ai sensi dell'art. 9 l. 11 agosto 2003, n. 228 anche ai procedimenti per i delitti previsti dal libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione I del codice penale e dall'art. 3 l. 20 febbraio 1958, n. 75.

[3] L'art. 4, comma 1, lett. b) n. 1) del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216  aveva disposto l'aggiunta del terzo periodo del comma 1. Ai sensi dell'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »). Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 » e poi dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145,  Legge di bilancio 2019, sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 » e dall'art. 9 comma lett. ad.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77  sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 »).

Da ultimo l'art. 2, comma 1, lett. d), n. 1), d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, ha sostituito le parole:  «e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4» alle parole: «e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'articolo 4», che erano state inserite dall'art. 1, comma 4, lett. b) l. 9 gennaio 2019, n. 3. A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, , conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ». 

[4] Comma inserito dall'art. 10 l. 1° marzo 2001, n. 63

[5] L'art. 4, comma 1, lett. b) n. 2) del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, ha dapprima inserito il presente comma 2-bis. Ai sensi dell'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »).Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 » e poi dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145,  Legge di bilancio 2019, sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 » e dall'art. 9 comma lett. ad.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77  sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 »). 

Da ultimo l'art. 2, comma 1, lett. d), n. 2), d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, dopo le parole «di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater» ha aggiunto le seguenti: «e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4». A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, , conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ». 

[7] V. in deroga al presente articolo l'art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con modif., in l. 12 luglio 1991 n. 203, che si applica, ai sensi dell'art. 3 comma 1 d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., in l. 15 dicembre 2001, n. 438, anche ai procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 270-ter e 280-bis c.p. e per quelli di cui all'art. 4072 lett. a) n. 4 c.p.p. e ai sensi dell'art. 9 l. 11 agosto 2003, n. 228 anche ai procedimenti per i delitti previsti dal libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione I del codice penale e dall'art. 3 l. 20 febbraio 1958, n. 75.

[8] L'art. 2, comma 1, lett. c) d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, ha dapprima disposto l'aggiunta di un secondo periodo al presente comma 4: «L'ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell'articolo 268, comma 2-bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni.». Ai sensi dell'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28,  conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »).Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 » e poi dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145,  Legge di bilancio 2019, sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 » e dall'art. 9 comma lett. ad.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77  sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 ».

Ma l'art. 2, comma 1, lett. d), n. 3), d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, ha soppresso il suddetto secondo periodo. A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ». 

[9] V. in deroga al presente articolo l'art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con modif., in l. 12 luglio 1991 n. 203, che si applica, ai sensi dell'art. 3 comma 1 d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., in l. 15 dicembre 2001, n. 438, anche ai procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 270-ter e 280-bis c.p. e per quelli di cui all'art. 4072 lett. a) n. 4 c.p.p. e ai sensi dell'art. 9 l. 11 agosto 2003, n. 228 anche ai procedimenti per i delitti previsti dal libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione I del codice penale e dall'art. 3 l. 20 febbraio 1958, n. 75.

[10] Comma così sostituito dall'articolo 2, comma 1, lett. d), n. 4), d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ».  Il testo del comma 5, applicabile ai procedimenti iscritti fino alla data suindicata, è il seguente: « 5. In apposito registro riservato tenuto nell'ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni ».

Inquadramento

L'art. 267 disciplina l'emissione dei decreti di intercettazioni sia sotto il profilo dei requisiti di ammissibilità, — così integrando quella dei limiti previsti dall'art. 266 —, che sotto quello procedimentale.

La disciplina codicistica trova poi fondamentale integrazione nella legislazione speciale dettata per i reati di criminalità organizzata e di terrorismo (e con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 216/2017 e della l. n. 7/2020 anche per i delitti contro la P.A.).

La richiesta del pubblico ministero

 

Profili generali

Le intercettazioni possono trovare inizio solo a mezzo della richiesta del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari.

Tale principio, — che trova specifica deroga nella disciplina prevista dall'art. 295 in tema di ricerca del latitante —, implicitamente circoscrive l'utilizzo di tale mezzo di ricerca della prova alla fase delle indagini preliminari ovvero a quella immediatamente prossima ad essa (art. 419, comma 3).

Richiesta ordinaria

La domanda del pubblico ministero viene inoltrata all'ufficio del giudice per le indagini preliminari corredata degli atti d'indagine posti a fondamento della stessa.

Non v'è obbligo del pubblico ministero di allegare tutti gli atti del procedimento sino a quel momento svolti potendo egli selezionare solo quelli che ritiene utili a supportare la propria richiesta.

Nella prassi i fascicoli d'indagine contengono dei cd. sottofascicoli in cui le intercettazioni hanno corso parallelo alle indagini disposte dal pubblico ministero, indagini che possono eventualmente integrare ogni successiva richiesta di intercettazioni in capo ad altri soggetti ovvero di proroga di quelle già in corso.

Con la messa a regime della digitalizzazione degli atti – a mezzo del sistema TIAP – i fascicoli acquisiranno una dimensione esclusivamente telematica, in stretta interdipendenza con l’apposito archivio istituito presso le Procure della Repubblica.

Termine

A differenza della disciplina d'urgenza la richiesta ordinaria di autorizzazione alle intercettazioni non è soggetta ad alcun termine per il suo esame, salvo a volere ritenere applicabile quello ordinatorio (e generale) di cui all'art. 121, comma 2, per come sanzionato ex art. 124.

Intercettazioni per la ricerca del latitante

L'ipotesi di cui all'art. 295 costituisce una deroga sia al principio secondo cui la domanda al fine di disporre le intercettazioni è riconosciuta solo in capo al pubblico ministero e sia al fatto che le stesse possano essere autorizzate solo dall'ufficio del giudice per le indagini preliminari.

Per la ricerca del latitante, difatti, il legislatore riconosce una competenza funzionale (d'ufficio) anche in capo al giudice che procede, il quale non necessariamente coincide con il giudice per le indagini preliminari.

L'affermazione della competenza funzionale del giudice che procede, — che, nel caso in cui il fascicolo è stato trasmesso al giudice del dibattimento di primo e poi di secondo grado va individuato in essi —, trova fondamento non solo nel fatto che la latitanza può essere dichiarata anche in fasi diverse da quella delle indagini preliminari ma anche nella circostanza dettata dal comma 3-ter (introdotto dall'art. 1 l. n. 56/2006) secondo cui il giudice che procede (e provvede) è individuato nel Presidente della Corte d'Assise.

Tale specificazione, — implicitamente inutile per gli altri giudici che procedono —, trova giustificazione nella composizione mista (togata/popolare) delle Corti d'Assise e conferma il dato che le intercettazioni possono essere disposte, — d'ufficio o su domanda del pubblico ministero —, dai vari giudici che procedono, giudici i quali possono anche disporre direttamente, a tal fine, della polizia giudiziaria (art. 58).

Intercettazioni dei parlamentari

L'art. 68 Cost. (novellato dalla l. cost. n. 3/1993), — e poi disciplinato nella sua attuazione dalla l. n. 140/2003 —, prevede una speciale guarentigia per i parlamentari in tema di intercettazioni.

Senza, difatti, l'autorizzazione “della Camera alla quale appartiene nessun membro del Parlamento” può essere sottoposto ad “intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni” con la conseguenza che ove ciò avvenga, — al di là della violazione della guarentigia e dei risvolti che essa comporta —, si determina l'inutilizzabilità del materiale acquisito.

Fermo restando il residuale caso di scuola in cui l'autorità giudiziaria richieda l'autorizzazione ad operare l'intercettazione, — situazione in cui appare poco conciliabile la segretezza della procedura con l'esame della richiesta da parte della Giunta delle autorizzazioni della Camera di appartenenza —, la giurisprudenza, di legittimità, è intervenuta, sia pure in modo ondivago, differenziando i casi in cui all'intercettazione delle conversazioni, o delle comunicazioni, del parlamentare si sia addivenuti indirettamente da quelli in cui ciò si sia verificato  casualmente (Cass. II, 8739/2012; Cass. f er., n. 34244/2010)), autorizzandone l'utilizzazione solo in questo secondo caso.

E' abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, pendendo il processo in fase dibattimentale, richieda alla Camera di appartenenza l'autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni riguardanti un parlamentare avendo egli esaurito il proprio potere decisionale con la chiusura delle indagini preliminari – (Cass., III, n. 8795/2020).

Rientra nella garanzia costituzionale dettata dall'art. 68 Cost. la richiesta dell'autorità giudiziaria alla Camera di appartenenza di acquisire i tabulati attinenti il traffico telefonico del parlamentare, così come sancito dall'art. 6, comma 2, l. n. 140/2003: quest'ultimo non estende arbitrariamente ai tabulati le prerogative previste per l'attivazione delle intercettazioni.

La Corte Costituzionale, (sent. n. 38/2019), difatti, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, l. n. 140/2003 sulla base della considerazione che l'acquisizione dei tabulati, così come l'attività intercettizia, è diretta ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare per cui l'autorizzazione del Parlamento “non costituisce inammissibile lesione del principio di uguale soggezione alla legge ma attuazione del pertinente trattamento richiesto dalla garanzia costituzionale” prevista dall'art. 68 Cost. (“...la pervasività del mezzo d'indagine in questione può tradursi in fonte di condizionamenti sul libero esercizio della funzione. Un tabulato telefonico può infatti aprire squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine...”).

La guarentigia statuita dall'art. 68, comma 3, della Cost.non mira a tutelare un diritto individuale” bensì “a proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell'autonomia e dell'indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite interferenze di altri poteri” – sentenza Corte Cost. n. 157/2023 –, ragion per cui solo le intercettazioni occasionali (= casuali) non abbisognano, per la loro utilizzabilità processuale, di alcun provvedimento di autorizzazione da parte della Camera di appartenenza del parlamentare.

A diverse conclusioni occorre giungere allorquando le intercettazioni sono dirette, – per le quali occorre la preventiva autorizzazione, in assenza della quale le stesse sono illegittime ed inutilizzabili – ovvero indirette -, cioè quando la direzione dell'atto d'indagine tende a by-passare il divieto ponendo sotto intercettazione “utenze di interlocutori abituali del parlamentare, o sia effettuata in luoghi presumibilmente da questi frequentati, al precipuo scopo di conoscere il contenuto delle conversazioni o delle comunicazioni del parlamentare stesso……”.

Solo l'assenza di preordinazione di accedere alle conversazioni/comunicazioni del parlamentare, e cioè la mera casualità della loro captazione, rende l'intercettazione legittima e pienamente utilizzabile – (Corte Cost., n. 227/2023).

Nella decisione da ultimo menzionata la Consulta ha avuto, altresì, modo di evidenziare che, – così come già sancito in una precedente, propria, decisione (Corte Cost. n. 170/2023) – “l'art. 68, terzo comma, Cost. tutela la corrispondenza dei membri del parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario” con la conseguenza che va sempre richiesta alla Camera di appartenenza l'autorizzazione alla acquisizione di tale materiale investigativo, e ciò a prescindere da ogni valutazione riguardo alla occasionalità o meno dei messaggi del parlamentare : da parte dell'Ag non può, quindi, darsi luogo, in assenza di essa, ad alcuna estrazione, dalla copia forense del dispositivo cellulare in uso allo stesso, dei messaggi whats'appe l'eventuale attività svolta in tal senso è senz'altro arbitraria ed illegittima.

Il decreto motivato del giudice per le indagini preliminari

 

Profili generali

Il giudice per le indagini preliminari nel valutare la richiesta del pubblico ministero deve anzitutto prendere in considerazione la propria competenza (territoriale e funzionale), successivamente i limiti di ammissibilità sanciti dall'art. 266 e solo, infine, i presupposti di merito di cui all'art. 267.

Competenza

La competenza funzionale in ordine alla richiesta del pubblico ministero va ricondotta all'art. 328 (giudice per le indagini preliminari), così come del resto dettato dal comma 1 dell'art. 267.

L'art. 328 delinea la differenza funzionale tra l'ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale distrettuale, cioè insediato nella medesima sede della corte d'appello di appartenenza, — competente sia (territorialmente) per tutte le condotte ordinarie rientranti nel perimetro dell'art. 266 e sia (funzionalmente) per tutti i reati di cui ai combinati disposti ex artt. 328, comma 1-bis, 1-quater e 51, comma 3-bis, 3-quater e 3-quinquies —, e l'ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale ordinario, — competente (territorialmente) unicamente per le condotte rientranti nei limiti di ammissibilità di cui all'art. 266.

Il giudice per le indagini preliminari può ritenere la propria incompetenza territoriale in merito alla richiesta del pubblico ministero secondo i parametri di cui agli artt. 8 e ss.

Ad analoga pronuncia d'incompetenza potrà giungersi tutte le volte in cui il giudice per le indagini preliminari, investito della domanda del pubblico ministero, configuri una competenza distrettuale o viceversa la neghi.

L'incompetenza funzionale non riguarda solo le ipotesi in cui viene ragguagliata o meno una valenza distrettuale delle ipotesi di reato contestate ma anche tutti i casi in cui sia evincibile una competenza “speciale”, come quella di cui agli artt. 11 ed 11-bis (procedimenti riguardanti i magistrati) ovvero quelle che delineando limiti alla connessione (artt. 13 e 14) ne configurano ulteriori - (reati commessi da minori; reati militari; etc.).

In tutti questi casi il giudice per le indagini preliminari provvederà con un'ordinanza di incompetenza ex art. 22, comma 1, restituendo gli atti all'ufficio del pubblico ministero richiedente: quest'ultimo potrà tanto provvedere alla trasmissione degli atti, ex art. 54, all'ufficio ritenuto competente (ove condivida l'assunto del giudice) quanto soprassedere ad ogni decisione attesa la valenza, ex art. 22, comma 2, della decisione assunta - (“L'ordinanza pronunciata a norma del comma 1 produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto”).

Sebbene, non siano rinvenibili precedenti, l'eventuale rifiuto di due giudici per le indagini preliminari a ritenere la propria competenza può dar luogo ad un conflitto ex art. 28.

Nulla impedisce al pubblico ministero di riproporre, in seguito ad una pronuncia di incompetenza, ma sulla base di nuovi elementi, la medesima domanda al giudice per le indagini preliminari che egli ritiene competente, il quale mantiene intatte le proprie prerogative.

Qualora, invece, le intercettazioni siano autorizzate dal giudice incompetente le risultanze vanno ritenute pienamente utilizzabili atteso il chiaro disposto di cui all'art. 26.

Inammissibilità

L'assenza del presupposto di cui all'art. 266 comporta l'inammissibilità della domanda del pubblico ministero.

Il giudice per le indagini preliminari, difatti, ogni qualvolta dall'esame degli atti evinca che l'ipotesi di reato per la quale si chiede l'attivazione del mezzo intercettizio fuoriesce dal perimetro normativo sancito dall'art. 266 ne dichiara l'inammissibilità.

A tale conclusione il giudice può giungere non solo quando pedestremente sia stata chiesta l'intercettazione per una condotta di reato esclusa dal perimetro dell'art. 266 bensì anche qualificando diversamente la condotta contestata dal pubblico ministero ritenendo che ne sia configurabile una diversa per la quale tale mezzo di ricerca della prova non è ammissibile.

Di converso, il giudice può anche autorizzare le intercettazioni qualificando diversamente la condotta contestata dal pubblico ministero purché la stessa rientri tra i delitti per i quali è consentita l'attivazione delle stesse.

Non può ritenersi avallabile la conclusione che il giudice possa contestare un'ipotesi del tutto diversa da quella configurata dall'ufficio del pubblico ministero in quanto ciò pare elidere del tutto il principio della domanda sancito nel comma 1 dell'art. 267.

Requisiti per l'emissione del decreto motivato

 

Profili generali

In seguito alle valutazioni sulla competenza e sull'ammissibilità della domanda formulata dal pubblico ministero il giudice passa a svolgere quella sul merito della stessa prendendo in considerazione, dapprima, il presupposto dei “gravi indizi di reato” e, successivamente, quello della “assoluta indispensabilità”.

I gravi indizi di reato

A differenza dell'art. 273 che richiede per l'applicazione di una misura cautelare personale la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza l'art. 267 sancisce la soglia dei gravi indizi di reato.

Ciò sta a significare che, per l'accoglimento della domanda, il giudice non ha necessità di ricondurre la soglia di gravità alla colpevolezza di questo o quel soggetto bensì unicamente alla sussistenza (o meno) di un fatto-reato ben potendo, quindi, autorizzare le intercettazioni anche nei confronti di soggetti non indagati, — o addirittura terzi estranei al reato —, purché rientranti nella suddetta area di “gravità indiziaria”.

Per tali ragioni il presupposto di gravità indiziaria non va declinato in termini probatori bensì come esame di peculiare serietà della condotta delittuosa configurata, tale cioè da prospettarla come effettivamente accaduta e non in modo meramente ipotetico (Cass. III, n. 14954/2014).

Il materiale d'indagine valutato dal giudice deve tenere conto delle eventuali sanzioni di inutilizzabilità e/o di nullità dello stesso.

Fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis dell'art. 267 (“nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l’art. 203”) è rimesso al giudice ogni potere in materia di nullità/inutilizzabilità del materiale d'indagine sottopostogli ragion per cui, ad esempio, quanto acquisito in seguito ad un decreto di archiviazione nei confronti di persone note, e già iscritte ex art. 335, necessita propedeuticamente del decreto di riapertura delle indagini così come le acquisizioni fatte in violazione delle disciplina dei termini delle indagini preliminari trovano sanzione ex art. 407, ultimo comma.

Assoluta indispensabilità

L'altro requisito (necessariamente complementare e non alternativo) richiesto a ché il giudice autorizzi le intercettazioni è che tale mezzo di ricerca della prova sia “assolutamente indispensabile ai fini del prosieguo delle indagini”.

In cosa si traduca tale momento valutativo non è di facile soluzione attesa l'ampia discrezionalità concessa al giudice che ben potrebbe ritenersi competente, valutare la richiesta come ammissibile, considerare fondati i gravi indizi di reato ma escludere la sussistenza dell'assoluta indispensabilità.

In linea di massima quest'ultima dovrebbe tradursi nell'esame da parte del giudice riguardo la circostanza che gli inquirenti potrebbero raggiungere analoghi risultati anche a mezzo di indagini alternative (perquisizioni; sequestri; pedinamenti; testimonianze), indagini che non vengono attivate o per “pigrizia investigativa” ovvero perché più dispendiose della “scorciatoia” intercettizia.

Nella prassi tale requisito è, di fatto, pretermesso affidandosi il suo esame a mere clausole di stile, peraltro difficilmente sindacabili nel merito.

A conferma della scarsa sindacabilità nel merito la Suprema Corte (Cass., II, n. 4205/2019) ha, di recente, ribadito che il requisito della assoluta indispensabilità delle operazioni intercettizie è “questione rimessa alla valutazione esclusiva del giudice di merito, la cui decisione può essere censurata, in sede di legittimità, sotto il solo profilo della manifesta illogicità della motivazione”.

Forma e contenuti

Il legislatore prevede per l'attivazione delle intercettazioni da parte del giudice l'emissione del decreto motivato.

Con il d.lgs. n. 216/2017 è stata introdotta la necessità di una specifica motivazione allorquando, nell'autorizzare l'intercettazione tra presenti, si faccia uso “di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile": in tali casi, difatti, occorre che il giudice indichi le ragioni affinchè tale modalità per lo svolgimento delle indagini sia “necessaria”. 

In sede di conversione del decreto legge n. 105/2023 il Legislatore – mutuando l'espressione da precedenti interventi normativi – ha introdotto, anche per tale tipo provvedimento, l'autonoma valutazione da parte del giudice al fine di rafforzarne, contenutisticamente, la differenziazione prospettica offerta dalle richieste dell'ufficio del pubblico ministero, a loro volta – spesso – portatrici acritiche delle informative di polizia giudiziaria (art. 1, comma 2 bis, della Legge n. 137 del 9 ottobre 2023).

In occasione dell'introduzione della novella si è vieppiù rafforzato l'onere della motivazione non solo richiedendo che la valutazione del giudice non costituisca un “copia ed in colla” di quella della pubblica accusa ma si è anche espressamente sancito che la necessarietà dell'utilizzo del captatore informatico, sia nel caso di specie, legato ad una necessarietà investigativa legata ad un dato fattuale di concretezza.

Tale innovazione va letta in stretto raccordo con le interpolazioni operate sia nell'ambito dell'art. 266, comma 2 e 2-bis,  –  riguardo ai limiti di ammissibilità per l'autorizzazione alle intercettazioni tra presenti –, che relativamente all'estensione di tale mezzo di ricerca della prova ai “procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione” (art. 6, d.lgs. n. 216/2017).

Per i delitti diversi da quelli di cui all'art. 51, commi 3 e 3-quater e quelli contro la P.A. (in seguito alla novella introdotta dalla l. n. 3/2019) – per i quali è sempre consentito tale utilizzo  e senza alcun limite –, il giudice, al fine di circoscrivere l'invasività del mezzo, dovrà specificamente indicare “i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati” in cui potrà, da remoto, essere attivato il microfono.

Nei procedimenti relativi ai delitti contro la pubblica amministrazione, – puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni -, per i quali, a mezzo dell'equiparazione ai reati contro la criminalità organizzata, si è estesa la possibilità delle intercettazioni ambientali con il captatore informatico su dispositivo elettronico mobile permane, salvo specifica motivazione, il divieto di svolgimento “nei luoghi indicati dall'art. 614 del codice penale” nei casi in cui non si abbia “motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa”.

Sanzione

Com'è noto, l'art. 125, comma 3 stabilisce che tutte le volte in cui la legge sancisce l’obbligo di  motivazione, il decreto che ne è privo è nullo.

La sindacabilità della motivazione può tanto essere dedotta dalle parti, per la prima volta, in sede di legittimità tanto, in quella sede, essere rilevata d'ufficio dal giudice in quanto rientra tra i vizi patologici dell'atto, che neanche la richiesta del rito abbreviato consente di potere “sanare” (Cass. III, n. 15828/2014).

E’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’inesistenza della gravità indiziaria ritenuta dal giudice che ha emesso il decreto di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche poiché il sindacato del giudice di legittimità non comprende quello di interpretare, in modo diverso, rispetto alla valutazione del giudice di merito, i fatti storici posti a base della questione, se non nei limiti del rilievo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione (Cass. V, n. 19388/2018).

Impugnabilità

Il rigetto da parte del giudice dell'autorizzazione alle intercettazioni (così come alla proroga o alla convalida) non è impugnabile.

La questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la non impugnabilità dei decreti di rigetto (siano essi quelli autorizzativi o di proroga ovvero quelli in sede di convalida) è stata dichiarata manifestamente infondata, in sede di legittimità, in quanto il principio di obbligatorietà dell'azione penale non comporta — tranne i casi espressamente previsti dalla legge — l'impugnabilità al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 111, comma 7, Cost. (Cass. VI, n. 44877/2008).

Le intercettazioni per i reati di criminalità organizzata, terrorismo e delitti contro la pubblica amministrazione

 

Profili generali

Nel codice di procedura penale è previsto un cd. doppio binario procedimentale a seconda del tipo di reati.

Tale differente normazione riguarda molteplici aspetti, — (misure cautelari personali; termini di custodia cautelare; termini per il deposito delle sentenze, etc.) —, tra cui quello delle intercettazioni.

Con l'art. 13 l. n. 203/1991 (poi successivamente modificato dal d.l. n. 306/1992) è stato introdotto il diverso regime in tema di intercettazioni per i reati di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono in espressa deroga “a quanto disposto dall'art. 267 del codice di procedura penale” (successivamente tale deroga verrà estesa, in forza della l. n. 438/2001 ai reati in materia di terrorismo e, quindi, con il d.lgs. n. 216/2017, ai delitti contro la P.A.).

Con il d.l. n. 105/2023 il Legislatore, da un lato, ha introdotto un'estensione delle disposizioni di cui all'art. 13 della l. n. 203/1991 ai delitti di cui agli articoli 452-quaterdieces (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) e 630 c.p(sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione),  – strettamente connessi all'agire delinquenziale della criminalità organizzata –, e, dall'altro, ha inteso “dettagliare” – a mezzo di un'interpretazione autentica quantomeno a-tecnica - che anche per tutti i delitti comuni “commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis del codice penale o al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo” la disciplina di riferimento è quella speciale.

La successiva specificazione che l'applicabilità ha ad oggetto “anche…..i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”, –  e che, invero, potrebbe creare più problemi interpretativi  di  quanti intendesse risolvere -, nasce dalla necessità di porre rimedio ad una potenziale scia interpretativa originata da una decisione di legittimità (Cass., I, n. 34895/2022) che mirava ad escludere i delitti comuni aggravati ex art. 416bis.1, comma 1, cod. pen. dal perimetro applicativo dell'art. 13 della Legge 203/1991 in forza di un presunto ambito di quest'ultimo circoscritto alle sole matrici criminali di natura associativa.

Tale decisione, assunta da una Sezione semplice della Suprema Corte, – che, invero, per estendere (= modificare) l'orientamento sancito dalle Sezioni Unite Scurato (Cass., S.U., n. 26889/2016) avrebbe dovuto rispettare il disposto di cui  all'art.  618, comma 1 bis, c.p.p. –, ha dato luogo ad una reinterpretazione del principio di legittimità affermato, - che, in forma chiara, estende la sfera applicativa dell'art. 13 cit. a tutti i delitti di cui all'art. 51, comma 3 bis, etc. cit. -, sfruttando fugaci passaggi motivazionali e distorcendoli nel loro significato finendo per raggiungere un risultato del tutto opposto rispetto a quanto inequivocabilmente affermato.

Alla luce di questa nuova normativa di dettaglio l'utilizzo del captatore informatico per le ambientali tra presenti esce notevolmente rafforzato sebbene occorrerà aspettare le prime decisioni (di merito e di legittimità) per soppesare l'impatto sui procedimenti in corso in quanto una più ortodossa interpretazione autentica avrebbe, di certo, evitato ogni futura questione.

 

Sufficienti indizi di reato

A differenza di quanto sancito dall'art. 267 il parametro di indiziarietà del reato si assesta ad una soglia più bassa, non più quella della gravità bensì quella della sufficienza a dimostrazione di una modulazione della discrezionalità del legislatore secondo una propria valutazione di pericolosità delle condotte di reato.

I presupposti formali (decreto; obbligatorietà della motivazione; etc.) restano invariabilmente quelli dettati dall'art. 266, significativamente richiamato.

Necessità

Anche il secondo parametro di ammissibilità muta in quanto non è richiesta l'indispensabilità del mezzo di ricerca della prova ma la sua necessità, parametro palesemente meno rigoroso in quanto svincolato da una situazione cieca ad ogni alternativa.

Sarà sufficiente che il giudice nell'avallare la domanda avanzata dal pubblico ministero reputi l'intercettazione necessaria per l'accertamento del fatto-reato — e, quindi, utile per lo sviluppo investigativo — e non indispensabile — utile sì ma solo laddove ogni altro tipo di indagine non possa conseguire, potenzialmente, analogo risultato.

Ambientali senza limiti

Ulteriore differenza va registrata riguardo alle intercettazioni ambientali che in tale materia sono svincolate dalla necessità di motivare che nei luoghi individuati abbia a svolgersi l'attività delittuosa.

Il legislatore, nell'introdurre, entro certi limiti, la legittimità delle intercettazioni tra presenti a mezzo del captatore informatico su dispositivo elettronico mobile anche per altre figure delittuose, - d.lgs. 216/2017 -, ha avuto modo di evidenziare che essa “è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater”.

Per quest'ultimi non v'è la necessità di indicare “i luoghi ed il tempo, anche indirettamente determinati” per i quali è consentito attivare il microfono posto sul dispositivo elettronico portatile e ciò a differenza di quanto stabilito, invece, per i delitti contro la pubblica amministrazione per come individuati dal comma 1 dell'art. 267 : per essi, difatti, in sede di conversione del decreto legge n. 161/2019, è stato stabilito uno specifico obbligo di motivazione ai fini dell'attivazione “anche nei luoghi indicati dall'art. 614 codice penale” con la palese finalità, per tale categoria di reato, di limitarne l'utilizzo (l. n. 7/2020).

Il più ampio margine sancito per le ambientali viene messo a punto anche per le intercettazioni per la ricerca di latitanti (art. 295, comma 3- bis) relativamente a delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis (che hanno un raggio più ampio di quelli di criminalità organizzata) nonché per quelli indicati dall'art. 407, comma 2, lett. a), n. 4) (terrorismo).

Competenza

Per i reati indicati dalla legislazione speciale giudice (per le indagini preliminari) competente funzionalmente è quello distrettuale ma non può escludersi che l'attivazione, - ad esempio, in relazione ad indagini ovvero arresti e fermi avvenuti nel circondario di un'autorità giudiziaria non distrettuale —, possa anche compiersi presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari circondariale, con quel che ne consegue ex art. 26.

Delitti contro la pubblica amministrazione

L'art. 6 d.lgs. n. 216/2017 estende ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, – purchè puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (art. 266, comma 1, lett. b) –, la disciplina dettata dall'art. 13 l. n. 203/1991 per i delitti di criminalità organizzata (§: vedi supra).

Con il successivo intervento, dettato dal d.l. n. 161 del 20 dicembre 2019 - poi convertito, senza modifiche, con la l. n. 7/2020 - , le parole “e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo ai cinque anni, determinata ai sensi dell'art. 4”  sono state ulteriormente “limate” nella loro portata  contenutistica   modificando lo specifico riferimento edittale alla previsione in astratto della stessa -   “e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'art. 4 ” (v. supra).

Ciò sta a significare che la soglia di indiziarietà per attivare il mezzo intercettizio non è più per questi delitti quella della gravità bensì della mera sufficienza così come non è richiesta la indispensabilità di attivare tale mezzo di ricerca della prova  ma la sola necessità.

Pur nell'espresso riferimento all'art. 13 cit.,  (durata; etc.) permangono, però, alcune differenze normative soprattutto in riferimento alle intercettazioni tra presenti.

Per quest'ultime, difatti, - per le quali, l'interpolazione dell'art. 266, comma 2, consente lo svolgimento anche a mezzo di un captatore informatico su dispositivo elettronico mobile e la novella dell'art. 267 comma 2  richiede una specifica motivazione sia riguardo alla necessità del loro utilizzo che relativamente ai luoghi ed ai tempi nei quali sarà possibile l'attivazione del microfono -, è dettato l'espresso limite che esse non possano trovare svolgimento nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. “quando non vi non è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa” : ne è, di contro, quindi possibile l'utilizzo tutte le volte in cui, a mezzo di specifica motivazione, siano rappresentate le ragioni che permettano di sostenere che proprio in essi trovano pieno sviluppo le condotte oggetto di indagine.

L'altra differenza che permane in merito all'equiparazione svolta con i delitti di cui all’art. 13 cit. consisteva nel divieto dell'attivazione d'urgenza da parte dell'ufficio del pubblico ministero delle intercettazioni tra presenti a mezzo del captatore informatico su dispositivo elettronico mobile – in un primo momento tale potere, difatti, veniva  riconosciuto all’organo dell’accusa soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis e 3-quater”. 

Tale anomalia previsionale è stata “sanata” dal d.l. n. 161/2019, il quale ha equiparato i poteri di attivazione d’urgenza urgenza dell’ufficio del pubblico ministero, già previsti per l’utilizzo del captatore informatico nei delitti “di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater” anche “per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4”.

L'urgenza trova, invece, legittima ragione d'esercizio per l'ufficio del pubblico ministero in materia di proroga – e ciò a differenza del regime ordinario di cui all'art. 267 - fermo restando la necessità della convalida della stessa da parte del giudice entro le successive quarantotto ore (art. 13 legge 203/1991).

L'incidenza dell'art. 203 c.p.p. nella valutazione dei gravi (o sufficienti) indizi di reato

 

Profili generali

Il giudice nel valutare i gravi indizi di reato (ovvero la soglia della “sufficienza” per i reati in materia di criminalità organizzata,  di terrorismo e di delitti contro la P.A.) deve necessariamente escludere quanto acquisito a mezzo di informazioni confidenziali riferite dai soggetti di cui all'art. 203.

Solo a mezzo della corretta verbalizzazione degli interrogatori e/o delle sommarie informazioni testimoniali (da cui si evinca l'identificazione dei dichiaranti) i contenuti possono essere acquisiti ed utilizzati processualmente, ivi compresa l'attivazione dei mezzi intercettizi.

Pur non essendo direttamente utilizzabili le informazioni di natura confidenziale possono essere qualificate come notitiae criminis.

Analogo divieto ricorre per le fonti anonime con le quali non vanno confuse quelle oggetto di specifica tutela della provenienza (Cass., VI, n. 9041/2018: - “Ai fini della valutazione dei gravi indizi di reato in sede di autorizzazione alle intercettazioni è utilizzabile la segnalazione proveniente dal “whistleblower”, in quanto l’identità del denunciante è nota, pur essendo coperta da riserbo al fine di tutelar e il pubblico dipendente che segnali condotte illecite, sicché non incorre nel divieto di utilizzazione delle fonti anonime previste dall’art. 333, comma 3, cod. proc. pen.”).

Sanzione

Il giudice nel provvedere al rigetto della richiesta del pubblico ministero dà conto dell'eventuale inutilizzabilità e delle ragioni poste a fondamento della stessa ovvero laddove intenda comunque autorizzarle espone le ragioni per le quali se ne possa fare a meno per sostenere la prognosi di gravità (o sufficienza) indiziaria.

Utilizzabilità residuale

Il divieto sancito dall'art. 267, comma 1-bis, non va ad incidere riguardo all'individuazione dei soggetti da sottoporre ad intercettazione, fermo restando l'esistenza obiettiva del reato ed il collegamento tra quest'ultimo e la persona intercettabile - (Cass. VI, n. 39766/2014).

Le intercettazioni d'urgenza: limiti e procedura

 

Profili generali

Proprio in considerazione della magmaticità delle indagini preliminari, — si pensi ai momenti immediatamente successivi ad un omicidio ovvero ad un'attività criminosa che gli inquirenti ritengano già essere in itinere —, può accadere che il pubblico ministero debba procedere all'attivazione del mezzo intercettizio con urgenza in quanto un eventuale ritardo potrebbe comportare un grave pregiudizio ovvero una dispersione delle prove.

Provvedimento d'urgenza del pubblico ministero

Nel dar luogo all'attivazione d'urgenza il pubblico ministero, — che, così come il giudice. provvede con decreto motivato —, obbedisce alle medesime griglie di competenza, ammissibilità e merito prese in considerazione per l'attivazione ordinaria con in più la necessità dell'espressa motivazione delle ragioni per le quali si è ritenuto che un ritardo nell'attivazione potesse comportate un grave pregiudizio alle indagini.

La omessa motivazione del pubblico ministero riguardo al requisito specifico dell'urgenza va sanzionata dal giudice che non può, devolutivamente, colmarla. (Di diverso avviso, Cass. VI, n. 55748/2017, secondo cui “in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, l’eventuale difetto di motivazione del decreto emesso in via d’urgenza dal pubblico ministero è sanato con l’emissione del decreto di convalida da parte del giudice per le indagini preliminari, che assorbe integralmente il provvedimento originario e rende utilizzabili i risultati delle operazioni di intercettazione, precludendo ogni discussione sulla sussistenza del requisito dell’urgenza”).

Nel proprio provvedimento il pubblico ministero oltre ad attivare, d’urgenza, il mezzo intercettizio richiede, contestualmente, anche la convalida dello stesso.

Il termine di durata massima delle operazioni di intercettazione disposte in via d’urgenza dal pubblico ministero, nell’ambito di indagini relative a delitti di criminalità organizzata, è – ove convalidato dal giudice - di quaranta giorni (Cass. I, n. 4071/2020).

Termini

Entro ventiquattro ore dal momento in cui viene emesso, il decreto motivato del pubblico ministero, e gli atti posti a fondamento dello stesso, vanno immediatamente trasmessi e depositati nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari.

Per tale ragione il decreto motivato del pubblico ministero deve sempre riportare accanto alla data in cui è stato adottato anche l’indicazione dell’ora in cui è stato adottato: senza tale requisito, e salva l’ipotesi in cui esso venga depositato presso la cancelleria del giudice per le indagini preliminari nello stesso giorno di emissione, ogni controllo sul punto  risulta impossibile determinando il giudice a non convalidarlo.

Quel che rileva non è la mera trasmissione della richiesta di convalida del pubblico ministero bensì il fatto che la stessa sia depositata presso la cancelleria del giudice per le indagini preliminari entro ventiquattro ore dalla sua emissione.

Trattandosi di un termine ad ore (art. 172) per esso non è previsto alcuna deroga riguardo alla scadenza.

È per tale ragione che l'art. 14 reg. esec. al codice di procedura penale prevede espressamente, nel corso delle indagini preliminari, il compimento di atti del procedimento nei giorni festivi ovvero che abbiano scadenza nel corso di essi.

Presso gli uffici dei giudici per le indagini preliminari dovrebbero essere sempre previsti turni di reperibilità del personale ovvero accorgimenti tecnici (presidi; trasmissione a mezzo fax; etc.) che siano in grado di assicurare tale adempimento ad ore, soprattutto nei giorni festivi.

Provvedimento del giudice

Il decreto motivato di convalida del giudice per le indagini preliminari prende in esame tutti i presupposti sanciti per l'emissione ordinaria (art. 267, comma 1) con in più l'espressa valutazione della sussistenza, in concreto, dell'urgenza.

Pur in presenza di tutti i presupposti di ammissibilità e merito il giudice per le indagini preliminari dovrà rigettare la richiesta di convalida dell'intercettazione d'urgenza disposta dal pubblico ministero nel caso in cui dovesse ritenere assente il requisito del grave pregiudizio che le indagini avrebbero subito in caso di un ritardo nell'attivazione.

Tale esame dovrà essere particolarmente rigoroso soprattutto nei casi in cui le intercettazioni disposte d'urgenza fanno riferimento ad un atto d'indagine da svolgersi in una presunta immediatezza (colloqui in carcere; assunzione testimonianze; etc.) dovendosi parametrare la stessa con i tempi ordinari di risposta.

È per questo che in sede di legittimità (Cass. I, n. 49483/2014) si è avuto modo di evidenziare che l'arco temporale di riferimento che il giudice deve prendere in considerazione per valutare la sussistenza dell'urgenza è il medesimo (48 ore) ad egli assegnato : solo laddove nel corso di tale intervallo le indagini possono subire pregiudizio può essere riconosciuta l'urgenza.

La mancanza di motivazione dei decreti di autorizzazione, convalida e proroga previsti dall'art. 267 può essere dedotta, per la prima volta, anche nel giudizio di cassazione ovvero rilevata, d'ufficio, dal giudice di legittimità (art. 609, comma 2) integrando l'inosservanza di tale obbligo una inutilizzabilità assoluta, che non può trovare superamento nella scelta del rito abbreviato scelto dall'imputato in quanto coinvolgente la violazione di un diritto fondamentale (art. 13 Cost.) tutelato costituzionalmente (Cass. III, n. 15828/2014).

Qualora, in sede di legittimità, vanga eccepita l’inutilizzabilità delle intercettazioni, è onere della parte,  a pena di inammissibilità, indicare specificamente l’atto che si ritiene viziato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni – (Cass., V, n. 25082/2019).

Urgenza ed incompetenza

Può accadere che il giudice per le indagini preliminari pur condividendo l'analisi del pubblico ministero in ordine all'ammissibilità, al merito ed all'urgenza ritenga di essere incompetente per territorio ovvero funzionalmente.

Tale ipotesi non trova regolamentazione diretta ragion per cui, atteso il disposto di cui all'art. 26, che fa salve le prove acquisite dal giudice incompetente, può interpretativamente ritenersi che il giudice ha la possibilità di convalidare le intercettazioni e di dichiarare la propria incompetenza ex art. 22, comma 1 con quel che ne consegue in capo al pubblico ministero nel prosieguo delle indagini - (trasmissione ex art. 54 ovvero decadenza, all'esito del periodo concesso).

Termini

Il giudice per provvedere ha il termine di quarantotto ore, quest'ultimo da calcolare non dal momento del deposito della richiesta presso la propria cancelleria bensì da quello in cui il pubblico ministero ha adottato il decreto.

Si è già detto sopra dell'importanza, ai fini del controllo da parte del giudice, che il decreto motivato del pubblico ministero riporti non solo la data di emissione ma anche l'ora.

Anche per il provvedimento del giudice, essendo sancita una scadenza ad ore, non è prevista alcuna deroga alla stessa.

La non convalida da parte del giudice

Nell'eventualità che il giudice non convalidi il decreto motivato del pubblico ministero — a prescindere dalle motivazioni formali e/o sostanziali poste a fondamento di tale pronuncia — le intercettazioni vanno immediatamente interrotte ed, in ogni caso, le risultanze sono inutilizzabili.

Presso alcuni uffici del pubblico ministero è invalsa la prassi di chiedere la convalida dell'intercettazione urgente ed in subordine, nel caso in cui il giudice la rigettasse, l'emissione ordinaria del decreto autorizzativo.

Al di là della condivisibilità o meno di tale procedere, nell'eventualità che il giudice per le indagini preliminari dovesse non convalidare le intercettazioni d'urgenza disposte dal pubblico ministero (per carenza del presupposto del grave pregiudizio per le indagini dovuto al ritardo nell'attivazione) e, contestualmente, autorizzare ordinariamente le stesse ne consegue che tutto ciò che è stato acquisito precedentemente a quest'ultima non è utilizzabile.

Il decreto di esecuzione del pubblico ministero

 

Profili generali

Sia che l'intercettazione venga attivata ordinariamente sia che si provveda d'urgenza il decreto motivato del giudice o del pubblico ministero è sempre seguito da un ulteriore provvedimento di quest'ultimo che sovraintende alle operazioni materiali, quest'ultime relative sia alle modalità che alla durata.

Come specificato in giurisprudenza il decreto di esecuzione del pubblico ministero può anche prevedere “procedure di tracciamento e localizzazione” che non necessitano di alcuna autorizzazione del giudice riguardando forme di pedinamento, avulse da qualsiasi contenuto intercettizio - (Cass. III, n. 32699/2015).

Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione, ai sensi dell'art. 267, comma 3, c.p.p., deve indicare la durata e le modalità delle operazioni e l'individuazione del soggetto passivo e dell'ambiente ove il procedimento andrà a svolgersi, senza la necessità di puntualizzare le specifiche operazioni tecniche per mezzo delle quali effettuare la captazione – (Cass. III, n. 38009/2019).

Modalità

Sebbene indicati in via generica nell'art. 267, comma 3 le modalità delle operazioni trovano articolata disciplina nella norma seguente, intitolata, giustappunto, alla “esecuzione delle operazioni”.

Durata (differenziata) delle intercettazioni e proroga (differenziata) delle stesse

Il termine di durata ordinaria delle intercettazioni non può mai essere superiore ai quindici giorni.

Il fatto che il legislatore abbia indicato il termine dei quindici giorni come termine massimo comporta che mentre il giudice nel concedere l'intercettazione (o nel convalidarla) non deve apporre alcun termine (e se lo appone esso è tamquam non esset) il pubblico ministero nel dar luogo al decreto esecutivo può anche prevedere un tempo di svolgimento più breve.

Per i reati di criminalità organizzata (o di minaccia col mezzo del telefono) o in materia di terrorismo vige un iniziale termine (non superabile) di quaranta giorni.

Anche in questo caso il decreto esecutivo del pubblico ministero può prevedere un termine più breve.

La richiesta di proroga del pubblico ministero

La richiesta di proroga va inoltrata al giudice prima del termine di scadenza delle intercettazioni autorizzate (o convalidate).

Non è indicato dal legislatore un termine minimo affinché la richiesta sia legittima, — in ciò comprimendo irragionevolmente la giusta possibilità di ponderazione da parte del giudice —, purché evidentemente prima della scadenza.

In teoria è possibile che la richiesta di proroga sia, legittimamente, depositata nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari anche un minuto prima della scadenza del termine in precedenza concesso con quel che ne consegue in termini di una (eventuale) improponibilità della domanda ed un contestuale rigetto della stessa.

L'eventuale richiesta di proroga del pubblico ministero depositata nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari oltre il termine di scadenza comporta l'inammissibilità della domanda ovvero l'inutilizzabilità delle intercettazioni disposte tra la scadenza e la nuova autorizzazione, così qualificata la (concessa) proroga fuori termine.

Scadenza ad ore e giorni festivi

Anche per le richieste di proroga, così come già per le richieste di convalida, il legislatore prevede le scadenze ad ore con tutto quello che ciò comporta in termini di assenza di ogni deroga, anche relativamente ai giorni festivi.

Decreto (motivato) di proroga

Mentre la proroga per le intercettazioni ordinarie, — fatta sempre salva, ovviamente, la sussistenza dei presupposti d'ammissione sopra commentati —, è di quindici giorni in quindici giorni quella per i reati di cui all'art. 13 l.  n. 203/1991 è di venti giorni in venti giorni.

Così come per il momento autorizzativo (e per quello di convalida) il giudice proroga l'intercettazione con decreto motivato.

Con la Legge n. 47 del 31/3/2025 l'art. 267, comma 3, è stato novellato a mezzo della statuizione, secondo cui, per le intercettazioni, è ora previsto il divieto di “ una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni ”.

Si è in questo modo inserito un termine di utilizzo di un mezzo di ricerca della prova, – e solo per tale tipologia -, inferiore a quella delle indagini preliminari, situazione potenzialmente irragionevole là dove, invece, in presenza di gravi reati e di complessità del loro accertamento, lo spazio investigativo può spingersi fino a due anni.

Non è stata, inoltre, presa, minimamente, in considerazione dal Legislatore la circostanza che, nonostante l'esaurirsi del termine di 45 giorni, nel prosieguo delle indagini, l'acquisizione di nuovi elementi potrebbe giustificare la necessità di una riattivazione del mezzo intercettizio : l'utilizzo dell'espressione “ durata complessiva ” sembrerebbe, difatti, sbarrare la strada – per quanto anch'essa irragionevole sotto il profilo sistemico –, ad ogni possibile lettura estensiva.

Tale sbarramento risulta ancora meno comprensibile laddove, invece, in presenza “ di elementi specifici e concreti ” – da porre a fondamento di una “ espressa motivazione ” – il termine di 45 giorni può essere valicato se si pone in piena continuità temporale con le precedenti proroghe, così dando vita ad un trattamento diverso di situazioni analoghe.

Va da sé che ogni successiva, e singola, proroga che dovesse superare il termine stabilito dalla nuova legge - e non solo quella posta a valle dei quarantacinque giorni – dovrà essere sottoposta al rigoroso vaglio valutativo introdotto dalla nuova disciplina.

Quest'ultimo deve essere improntato non solo alla verifica della presenza di elementi concreti – vale a dire non teorici e/congetturali – e specifici – cioè riconducibili alle condotte oggetto d'indagine – ma anche frutto (da cui, l'utilizzo dell'espressione “ emersi ”) delle captazioni fino a quel momento acquisite.

E' per tali ragioni, – nonché per far fronte a quelle decisioni di legittimità che, in materia di proroghe, hanno, fino ad oggi, avallato prassi di mero rimando ai motivi esposti dal Pm nelle proprie richieste –, che si è sancita la necessità di prescrivere una “ espressa motivazione ” da parte del giudice : va da sé che i contenuti per relationem, fino a questo momento copiosamente in uso, vanno totalmente rivisitati.

L'innovazione introdotta, - mediante l'interpolazione dell' art. 13 del d. l. n. 152 del 13 maggio 1991 -, è stata espressamente esclusa per tutti i reati individuati dalla legislazione speciale : per quest'ultimi, - ivi compresi i delitti contro la P.A. -, la previsione della durata complessiva dei quarantacinque giorni ed il regime di proroga stabilito al termine di esso non ha vigenza.

Si è sostenuto, di recente, in sede di legittimità che la motivazione della proroga — proprio in quanto basa i propri assunti, necessariamente, sulle motivazioni antecedenti — può essere meno specifica sino al punto di dare atto della plausibilità delle ragioni esposte dal pubblico ministero nella propria richiesta - (Cass. IV, n. 16430/2015).

Il precedente rigetto di una richiesta di proroga non preclude, in presenza di ragioni sopravvenute che la giustificano, la riattivazione dell'intercettazione sulla medesima utenza attraverso una nuova autorizzazione – (Cass., VI, n. 48572/2019).

La proroga d’urgenza del pubblico ministero nei reati di criminalità organizzata, terrorismo e delitti contro la P.A.

 

Profili generali

Per questi delitti, anche al fine di ovviare ai problemi di scadenza sopra menzionati, il legislatore ha concesso la facoltà al pubblico ministero di prorogare d'urgenza le intercettazioni in scadenza, salvo inoltrare al giudice la richiesta di convalida del proprio provvedimento.

Procedura

Eccezionalmente il legislatore riconosce in capo al pubblico ministero il potere di proroga delle intercettazioni, fermo restando la specifica motivazione sia riguardo all'urgenza che relativamente alla persistenza dei presupposti in fatto sopra analizzati (sufficienza indiziaria; necessità; etc.).

Atteso l'espresso richiamo dell'art. 267, comma 2 il pubblico ministero che ha provveduto alla proroga d'urgenza dovrà trasmettere entro ventiquattro ore gli atti al giudice per le indagini preliminari che dovrà, a sua volta, convalidare (la proroga) entro quarantotto ore da esso (art. 13 L. 203/1991).

Il sovraintendere alle operazioni materiali

 

Profili generali

Al fine di sottolineare la peculiare delicatezza dei valori costituzionali in gioco (art. 13 Cost.) il legislatore individua fisicamente i soggetti processuali destinati a garantire la corretta esecuzione delle operazioni.

Soggetti processuali

Alle operazioni attinenti le intercettazioni provvede “personalmente” il P.M. ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria da lui specificamente delegato nelle forme di cui all'art. 370.

Per i reati di criminalità organizzata ed in tema di terrorismo possono coadiuvare il pubblico ministero — che non provvede personalmente — oltre agli ufficiali anche gli agenti di polizia giudiziaria (art. 13 cit.).

L'omessa indicazione nei verbali delle operazioni dei nominativi degli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno preso parte alle intercettazioni non comporta alcuna inutilizzabilità delle acquisizioni svolte, rientrando ciò in una mera irregolarità (Cass. III, n. 20418/2015).

L’irrilevanza: contenuti e limiti

Con il d.lgs. n. 216/2017(la cui efficacia è stata più volte rinviata) è stato novellato il comma 4 dell'art. 267 inserendovi un importante raccordo con l'art. 268, comma 2-bis, c.p.p. anch'esso di nuovo conio.

Si è istituito, difatti, l'obbligo in capo all'ufficiale di polizia giudiziaria di informare l'ufficio del pubblico ministero delle cd. “comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini sia per l'oggetto che per i soggetti coinvolti nonché di quelle parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge”.

Tale obbligo di informazione è di natura preventiva e deve svolgersi per iscritto.

Ciò sta a significare che viene affidato all'ufficiale di polizia giudiziaria il dovere di selezionare, in prima istanza, il materiale che ritenga irrilevante secondo i parametri di cui all'art. 268, comma 2-bis, e, quindi, riportarne i contenuti in una apposita annotazione da depositare nell'ufficio del pubblico ministero.

L'irrilevanza fonda i propri assunti contenutivi nel fatto che siano coinvolti soggetti estranei all'indagine ovvero captate conversazioni con oggetto diverso da quello della stessa.

E' di tutta evidenza la peculiare delicatezza della funzione assegnata agli ufficiali di polizia giudiziaria incaricati di seguire l'attività intercettizia in quanto se è vero che l'annotazione da essi redatta va comunque rimessa, per ogni successiva valutazione, all'ufficio del pubblico ministero, – cui solo è attribuito il potere di stabilire che quelle captazioni non sono affatto irrilevanti e vadano quindi trascritte, pur se relative a dati personali definiti sensibili dalla legge –, ben può accadere, nella prassi, soprattutto per indagini di particolare complessità, di “omissare” elementi di rilievo investigativo ovvero di  “trascurarne” altri che solo in un successivo momento possono acquistare significato probatorio.

E' per tale ragione che peculiare cura deve essere svolta dagli uffici del pubblico ministero in merito alle regole con cui devono essere svolte le annotazioni di polizia giudiziaria ed i contenuti delle stesse al fine di potere svolgere un vaglio preliminare di valutazione concreto ed efficace.

Proprio in forza dell'attribuzione al pubblico ministero del potere di procedere alle operazioni intercettizie personalmente l'affidamento del compito di controllo sulle conversazioni, considerate irrilevanti dagli ufficiali di polizia giudiziaria, non potrà che avere un margine di incertezza fondandosi ogni valutazione su di una inevitabile, e molto insidiosa, discrezionalità.

Il legislatore non si è posto alcun problema in merito alla recuperabilità del materiale in un primo tempo considerato irrilevante ma può affermarsi che proprio l'assenza di ogni disciplina in proposito ne determina la piena agibilità processuale.

Proprio in considerazione delle  copiose critiche mosse sul  al disposto della seconda parte dell'art. 267, comma 4  — “l'ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell'art. 268, comma 2 bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni” — ,  il legislatore, con il d.l. n. 161/2019, - poi convertito nella l. n. 7/2020 - ha, opportunamente,  abrogato tale  compito incongruamente affidato alla polizia giudiziaria e, di conseguenza, riscritto  totalmente  la norma di riferimento.

 Ogni “responsabilità investigativa” al riguardo è stata ricondotta all'ufficio del pubblico ministero, il quale, va da sé, dovrà necessariamente delegare, dettagliatamente, tali   compiti alla polizia giudiziaria ma  nell'ambito di   una palese, ed opportuna, inversione  della catena di controllo.

 

Registro delle intercettazioni

 

Profili generali

Attesa la particolare delicatezza della materia il legislatore ha previsto l'istituzione di un apposito registro ufficiale in cui sono annotati tutti gli estremi e le successive evoluzioni dei decreti di intercettazione emessi.

Registro presso il pubblico ministero

Il registro ufficiale delle intercettazioni è conservato, in modo riservato, presso l'ufficio del pubblico ministero.

Nello stesso sono annotati, secondo l'ordine cronologico, tutti i provvedimenti che via via vengono adottati in quello specifico procedimento.

Il registro delle intercettazioni, – tenuto secondo le modalità dettate dall'art. 267, comma 5, c.p.p., così come modificato dal d.l. n. 161/2019(convertito con la l. n. 7/2020)–, non va confuso con l'archivio digitale di cui agli artt. 269, comma 1, c.p.p. e 89-bis disp. att. c.p.p.: mentre il primo attiene alle annotazioni, - da tenere anche con modalità telematiche –, dei “decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni”, – e, pur nell'ambiguità sul punto, va da sé anche di quelle che rigettano tali domande –, nonché “l'inizio ed il termine delle operazioni”, il secondo riguarda la conservazione dei risultati delle stesse, e cioè “i verbali e le registrazioni ed ogni atto ad essi relativo” : entrambi, inoltre, da un generico riferimento alla loro mera tenuta da parte  dell'ufficio del pubblico ministero sono stati ricondotti sotto “la direzione e la sorveglianza” del Procuratore della Repubblica.

Proprio in relazione all'irregolare indicazione di inizio e fine delle operazioni citate dall'art. 267, comma 5 (richiamate anche dall'art. 89, comma 2, disp. att.) si è avuto modo di precisare l'irrilevanza di tali irregolarità rispetto ad ogni profilo di inutilizzabilità riguardando quest'ultima solo le ipotesi delineate dall'art. 268, commi 1 e 3 (Cass. VI, n. 33231/2015).

Registro informale G.I.P

Nessun divieto sussiste per l'istituzione di un registro (informale) presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e nella prassi gli stessi sono utilizzati soprattutto per garantire sia il rispetto dell'attrazione in capo al medesimo magistrato, — individuato secondo i criteri tabellari del giudice naturale —, di tutti i provvedimenti aventi ad oggetto quello specifico procedimento (art. 7-ter r.d. n. 12/1941) e sia per impedire, soprattutto, situazioni di successive incompatibilità stante la differenza di funzioni con il giudice dell'udienza preliminare. [Cass. V, n. 9968/2018: “Il principio di incompatibilità del giudice di cui all’art. 34 cod. proc. pen. trova applicazione esclusivamente con riferimento ad atti compiuti nel medesimo procedimento e non quando il giudice abbia conosciuto e valutato in altro contesto processuale i medesimi elementi di prova utilizzati nei confronti dell’imputato. (Fattispecie in cui il giudice dell’udienza preliminare aveva valutato, ai fini della decisione, il contenuto di intercettazioni in relazione alle quali, in qualità di giudice per le indagini preliminari, in altro procedimento, aveva convalidato il decreto del pubblico ministero che le disponeva in via d’urgenza”)].

 

Casistica

I decreti intercettizi, di qualsiasi momento essi siano raffigurazione, (autorizzazione; proroga; convalida), non rientrano tra gli atti che, all'esito dell'udienza preliminare, il giudice deve inserire nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431 ragion per cui l'eventuale non inserimento non comporta alcuna inutilizzabilità degli esiti degli stessi - (Cass. I, n. 7845/2015).

Bibliografia

Aprile-Spiezia, Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, Milano, 2004; Dalia-Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2013; Valente, Le intercettazioni telefoniche, Milano, 2012;

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