Codice di Procedura Penale art. 315 - Procedimento per la riparazione.

Franco Fiandanese

Procedimento per la riparazione.

1. La domanda di riparazione deve essere proposta [102 att.], a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile [648], la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile [428] o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato a norma del comma 3 dell'articolo 3141.

2. L'entità della riparazione non può comunque eccedere 516.456,90 euro2.

3. Si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell'errore giudiziario [643-647].

 

[1] Comma dapprima dichiarato parzialmente incostituzionale da Corte cost. 30 dicembre 1997, n. 446 e poi così sostituito dall'art. 151 lett. a)l. 16 dicembre 1999, n. 479.

[2] Comma così sostituito dall'art. 15 1 lett. b) l. n. 479, cit.

Inquadramento

L'art. 315 contiene regole sia sostanziali che processuali, perché oltre a disciplinare l'esercizio dell'azione riparatoria, fissa l'entità massima della somma liquidabile e, inoltre, indica, attraverso il richiamo delle disposizioni in materia di errore giudiziario (artt. 643, ss.), gli elementi di cui il giudice deve tener conto ai fini della decisione.

I commi 1 e 2 sono stati modificati dalla L. n. 479/99 in adeguamento alla pronuncia n. 446/1997 della Corte cost., che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 315, comma 1, nella parte in cui prevedeva che il termine per proporre la domanda di riparazione decorresse dalla pronuncia del provvedimento di archiviazione, anziché dal giorno in cui, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 314, comma 3, era stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti detto provvedimento era stato pronunciato.

L'art. 3-bis del d.l. n. 211/11 inserito dalla legge di conversione n. 9/12, ha esteso l'applicazione delle disposizioni dell'art. 314 ai procedimenti definiti anteriormente alla data di entrata in vigore del medesimo codice, con sentenza passata in giudicato dal 1° luglio 1988.

Termine di proposizione della domanda

 

In genere

A norma del comma 1, la domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni che decorrono dal giorno in cui: la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile; la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile; è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato a norma del comma 3 dell'art. 314

Il giudice, per la verifica della tempestività della domanda, deve fare riferimento alla data di spedizione del plico e non a quella della sua ricezione, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale (Cass. IV, n. 10490/2024).

E' stato precisato che l'ordinanza con la quale il giudice dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516,517 e 518 comma 2, non è equiparabile alla sentenza irrevocabile di proscioglimento, al provvedimento di archiviazione o alla sentenza di non luogo a procedere ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 315, comma 1 (Cass. IV, n. 9201/2018).

Nel caso in cui sia errata l'attestazione della data della irrevocabilità della sentenza di proscioglimento o di assoluzione da parte della cancelleria, è stato affermato che deve comunque ritenersi ammissibile la domanda presentata nel termine di due anni dalla data riportata nell'attestazione medesima, non potendo l'errore dell'ufficio giudiziario essere opposto al ricorrente, a meno che non si provi che egli ne abbia dato causa o vi abbia concorso (Cass. IV, n. 48426/2015); ma in senso contrario è stato, invece, ritenuto che la domanda presentata oltre i due anni dalla sentenza di proscioglimento o di assoluzione, è inammissibile, perchè tardiva, anche nell'ipotesi in cui la cancelleria abbia per errore indicato, nell'attestazione di passaggio in giudicato, una data diversa rispetto alla quale la domanda presentata appaia tempestiva, avendo la predetta attestazione natura meramente ricognitiva ed essendo onere dell'istante verificare quale sia stato l'effettivo momento di irrevocabilità (Cass. IV, n. 23144/2017). 

È stato precisato che il diritto di proporre la domanda, e la connessa decorrenza del termine biennale di decadenza, sorgono nel momento in cui le condizioni indicate al comma primo dell'art. 315 si determinano con riguardo ai reati per i quali è stata disposta la custodia cautelare, a nulla rilevando che il procedimento eventualmente prosegua in riferimento a reati ulteriori, per i quali l'interessato non sia stato assoggettato a restrizione detentiva della libertà (Cass. IV, n. 38597/2010).

Il termine per la presentazione della domanda decorre, pur quando si vuol far valere l'ingiustizia della custodia cautelare sofferta per titolo illegittimo, dal momento in cui è divenuta definitiva la sentenza di proscioglimento o di condanna e non da quello dell'irrevocabilità della pronunzia che ha concluso il procedimento cautelare (Cass. IV, n. 19666/2009). Peraltro, è stato affermato che, invece, il termine biennale di decadenza per la presentazione della domanda decorre dalla data di cessazione effettiva della custodia cautelare, qualora questa sia successiva al passaggio in giudicato della sentenza di proscioglimento (Cass. IV, n. 20235/2010).

Ai fini dell'ammissibilità della domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione, il termine di due anni previsto dall'art. 315, comma 1, decorre, nel caso di rideterminazione della pena da espiare in sede esecutiva, dalla data di inoppugnabilità del provvedimento esecutivo e non dal momento della scarcerazione, eventualmente antecedente, dell'istante. La Corte ha precisato che la "ratio" della disciplina di cui all'art. 315 è quella di ancorare il dies a quo per la proposizione della domanda al riferimento certo della definitività del provvedimento esecutivo sopravvenuto e non ad un criterio variabile, quale quello della cessazione della custodia cautelare, che può intervenire anche in un momento antecedente (Cass. IV, n. 32349/2023).

Plurime imputazioni

Nell'ipotesi di plurime imputazioni cumulativamente trattate nello stesso procedimento ma decise con provvedimenti distinti, il dies a quo per l'esercizio del diritto alla riparazione va fissato alla data in cui è divenuta irrevocabile l'ultima decisione (Cass. IV, n. 26705/2008).

Il termine biennale per la presentazione della domanda - nell'ipotesi di una pluralità di reati, in relazione ai quali sono state emesse plurime ordinanze applicative di misure coercitive detentive, e che hanno successivamente costituito oggetto di diversi procedimenti, poi riuniti sotto il vincolo della continuazione e decisi con unica sentenza di primo grado, in parte di assoluzione (passata in giudicato), in parte di condanna (oggetto di impugnazione) - inizia a decorrere, per i reati in ordine ai quali vi è stata assoluzione, dal passaggio in giudicato della pronunzia assolutoria, a nulla rilevando la prosecuzione in appello per il reato oggetto di condanna (Cass. IV, n. 31319/2011); nel caso in cui la sentenza  sia stata pronunciata con riferimento ad un reato per il quale è stata disposta la custodia cautelare, il termine biennale decorre dalla irrevocabilità di quella sentenza a nulla rilevando che il procedimento sia eventualmente proseguito con riferimento a reati ulteriori e diversi da quelli per i quali l'interessato è stato sottoposto alla misura cautelare (Cass. IV, n. 22627/2017).

Impugnazione dei coimputati

Ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione, l'impugnazione dei coimputati impedisce, sino a definizione della stessa, che la sentenza di proscioglimento divenga irrevocabile (Cass. III, n. 3891/2011).

Revoca dell'originale sentenza assolutoria

Il termine di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza assolutoria entro il quale deve essere proposta la domanda di riparazione per ingiusta detenzione, decorre, nel caso in cui il giudice dell'esecuzione abbia revocato l'originale sentenza assolutoria, applicando l'effetto estensivo di altra decisione assolutoria (con formula più favorevole), dalla data del provvedimento applicativo dell'effetto estensivo (Cass. IV, n. 14580/2010).

Impugnazione della sola parte civile

L'impugnazione della sentenza di proscioglimento ad opera della sola parte civile non incide sulla decorrenza del termine biennale previsto per la proposizione della domanda, atteso che tale gravame non è comunque suscettibile — anche in caso di accoglimento — di modificare il contenuto del provvedimento decisorio ai fini delle statuizioni penali (Cass. IV, n. 43712/2003; Cass. IV, n. 26427/2009; Cass. IV, n. 20156/2022).

Sospensione feriale

Si è affermato che stante la natura sostanzialistica dell'istituto, non si applicano le disposizioni relative alla sospensione dei termini in periodo feriale, le quali riguardano i termini processuali che, come tali, postulano, quanto meno, una situazione procedimentale in atto (Cass. IV, n. 1527/1993; Cass. IV, n. 328/1997). Di diverso avviso la giurisprudenza più recente, la quale afferma che La sospensione dei termini nel periodo feriale opera anche per il termine biennale previsto dall'art. 315 per la proposizione della domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione, trattandosi di termine di decadenza fissato per l'atto introduttivo del giudizio, in un caso in cui la proposizione della domanda costituisce l'unico rimedio per il riconoscimento del diritto al relativo indennizzo (Cass. IV, n. 34362/2021).

Soggetti legittimati

L'art. 315 non indica i soggetti legittimati a presentare la domanda di riparazione per ingiusta detenzione ma l'ultimo comma dispone che si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell'errore giudiziario contenute negli articoli dal 643 al 647.

Nel caso l'interessato sia deceduto prima della definitività della sentenza assolutoria, l'indennizzo può essere successivamente richiesto anche dai congiunti elencati nell'art. 644, comma 1, atteso che, in forza della disposizione richiamata, gli stessi sono legittimati in proprio e non iure hereditario a presentare la relativa domanda (Cass. IV, n. 23913/2008). In questo caso, non sussiste l'onere dei congiunti subentrati, ex art. 644, comma 1, di provare il pregiudizio subito nella propria sfera a causa dell'ingiusta detenzione del congiunto, in quanto essi subentrano nel diritto all'indennità dovuta a quest'ultimo e non già ad una nuova e diversa indennità commisurata alle ripercussioni di detta ingiusta detenzione nella propria sfera personale. Ne consegue che i prossimi congiunti del de cuius — pur essendo legittimati in proprio e non iure hereditario a presentare la relativa istanza — possono far valere in giudizio il danno subito dal defunto (Cass. IV, n. 76/2013). L'indennizzo spettante, deve essere commisurato nel suo complesso al pregiudizio sofferto dalla persona defunta, mentre l'ammontare così determinato deve essere ripartito equitativamente dal giudice in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona (Cass. IV, n. 5637/2014).

Gli eredi di colui che abbia proposto la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione sono legittimati a proseguire il giudizio in caso di decesso dell'interessato nelle more del giudizio, dovendo trovare applicazione, per il carattere patrimoniale del "petitum", la disciplina processualcivilistica, che ricollega l'estinzione del processo non alla morte della parte, ma alla mancata prosecuzione o riassunzione in termini dello stesso da parte dei successori aventi diritto (Cass. III, n. 46386/2019). 

La morte del ricorrente intervenuta anteriormente alla proposizione della domanda determina l'estinzione del mandato professionale conferito a tal fine, potendo quindi, gli eredi dell'interessato, iniziare il giudizio per l'ingiusta detenzione subita dal congiunto solo conferendo apposito mandato, ma sempre nel rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 315, comma 1 (Cass. IV, n. 34366/2020).

A seguito di intervenuto annullamento con rinvio, la prosecuzione del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, non richiede un impulso di parte, essendo la cancelleria del giudice del rinvio tenuta d'ufficio ad attivarsi per porre in essere gli adempimenti necessari (Cass. III, n. 45706/2011).

Modalità di presentazione della domanda

In base al combinato disposto dell'art. 315 con l'art. 102 disp. att., il giudice competente a decidere sulla riparazione per ingiusta detenzione, è la Corte di appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione che ha definito il procedimento; nel caso di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, è competente la corte di appello nel cui distretto è stato emesso il provvedimento impugnato. Pertanto, la domanda va presentata nella cancelleria della corte di appello competente.

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione costituisce atto personale della parte che l'abbia indebitamente sofferta. Pertanto la sua proposizione, in quanto espressione della volontà della parte di far valere il diritto alla riparazione in giudizio può avvenire, oltre che personalmente, anche per mezzo di procuratore speciale nominato nelle forme previste dall'art. 122, ma non per mezzo del difensore con procura, avendo la legge voluto garantire sia l'autenticità dell'iniziativa, sia la sua diretta e inequivocabile derivazione dalla volontà dell'interessato; mentre alla presentazione della domanda può provvedere anche il difensore con procura che ha il potere di compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati (Cass.  S.U., n. 8/1999; da ultimo: Cass. IV, n. 7372/2014;  Cass. IV, n. 10187/2020).

È stato, peraltro, affermato che la domanda è legittimamente presentata dal difensore costituito in maniera generica procuratore speciale dall'interessato nel mandato ad litem apposto a margine dell'istanza (Cass. IV, n. 40293/2008). Pertanto, devono ritenersi mere imprecisioni formali, non inficianti la validità della procura speciale, le irritualità che non pregiudicano la ricostruzione in termini di certezza della volontà della parte di conferire al difensore un mandato riferito alla richiesta di indennizzo, posto che per il rilascio della procura speciale non sono previste formule sacramentali (Cass. IV, n. 48571/2013: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto irrilevanti, a fronte della specifica indicazione nella procura delle finalità del suo rilascio, la circostanza che fosse stata redatta su un foglio separato, non munito di numero di pagina e recante data di gran lunga anteriore a quella della presentazione del ricorso). Inoltre, è stato affermato che la procura speciale che deve contenere, ai sensi di legge, anche "la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti a cui si riferisce" ed è stata, pertanto, esclusa la validità della procura speciale, rilasciata al difensore che aveva sottoscritto la domanda di riparazione e allegata su foglio separato, che conferiva il potere di "presentare istanza ex art. 315 cod. proc. pen.", senza alcuna ulteriore specificazione con riguardo all'oggetto per cui era conferita, quale ad esempio l'indicazione del numero del procedimento penale a cui era collegata l'istanza di riparazione (Cass. IV, n. 16115/2018).

Secondo la prevalente giurisprudenza, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione, una volta conferita la procura speciale al difensore che ha sottoscritto l'istanza, può essere depositata presso l'ufficio competente anche da un soggetto diverso dal procuratore speciale e da questi delegato, in quanto la presentazione dell'atto costituisce mera attività materiale successiva alla formazione dell'atto da parte del soggetto legittimato (Cass. IV, n. 23137/2003; Cass. IV, n. 21737/2006; Cass. IV, n. 39085/2007; Cass. IV, n. 51748/2017; Cass. IV, n. 3891/2018; contra: Cass. IV, n. 34196/2003).

La procura speciale rilasciata all'estero da cittadino straniero per risultare valida deve essere necessariamente legalizzata dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane, a meno che colui che l'ha rilasciata non sia cittadino di un paese aderente alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 la cui adesione sia stata accettata dallo Stato italiano, nel qual caso viene meno l'obbligo di legalizzazione, risultando sufficiente la mera formalità della «apostille» (Cass. IV, n. 10485/2008).

Con D.M. 4 luglio 2023 (GU Serie Generale n.155 del 05-07-2023) sono stati individuati gli atti il cui deposito da parte dei difensori deve avvenire esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico ai sensi dell'art. 87, comma 6-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, tra questi atti vi è anche la domanda di riparazione per ingiusta detenzione. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore ventiquattro del giorno di scadenza.  Con successivo D.M. 18 luglio 2023 (G.U. serie generale n. 166 del 18 luglio 2023) è stato disposto che «L'efficacia del decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, nella parte in cui dispone che il deposito da parte dei difensori degli atti indicati nell'elenco di cui all'art. 1 dello stesso decreto avviene esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico, decorre dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Sino alla scadenza del termine di cui al periodo che precede, negli uffici indicati dal decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, è possibile, in via sperimentale, il deposito da parte dei difensori degli atti elencati nell'art. 1 del medesimo decreto anche mediante il portale del processo penale telematico con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia».

Procedimento

Il procedimento di cui all'art. 314 ha natura civil-processualistica ed è del tutto diverso dal processo penale da cui trae origine; pertanto non possono applicarsi ad esso, perché inconfigurabili, le situazioni di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento previste dall'art. 34 (Cass. IV, n. 113/1994: Cass. IV, n. 11475/2021: fattispecie in tema di partecipazione, alla prima udienza del procedimento, di un componente del collegio che aveva emesso l'ordinanza di custodia cautelare, poi sostituito con altro magistrato pur in difetto di previa dichiarazione di astensione ).

La domanda deve essere tempestivamente notificata al convenuto Ministro del tesoro (presso la competente Avvocatura distrettuale dello Stato), senza che possano ritenersi ammissibili sostitutivi, quali la notificazione del provvedimento presidenziale che fissa l'udienza in camera di consiglio. Tale atto, infatti, non consente al convenuto di prendere cognizione di tutti gli elementi della domanda e di predisporre idonea ed efficace difesa (Cass. IV, n. 1358/1993). L'omessa notificazione della domanda, a cura della cancelleria, al Ministero dell'economia e delle finanze presso la competente sede distrettuale dell'Avvocatura dello Stato non determina l'improcedibilità della richiesta, ma configura una nullità generale a regime intermedio a norma dell'art. 180, che è rilevabile anche di ufficio e deve essere eccepita prima della conclusione del procedimento in camera di consiglio, se la parte pubblica vi partecipi, ovvero per la prima volta mediante ricorso per cassazione, in caso di mancata partecipazione (Cass. S.U., n. 35760/2003; Cass. III, n. 19181/2018).

Inammissibilità della domanda

La disposizione di cui al comma 1, che prevede la sanzione di inammissibilità della domanda soltanto con riferimento alla mancata osservanza del termine per la sua proposizione, deve essere integrata, in virtù del rinvio operato dal comma 3 ed in assenza di motivi idonei ad escludere il rapporto di compatibilità, con il precetto di cui al comma 1 dell'art. 645 in tema di riparazione dell'errore giudiziario, che prevede la sanzione di inammissibilità della domanda, oltre che per l'intempestività, anche per la mancata osservanza delle forme e delle modalità di proposizione e presentazione ivi disciplinate (Cass. S.U., n. 14/1998). In applicazione di tale principio, si è ritenuto che la presentazione della domanda nella cancelleria di una Corte di appello diversa da quella che ha emesso il giudicato presupposto o nel cui distretto si trovi il giudice che tale sentenza ha pronunciato, determina l'inammissibilità della domanda, ai sensi dell'art. 645 richiamato dal comma 3 dell'art. 315 (Cass. IV, n. 2334/1998).

È inammissibile l'istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione proposta dal difensore al quale la parte non abbia conferito la necessaria procura speciale, con autonomo atto o con l'attribuzione del mandato difensivo; né, in tal caso, assume rilievo la presenza in udienza dell'interessato, trattandosi di una condotta materiale che non può supplire al difetto originario di legittimazione all'esercizio dell'azione (Cass. IV, n. 36619/2011).

L'inammissibilità della domanda di riparazione per ingiusta detenzione può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio, trattandosi di sanzione processuale espressamente disposta dall'art. 645, comma 1 (Cass. IV, n. 10485/2008).

Riproposizione della domanda

La declaratoria di inammissibilità per carenza di documentazione della domanda volta all'attribuzione di una somma di denaro a titolo di equa riparazione per l'ingiusta detenzione non comporta la consumazione dell'azione giudiziaria, sicché la domanda detta, qualora l'interessato non ritenga di impugnare il provvedimento dichiarativo della inammissibilità, può essere riproposta nel rispetto dei termini e nel permanere di ogni altra condizione della azione. Tuttavia, la riproposizione della domanda, senza ovviare alla ritenuta carenza, non può portare che ad una nuova declaratoria di inammissibilità (Cass. IV, n. 1401/1993).

L'accertamento dell'esistenza dei presupposti attinenti alla regolare costituzione del rapporto processuale può essere compiuto in ogni stato e grado del processo, quindi anche in sede di legittimità, ma esso incontra il limite della formazione sul punto della preclusione alla riproposizione della relativa questione (Cass. IV, n. 370/1998).

Rinuncia alla domanda

Alla rinuncia alla domanda sono applicabili estensivamente le disposizioni del codice di procedura penale in tema di rinuncia al ricorso e non quelle del codice di procedura civile in tema di rinuncia agli atti del giudizio, con la conseguenza che la rinuncia non deve essere accettata dal pubblico ministero per produrre l'estinzione del giudizio, e la revoca della stessa è priva di effetti (Cass. IV, n. 3889/2018).

Udienza

Sulla domanda di riparazione, la Corte di Appello decide in camera di consiglio osservando le norme previste dall'art. 127 come disposto dall'art. 646 richiamato dal comma 3 dell'art. 315.

È inammissibile in sede di legittimità l'istanza di trattazione in pubblica udienza dei ricorsi in materia di riparazione per l'ingiusta detenzione, per i quali è prevista la forma della camera di consiglio non partecipata, compatibile con il principio dettato dall'art. 6 CEDU (Cass. IV, n. 10547/2014).

Poteri del giudice

Si rinvia al § 8 sub art. 314

Causa petendi

Nel procedimento per l'attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l'ingiusta detenzione, vanno osservate, ove non diversamente disposto, le norme processual-civilistiche, trattandosi di procedura civile attinente interessi economici inserita, per ragioni di sedes materiae e di opportunità, nel codice di procedura penale. Pertanto, una volta fissati, tramite il ricorso, gli elementi individuanti l'azione esperita, non è consentito, né alla parte né al giudice d'ufficio, modificare la causa petendi, senza che il controinteressato sia stato posto in grado di interloquire al riguardo. Ne consegue che quando l'attore abbia posto a fondamento della domanda la fattispecie legale di cui al comma 1 dell'articolo 314, il giudice non può, a fronte delle eccezioni e rilievi mossi dal convenuto, accogliere la domanda sulla base di altra causa petendi. Una tale decisione comporta, seppur implicitamente, il riconoscimento della infondatezza della domanda, per carenza della causa petendi azionata, sicché, ove l'attore abbia fatto acquiescenza alla decisione, senza insorgere avverso l'implicito rigetto della domanda, quale originariamente individuata e sostenuta dalla controparte, va annullata senza rinvio (Cass. IV, n. 1414/1993).

Entità della riparazione

Poiché la fonte genetica del diritto alla riparazione di cui agli artt. 314 e 315 va ravvisato nella «ingiusta detenzione», la genesi e la regolamentazione di detto istituto deve essere individuato nelle norme processuali penali. Con la conseguenza che sono estranee, all'istituto in esame, le norme civilistiche che regolamentano il risarcimento dei danni da fatto illecito (art. 2043 c.c.). Infatti, la liquidazione dell'indennizzo, è affidata ai poteri equitativi e discrezionali dello stesso giudice penale che, tra i vari fattori, non potrà non tener conto pure dei comportamenti e delle particolari situazioni processuali in cui si è verificata la ingiusta detenzione (Cass. VI, n. 1755/1991).

Ai sensi del comma 2, l'entità della riparazione non può eccedere 516.456,90 euro.

La norma non stabilisce nulla in merito ai criteri che il giudice deve usare per quantificare la somma da erogare come indennizzo, pertanto, la giurisprudenza ha stabilito dei criteri, a volte anche contrastanti, basati su quanto previsto dall'art. 643, comma 1. Infatti, nel liquidare l'indennità il giudice è vincolato esclusivamente a non superare il tetto massimo normativamente stabilito, ma non è tenuto a ripartire proporzionalmente tale importo tra le tre voci di danno elencate dall'art. 643, né può fissare per le stesse un ulteriore limite individuato nella terza parte di quello massimo (Cass. IV, n. 40926/2008).

Secondo le Sezioni Unite, il giudice deve seguire il criterio aritmetico e il criterio equitativo tenendo conto che il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente, subisca la detenzione sia in linea di principio amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena. Ne consegue che, pur affermandosi «in linea di principio» che il diritto dell'innocente sia da valutare in maniera privilegiata rispetto al diritto del colpevole, tale soluzione non ha carattere assoluto; e spetta al giudice di merito considerare la peculiarità della specifica situazione, valutando nel merito la specificità del caso sottopostogli, e motivando in modo puntuale sulla entità della liquidazione dell'indennizzo, facendo buon uso dei poteri discrezionali a lui riservati (Cass. S.U., n.4187/2009; da ultimo: Cass. IV, n. 32891/2020).

La liquidazione dell'indennizzo previsto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione va disancorata da criteri o parametri rigidi e deve, al riguardo, procedersi con equità (anche perché la delicatezza della materia e le difficoltà per l'interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita ha indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l'adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario, sia pure entro i confini della ragionevolezza e della coerenza, ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto), valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà. A tal riguardo, dato di partenza della valutazione indennitaria è rappresentato dal parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315 comma 2 e il termine massimo della custodia cautelare di cui all'art. 303, comma 4, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita, dovendosi poi procedere alla liquidazione dell'indennizzo, entro il tetto massimo del quantum liquidabile, con apprezzamento di tutte le conseguenze pregiudizievoli che la durata della custodia cautelare ingiustamente subita ha determinato per l'interessato (Cass. IV, n. 30317/2005). E' stato precisato che, ai fini della liquidazione equitativa del relativo indennizzo, il periodo durante il quale l'imputato è sottoposto a misure coercitive diverse dalla custodia detentiva non può essere considerato tra le conseguenze afflittive "indirette" dell'ingiusta detenzione subita in quanto, in tali casi, manca "ab origine" il presupposto giuridico per l'esistenza stessa del diritto alla riparazione (Cass. III, n. 55787/2017).

Il giudice deve tenere conto anche delle sofferenze morali e psicologiche derivate dalla detenzione, in quanto tali sofferenze rientrano tra le «conseguenze personali e familiari» menzionate dall'art. 643, comma 1, da ritenersi richiamato, in quanto compatibile, dall'art. 315, comma 3 non rilevando che si tratti di norma di contenuto sostanziale, posto che il richiamo anzidetto è da intendere come riferito all'istituto della riparazione dell'errore giudiziario nel suo complesso, e non alle sole disposizioni procedimentali (Cass. I, n. 4928/1992).

La quantificazione della riparazione non può richiedere la necessaria prova, e neppure l'allegazione, di specifiche voci di danno (pur essendo queste da esaminare, ove siano adeguatamente rappresentate e sostenute), dovendosi in ogni caso dar luogo ad una pronuncia equitativa da valutare, anche sotto il profilo motivazionale, nella sua intrinseca ragionevolezza e non con criteri mutuabili dai principi civilistici attinenti all'onere della prova; onere che può ritenersi sussistente solo quando la parte interessata intenda far si che nella determinazione del quantum (sempre e comunque equitativa) si tenga conto di determinati, specifici fattori idonei ad incidere sul risultato dell'operazione (Cass. I, n. 4931/1992 .  Il giudice, nel liquidare l'indennità, fermo restando l'importo massimo stabilito dalla legge, può discostarsi dal parametro aritmetico ove la parte assolva all'onere di allegare l'esistenza di danni ulteriori rispetto alle normali conseguenze della privazione della libertà personale, la loro natura e i fattori che ne sono causa, e sia raggiunta la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di tali danni e del nesso causale con la detenzione (Cass. IV, n. 19809/2019; Cass. IV, n. 39973/2019: che ha ritenuto affetta da illogicità la motivazione del provvedimento che neghi la sussistenza in concreto di tali danni ulteriori, senza che il giudice abbia previamente invitato la parte a provvedere alla prova o al suo completamento).

Ai fini della liquidazione dell'indennizzo non possono porsi sullo stesso piano la custodia cautelare in carcere e la detenzione domiciliare per il carattere meno afflittivo di questa seconda misura (Cass. IV, n. 17664/2010). Pertanto, è stata ritenuta legittima la liquidazione dell'indennizzo dovuto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione subita agli arresti domiciliari in misura pari alla metà di quella spettante per un identico periodo di detenzione in carcere (Cass. IV, n. 34664/2010).

Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione é sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell'indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (Cass. IV, n. 26338/2007; Cass. IV, n. 14986/2009; Cass. n. 10690/2010; Cass. IV, n. 24225/2015 ; Cass. IV, n. 27474/2021). D'altro canto, il giudice, nel liquidare con criterio equitativo il "quantum" dell'indennizzo dovuto, non è tenuto ad una analitica motivazione in riferimento ad ogni specifica voce di danno, essendo sufficiente che egli dia conto dei profili pregiudizievoli apprezzati, e di tutte le circostanze che hanno condotto alla conclusiva determinazione equitativa dell'indennizzo, determinazione sindacabile sotto l'aspetto della motivazione solo sotto il profilo della intrinseca ragionevolezza del risultato cui è pervenuta. (Cass. IV, n. 27474/2021).

Voci di danno indennizzabili

Le ripercussioni psichiche derivanti da riparazione per ingiusta detenzione vanno autonomamente indennizzate solo ove diano luogo ad un danno alla salute ossia ad una lesione psichica permanente, diversamente restando ricomprese nella determinazione dell'indennizzo in base al calcolo aritmetico (Cass. III, n. 15665/2011).

La sindrome depressiva non costituisce circostanza particolare idonea di per sé ad incrementare l'indennizzo liquidato in base al solo criterio aritmetico, trattandosi di una ripercussione frequentemente presente in situazione di ingiusta detenzione (Cass. III, n. 13602/2008).

Il danno biologico non deve necessariamente essere liquidato mediante applicazione del criterio tabellare adottato dalla giurisprudenza civile, dovendosi ritenere che la natura non patrimoniale di questo tipo di danno consenta di ricorrere anche a criteri equitativi, purché essi non risultino illogici e conducano ad un risultato che non si discosti in modo irragionevole e immotivato dai menzionati parametri tabellari (Cass. IV, n. 36442/2013). Non configura un danno biologico, autonomamente valutabile rispetto a quello derivante dallo stato di illegittima privazione della libertà personale, né il danno conseguente alla presunta equiparazione del periodo di detenzione ad uno stato di invalidità temporanea di pari durata, né quello derivante dall'impossibilità del condannato di esprimere la propria sessualità durante il medesimo periodo (Cass. III, n. 40094/2010).

Vi è un contrasto giurisprudenziale sulla legittimità della riduzione dell'indennizzo in favore di un soggetto che sia pregiudicato. Secondo un orientamento, è legittima la riduzione, sulla somma giornaliera computata come frazione aritmetica di quella massima liquidabile per legge, dell'indennizzo dovuto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione a soggetto pregiudicato, data, per esso, la minore afflittività della privazione della libertà personale, riconducibile sia al minore discredito che l'evento comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa, sia al fatto che la sua dimestichezza con l'ambiente carcerario rende meno traumatica l'ingiusta privazione della libertà (Cass. IV, n. 23124/2008; Cass. IV, n. 34673/2010). Secondo un diverso orientamento, invece, è illegittima la decisione con cui il giudice riduce automaticamente l'importo da liquidarsi per l'ingiusta detenzione, determinato secondo il criterio aritmetico, per il solo fatto che il soggetto abbia già subito precedenti periodi di sottoposizione a regime carcerario, in quanto detta presunzione contrasta con il principio di eguaglianza e con i canoni della logica, alla stregua dei quali la sovrapposizione di un periodo di ingiusta detenzione a una precedente esperienza di restrizione giustificata può produrre effetti di massimizzazione della sofferenza per il più prolungato allontanamento della persona dal consesso sociale e per le sue maggiori difficoltà di reinserimento (Cass. II, n. 17404/2011; Cass. IV, n. 46772/2013; Cass. IV, n. 1219/2014; Cass. IV, n. 18604/2014; Cass. IV, n. 18551/2014; Cass. IV, n. 6742/2015; Cass. IV, n. 18364/2019). In talune di queste ultime decisioni è stato precisato che, in ogni caso, l'allontanamento in riduzione dai criteri liquidatori standard in ragione della constatazione dell'esistenza di precedenti condanne necessita di uno specifico riferimento alle esperienze detentive subite dall'istante e alla loro idoneità a determinare una rilevante compromissione dell'immagine sociale e/o una certa assuefazione all'ambiente carcerario tali da giustificare la presunzione di una minore afflittività della successiva ingiusta detenzione Quest'ultimo orientamento appare più condivisibile, in quanto si uniforma ai principi contenuti nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo che all'art. 5, paragrafo 5 prescrive che «ogni persona vittima di un arresto o di una detenzione, eseguiti in violazione alle disposizioni di questo articolo, ha diritto ad un indennizzo», dovendosi, altresì, considerare che il richiamo di precedente esperienza carceraria quale fattore di riduzione della misura del diritto alla riparazione introduce sia classi diverse di dolore per un medesimo fatto ingiusto e nocivo, sia anche un fattore di disuguaglianza tra cittadini che non appare conforme a fondamentali precetti costituzionali.

Motivazione della quantificazione

Poiché l'apprezzamento equitativo del giudice della riparazione in ordine alla determinazione del quantum debeatur non deve sconfinare nell'arbitrio, la pronuncia relativa non può fondarsi su proposizioni meramente enunciative, senza indicazione alcuna dei criteri e dell'iter logico seguiti per giungere a un dato risultato (Cass. II, n. 1371/1994). Peraltro, atteso il carattere necessariamente equitativo della quantificazione della riparazione per ingiusta detenzione, e la esclusione della natura propriamente risarcitoria di detta riparazione, la mancata specificazione, da parte del giudice di merito, di quanto attribuito al richiedente in relazione a ciascun tipo di pregiudizio da lui subito in conseguenza della privazione della libertà non può essere considerata, di per sé, come vizio di motivazione atto ad invalidare, sul punto, il provvedimento adottato da detto giudice (Cass. I, n. 217/1992); neppure il giudice deve necessariamente procedere ad una specificazione degli importi, che tengano dettagliatamente conto delle eventuali varie voci di danno, atteso che il legislatore ha costruito l'equa riparazione non come risarcimento del danno, ma come indennizzo, come atto dovuto di solidarietà nei confronti di chi è stato ingiustamente privato della libertà; di modo che, l'obbligo di motivare può ritenersi assolto tutte le volte che, si siano tenute presenti tutte le possibili circostanze idonee a fissare un equo indennizzo (Cass. IV, n. 2760/1997).

Interessi

Gli interessi al tasso legale sulla somma attribuita all'istante — non già moratori, bensì corrispettivi — vanno riconosciuti, se richiesti, dal passaggio in giudicato del provvedimento attributivo, atteso che solo da tale momento il credito — avente natura non risarcitoria — può ritenersi certo, liquido ed esigibile (Cass. IV, n. 14461/2006; Cass. IV, n. 1678/2008; Cass. III, n. 45706/2011).

E' necessario che l'interessato abbia proposto, nel corso del giudizio, la relativa domanda, in mancanza della quale la pronuncia di riconoscimento deve ritenersi emanata "ultra petita", in quanto resa in violazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c.., (Cass. IV, n. 1856/2016).

Spese processuali

La riparazione per l'ingiusta detenzione non presenta carattere risarcitorio, bensì solo restitutorio dei pregiudizi strettamente ed inscindibilmente collegati alla privazione della libertà personale, sicché il relativo ammontare non può essere determinato comprendendovi, come voce a sé stante, anche le spese di difesa sostenute nel giudizio di merito (Cass. IV, n.2192/2000; Cass. IV, n. 46267/2005; Cass. IV, n. 28082/2007). Pertanto, le spese legali sostenute durante le fasi del giudizio di cognizione conclusosi con l'assoluzione non possono trovare riconoscimento in sede di equa riparazione per ingiusta detenzione.

Decisione

Il provvedimento che riconosce il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione non è immediatamente esecutivo poiché, essendo prevista la possibilità di assegnare una provvisionale, ne è implicitamente esclusa l'immediata esecutività (Cass. IV, n. 1422/1994; Cass. IV, n. 34674/2010).

Nel riconoscere il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice, atteso il rinvio operato dall'art. 315, comma 3, alle disposizioni dettate per la riparazione dell'errore giudiziario che la contemplano, può liquidare in favore del richiedente una provvisionale a titolo alimentare, ma esclusivamente qualora accerti che il medesimo versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al suo mantenimento (Cass. IV, n. 30063/2008; Cass. IV, n.841/2018).

Condanna alle spese

La parte soccombente deve essere condannata, anche ex officio, al pagamento delle spese processuali, nel caso in cui, a seguito della costituzione del Ministero, sia stata rigettata la domanda di riparazione, salvo che lo stesso Ministero abbia chiesto la compensazione delle spese di giudizio. La Corte ha precisato che, nel caso in cui sia stata richiesta la compensazione delle spese, la statuizione di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese giudiziali risulta emessa oltre i limiti della domanda, in violazione del principio di correlazione tra chiesto e pronunciato (Cass. IV, n. 16867/2024).

Essendo il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione a contraddittorio necessario, ma non a carattere contenzioso necessario, nel caso in cui l'Amministrazione non si costituisca ovvero non si opponga alla richiesta del privato non può ritenersi soccombente e dunque non può essere pronunciata la sua condanna alla rifusione delle spese, nonché degli eventuali diritti e onorari di rappresentanza e difesa in favore della controparte, né il procedimento assume carattere contenzioso per l'eventuale opposizione del pubblico ministero poiché quest'ultimo è estraneo al rapporto civilistico tra istante e amministrazione del Tesoro, avendo il suo intervento natura identica a quella di cui all'art. 70 cod. proc. civ. (Cass. IV, 1808/2000;Cass. IV, n. 46777/2007; Cass. IV, n. 23929/2008 ; Cass. IV, n. 41307/2019). 

La liquidazione dell'indennizzo in misura inferiore a quella richiesta non integra un'ipotesi di accoglimento parziale della domanda e la conseguente soccombenza reciproca legittimante la compensazione delle spese di lite tra le parti (Cass. IV, n. 847/2022).

Ricorso per cassazione

 

Termine

Il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, avverso l'ordinanza che decide sulla domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione è, ai sensi dell'art. 585, comma 1, lett. a), di quindici giorni che decorrono dalla notifica della predetta ordinanza conclusiva del procedimento, al quale, ancorché concernente l'esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto colpito da custodia cautelare, si applicano le norme del codice di rito penale (Cass. III, n. 26370/2014).

Contenuto

Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello) non può trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiché una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l'art. 646, comma 3 stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall'art. 606, con tutte le limitazioni in essi previste (Cass. IV, n. 542/1994; Cass. IV, n. 17119/2021). Sui limiti del controllo del giudice di legittimità v. sopra § 6. 

Non sono proponibili in sede di giudizio di legittimità, da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze, le questioni dallo stesso non introdotte nel giudizio di merito, ivi compreso il giudizio di rinvio conseguente all'annullamento, addirittura perché non costituitosi in giudizio (Cass. III, n. 42996/2010). È stato, altresì, ribadito che, nel giudizio di riparazione per l'ingiusta detenzione, l'esistenza dei fatti estintivi o modificativi del diritto all'indennizzo deve essere valutata solo quando gli stessi fatti siano stati prospettati dalla parte interessata, con la conseguenza che l'amministrazione dello Stato, pur convenuta nello stesso giudizio, che si sia disinteressata del procedimento non può prospettare per la prima volta con il ricorso per cassazione le ragioni per le quali il giudice di merito avrebbe dovuto pervenire ad una decisione diversa da quella effettivamente assunta (Cass. IV, n. 11162/2015).

Neppure può essere contestata per la prima volta nel giudizio di cassazione la ritualità della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, in quanto, trattandosi di questione attinente alle formalità necessarie per la regolare instaurazione del contraddittorio, e non già di nullità ex artt. 177 ss. o di una delle specifiche cause di inammissibilità dell'impugnazione previste dallo stesso codice, su di essa, se non dedotta con l'impugnazione, si è formato, a seguito della pronuncia sul merito, il giudicato implicito sulle questioni di rito (Cass. IV, n. 1745/1998).

Difensore

Non è necessario il conferimento di procura speciale al difensore per la proposizione del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza della Corte d'appello che ha provveduto alla liquidazione dell'indennizzo, essendo sufficiente che il predetto difensore sia iscritto nell'albo speciale di cui all'art. 613, visto che l'art. 127, cui fa rinvio l'art. 646 stesso codice, non esige che il difensore — purché iscritto nell'albo speciale della Cassazione — sia munito, per ricorrere, di procura speciale (Cass. IV, n. 2936/1997; Cass. IV, n. 29959/2007; Cass. IV, n. 34652/2010; Cass. IV, n. 5926/2019).

L'interessato, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, può avere un solo difensore, sicché, in caso di presentazione di più ricorsi sottoscritti da distinti difensori, deve tenersi conto di quello presentato dal difensore nominato per primo e, in caso di nomine in pari data, della priorità nella presentazione del ricorso (Cass. IV, n. 3620/2009; Cass. IV, n. 26318/2015).

Pubblico Ministero e Procuratore generale

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 315, comma 3, e 646, comma 3, deve ritenersi esteso anche al pubblico ministero il potere di ricorrere per cassazione avverso l'ordinanza della Corte di appello che decide sulla domanda di riparazione per ingiusta detenzione, anche solo per contestare la quantificazione della somma stabilita a titolo di indennizzo, in quanto nessuna espressa limitazione è prevista al suo potere di impugnazione (Cass. IV, n. 1562/1994; Cass. IV, n. 2050/2004).

Il procuratore generale presso la corte di appello che lamenti la non corretta interpretazione ed applicazione dell'art. 314 è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento con cui il giudice decide sull'istanza di riparazione (Cass. IV, n. 5813/2021).

Errore materiale o di fatto

In caso d'omessa pronuncia della Corte di Cassazione su un ricorso in materia di riparazione per ingiusta detenzione, non è esperibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in quanto esso è previsto esclusivamente a favore del condannato. In tal caso, peraltro, è attivabile la procedura di cui all'art. 130 (Cass. III, n. 1265/2009).

Bibliografia

AA.VV., La carcerazione preventiva, Milano; Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006 2012; Dalia, La riparazione per l'ingiusta detenzione, in Dalia-Troisi, Risarcimento del danno da processo, Torino, 2007; Grevi, Misure cautelari, in Conso-Grevi, Compendio di procedura penale, Torino, 2010; Scarcella, Codice di procedura penale, a cura di Canzio-Tranchina, Milano, 2012; Troisi, L'errore giudiziario tra garanzie costituzionali e sistema processuale, Torino, 2011; Turco, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, Milano, 2007; Vancheri, in Codice di procedura penale, a cura di Tranchina, Milano, 2008, 2350; Zanetti, La riparazione dell'ingiusta custodia cautelare. Aspetti sistematici e questioni applicative, Torino, 2002; Zappalà, Le misure cautelari, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, Diritto processuale penale, I, Milano, 2011

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