Codice di Procedura Penale art. 384 - Fermo di indiziato di delitto 1 .

Sergio Beltrani

Fermo di indiziato di delitto 1.

1. Anche fuori dei casi di flagranza [382; 230 coord.], quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato, fanno ritenere fondato il pericolo di fuga [274 1b], il pubblico ministero dispone il fermo [6 reg.] della persona gravemente indiziata [273] di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni [379] ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi [17 min.; 250 trans.] o di un delitto commesso per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico 2.

2. Nei casi previsti dal comma 1 e prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini [327, 348], gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria [57] procedono al fermo di propria iniziativa [13 Cost.; 55].

3. La polizia giudiziaria procede inoltre al fermo di propria iniziativa qualora sia successivamente individuato l'indiziato ovvero sopravvengano specifici elementi [348 3], quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga  e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero [307 4]3.

 

[1] Per un'ipotesi di fermo di indiziato di delitto consentito anche al di fuori dei limiti di cui al presente articolo, nei confronti dei soggetti cui sono applicabili misure di prevenzione personali, v. art. 77 d.ls. 6 settembre 2011, n. 159. Per la possibilità concessa agli ufficiali di polizia giudiziaria di omettere o ritardare gli atti di propria competenza e per il potere del pubblico ministero di ritardare l'esecuzione del fermo dell'indiziato di delitto, v. art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146.

[2] Comma dapprima modificato dall'art. 11 l. 26 marzo 2001, n. 128 e successivamente dall'art. 13 3a) d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv., con modif., in l. 31 luglio 2005, n. 155, che ha aggiunto le parole da «o di un delitto commesso» alla fine del comma. Per il potere del pubblico ministero di ritardare l'esecuzione o disporre che sia ritardata l'esecuzione del fermo di indiziato di delitto quando sia necessario in relazione alle indagini in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, v. gli artt. 7 d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv., con modif., nella l. 15 marzo 1991, n. 82.

[3] Le parole da «specifici elementi» a «fuga» sono state sostituite alle parole «specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga» dall'13 3b) d.l. n. 144, cit.

Inquadramento

L'art. 384 disciplina, in attuazione della direttiva 32 della legge-delega del 1987, il fermo di indiziato di delitto.

Nell'attuale assetto normativo, il fermo è una misura endoprocessuale limitativa della libertà personale, che può essere adottata quando, trascorsa inutilmente la flagranza, siano emgersi gravi motivi a carico dell'indagato e sussista concreto pericolo di fuga.

I due suddetti presupposti – di natura sostanziale, il primo, e cautelare il secondo – costituiscono il referente accertativo e valutativo, sul quale, fra l'altro, deve vertere il controllo di legalità dell'operato del P.M. o della polizia giudiziaria da parte del G.I.P. in sede di convalida; più precisamente, il riscontro che tale giudizio è chiamato ad effettuare deve riguardare non solo la legittimità sostanziale delle misure negli aspetti relativi all'edittalità della pena stabilita per il reato, in ordine al quale il fermo è stato eseguito e all'osservanza dei termini stabiliti dagli artt. 386, commi 3 e 4, e 390, comma 1, c.p.p., ma anche la sua legittimità formale con riferimento alla ricorrenza del pericolo di fuga e alla sussistenza di indizi atti a giustificarla (Cass. I, n. 1090/1992).

La Corte costituzionale (n. 109/1999) ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2,3,13,24 e 76 Cost. (in relazione all'art. 2 punto 100 l. 16 febbraio 1987 n. 81, recante delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale):

– l'art. 314, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziati di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare;

– l'art. 314, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che lo stesso diritto, nei medesimi limiti, spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida.

Il fermo previsto dall'art. 384 va distinto:

– dal fermo previsto dall'art. 307, comma 4, dell'indagato/imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare disposta ai sensi dell'art. 307, comma 1, o nell'ipotesi prevista dal comma 2, lett. b), stessa disposizione, stia per darsi alla fuga;

– dal fermo previsto dall'art. 349, comma 4, c.p.p. per procedere all'identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini o delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti oggetto d'indagine.

I soggetti legittimati a disporre il fermo

Legittimati a disporre il fermo sono sia il pubblico ministero che la polizia giudiziaria, quest'ultima unicamente prima che il P.M. abbia assunto la direzione delle indagini (comma 2), oppure nell'ipotesi in cui sopravvengano emergenze che legittimano l'emissione della misura precautelare de qua (comma 3): potrà, in particolare, trattarsi della successiva individuazione dell'indiziato, o della sopravvenienza di specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato stia per darsi alla fuga e non sia possibile, per ragioni di urgenza, attendere il provvedimento del P.M. (così la Relazione al Progetto preliminare del c.p.p., 214).

Il P.M. provvederà con decreto motivato (o con motivata richiesta di convalida del fermo eseguito di propria iniziativa dalla P.G.), forma peraltro espressamente prevista dall'art. 121 disp. att. c.p.p. per il provvedimento di liberazione del fermato nei cui confronti non si ritenga di dover chiedere l'applicazione di misure coercitive; anche in questi casi, il provvedimento dovrà, comunque, essere convalidato.

Il potere di fermo è validamente esercitato dal pubblico ministero, ricorrendo i presupposti dei gravi indizi e del pericolo di fuga, anche se la fase delle indagini preliminari è già conclusa, sicché il giudice per le indagini preliminari, richiesto della convalida del fermo, è comunque tenuto a prendere in esame la contestuale richiesta di applicazione di misura cautelare (Cass. II, n. 1331/2007).

Secondo la giurisprudenza (Cass. I, n. 26693/2013), è legittimo il fermo emesso dal pubblico ministero a seguito di sentenza di condanna di primo grado in presenza del pericolo di fuga, non ostando a tale provvedimento le previsioni di cui al secondo comma dell'art. 384 ed al quarto comma dell'art. 307 c.p.p., che si riferiscono soltanto al fermo della polizia giudiziaria.

Nei casi consentiti, la polizia giudiziaria dovrà redigere, ai sensi degli artt. 386, comma 3, e 357, comma 2, lett. f), rituale processo verbale dell'avvenuto fermo.

Secondo la giurisprudenza, il fermo eseguito dalla p.g. di propria iniziativa dopo che il pubblico ministero ha assunto la direzione delle indagini, e quindi in contrasto con l'art. 384, comma 2, e senza che peraltro ricorrano le condizioni previste dal successivo comma della stessa norma, deve considerarsi come avvenuto fuori dei casi previsti dalla legge ed è dunque insuscettibile di convalida (Cass. V, n. 1052/1992).

I presupposti oggettivi

L'emissione del provvedimento di fermo presuppone:

– la sussistenza di gravi indizi di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni (determinata a norma degli artt. 379 e 278), ovvero di uno dei delitti nominativamente indicati dal comma 1;

– il fondato pericolo di fuga dell'indiziato, desunto anche in relazione all'impossibilità di identificarlo.

Il fermo non è , quindi, mai consentito per le contravvenzioni.

I gravi indizi di determinati delitti

Quanto all'individuazione dei ”gravi delitti” cui la direttiva 32 collega il potere-dovere di fermo, la Relazione al Progetto preliminare del c.p.p. (214) precisa che «l'indicazione tassativa dei casi eccezionali cui fa riferimento l'art. 13 Cost. deve ritenersi adempiuta anche attraverso l'utilizzazione del criterio relativo alle pene minime e/o massime (qui individuate in quelle dell'ergastolo e della reclusione “non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni”) irrogabili per il reato».

Accanto al parametro fondato sull'entità della pena edittale astratta prevista per i singoli reati, è stata, inoltre, prevista l'ammissibilità del fermo anche per i delitti concernenti le armi da guerra e gli esplosivi e per i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico.

Pur nel silenzio dell'art. 384, e stante l'autonomia del delitto tentato, pur sempre costituente “delitto”, deve ritenersi certamente consentito il fermo per i delitti tentati puniti con una pena (determinata operando la riduzione massima ex art. 56 c.p., pari a due terzi, sulla pena edittale minima prevista per l'ipotesi consumata, e la riduzione minima, pari ad un terzo, sulla pena edittale massima prevista per l'ipotesi consumata) ricompresa nell'anzidetta cornice sanzionatoria, ovvero per il tentativo (se configurabile) dei delitti nominativamente indicati dal comma 1.

Il decreto di fermo, per analogia con quanto previsto per le ordinanze che dispongono una misura cautelare, può limitarsi a contenere una “descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate”, non essendo necessaria, in difetto di una espressa previsione di legge in proposito, la redazione di un formale capo d'imputazione.

Il potere di fermo di indiziato di delitto può essere esercitato sulla base di indizi che devono rivestire quella stessa connotazione di gravità richiesta dall'art. 273 c.p.p. per l'applicazione di misure di coercizione personale. È, quindi, scomparsa ogni distinzione, sul piano della dimensione qualitativa, tra indizi che legittimano il fermo ad opera della polizia giudiziaria o del P.M. nel corso delle indagini preliminari e quelli che autorizzano l'adozione di un provvedimento limitativo della libertà da parte dell'autorità giudiziaria, stabilendosi un parametro di qualificazione uniforme.

Il G.I.P., deve, pertanto, attenersi al criterio della gravità degli indizi nella decisione, sia pure sommaria, sulla rilevanza e consistenza oggettiva degli elementi a sua disposizione, i quali non debbano consistere in fatti che, dotati di decisività, univocità e logica concordante, forniscano lo stesso grado di certezza probatoria richiesto per la formulazione di un giudizio di responsabilità, essendo sufficiente che le deduzioni desumibili dal loro coordinamento conducono ad una ragionevole conclusione di probabilità circa l'esistenza del reato oggetto della contestazione e della sua attribuibilità all'indagato (Cass. I, n. 1090/1992).

Il fermo dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione

Anche il fermo di indiziato di delitto previsto nei casi di cui all'art. 77 D. Lgs. n. 159 del 2011 richiede quali presupposti i medesimi necessari per il  fermo ex art. 384, e cioè i gravi indizi di colpevolezza ed il pericolo di fuga (Cass. VI, n. 1746/2013).

Secondo la giurisprudenza, infatti, la previsione di cui all'art. 77 D. Lgs. n. 159 del 2011, che ha ampliato le ipotesi per procedere a fermo di indiziato di delitto al di fuori dei limiti di pena stabiliti dall'art. 384, non ha introdotto alcuna innovazione rispetto alla disciplina generale riguardante le condizioni necessarie per l'adozione delle misure cautelari a seguito del provvedimento di convalida (Cass. II, n. 2487/2017: fattispecie nella quale la S.C. ha confermato l'ordinanza che aveva rigettato la richiesta di applicazione di una misura coercitiva nei confronti di soggetto sottoposto a fermo di polizia, ai sensi dell'art. 77 D.Lgs. n. 159/2011, rilevando l'insussistenza dei presupposti codicistici riferiti ai limiti di pena, di cui agli artt. 274, comma 1, lett. c), e 280 c.p.p.).

Il “fondato pericolo di fuga” dell’indiziato

L'ulteriore presupposto che legittima l'emissione del fermo è stato svincolato dal riferimento a speciali esigenze di tutela della collettività, e viene individuato in base ad un parametro desunto dalla disposizioni in tema di misure cautelari, ed, in particolare, dall'art. 274, comma 1, lett. b) c.p.p., che descrive l'esigenza cautelare connessa alla fuga ed al suo concreto pericolo: «al fine di esplicitare il concetto di “fondato pericolo di fuga” di cui alla direttiva 32, si è previsto che esso deve essere desunto da “specifici elementi”» (Relazione al Progetto preliminare del c.p.p., 215).

La fondatezza del pericolo di fuga va verificata con valutazione ex ante, desumendo da elementi concreti la rilevante probabilità che l'indagato si potesse dare alla fuga (Cass. II, n. 52009/2016: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto legittimo il fermo di indiziato del delitto di tentata rapina aggravata, risultato irreperibile dopo le ricerche immediatamente svolte dalla polizia giudiziaria, considerando irrilevante la sua successiva costituzione in carcere, in quanto intervenuta dopo la concretizzazione del pericolo di fuga); il pericolo di fuga non può essere presunto sulla base del titolo di reato in ordine al quale si indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, ossia dotati di capacità di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete specificamente riferibili al fermato (Cass. II, n. 26605/2019: fattispecie di annullamento senza rinvio del provvedimento di convalida per difetto dei presupposti di legge, avendo il giudice richiamato a tal fine il contegno mantenuto dal solo coindagato, senza individuare alcun elemento specifico riferito al comportamento del ricorrente).

Il ”pericolo di fuga” atto a giustificare il fermo dell'indiziato di un delitto non può dirsi superato in conseguenza della sopravvenuta effettività della fuga, e sussiste anche quando l'indiziato si sia immediatamente allontanato dal luogo del fatto e sia rimasto momentaneamente irreperibile, giacché per condizione di chi si sia “dato alla fuga” (equiparata dall'art. 274, comma 1, lett. b), c.p.p., ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare ivi prevista, a quella costituita dal “pericolo di fuga”, mentre una tale equiparazione non si rinviene nell'art. 384, comma 1), deve intendersi solo quella nella quale il soggetto abbia già realizzato lo scopo di sottrarsi, in modo per lui sufficientemente sicuro, alle ricerche della giustizia (Cass. I, n. 780/1998: in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la convalida del fermo disposto, sulla base della ritenuta permanenza del “pericolo di fuga”, nei confronti di un soggetto il quale, in quello stesso giorno, subito dopo aver commesso un omicidio, si era allontanato ed era risultato irreperibile alle immediate ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria; conforme, Cass. II, n. 48367/2011: fattispecie nella quale la predetta condizione è stata ritenuta sussistente in un caso nel quale l'indagato si era allontanato dal luogo ove viveva con la compagna, venendo ritrovato soltanto a seguito di indagini non semplici).

Il pericolo di fuga non é ravvisabile nel temporaneo allontanamento dal luogo del delitto, dovendosi, invece, fondare la relativa valutazione su elementi specifici, dotati di capacità di personalizzazione e desumibili da circostanze concrete (Cass. I, n. 5244/2006: fattispecie in cui è stato annullata senza rinvio l'ordinanza di convalida di fermo adottata dal G.i.p., che aveva motivato il pericolo di fuga sulla base della circostanza che l'indagato, cittadino straniero, residente in Italia da anni e titolare di permesso di soggiorno, non aveva fatto rientro nella sua abitazione la notte successiva al fatto, omettendo di valutare la circostanza, documentata in una relazione di servizio della polizia giudiziaria, che l'indagato, avvertito da un familiare delle ricerche disposte nei suoi confronti, era immediatamente rientrato a casa per mettersi a disposizione delle forze dell'ordine), e non può essere desunto dalla possibilità che l'indagato sia destinatario di un provvedimento di trasferimento da parte dell'autorità amministrativa straniera dalla quale questi dipende, atteso che sullo stesso l'interessato non ha la possibilità di incidere, a meno che non si ritenga che tale provvedimento possa essere emanato al fine specifico di determinare le condizioni della fuga (Cass. I, n. 20969/2004: fattispecie nella quale è stato rigettato il ricorso proposto dal P.M. avverso l'ordinanza che non aveva convalidato il fermo di un militare statunitense, disattendendo la tesi del ricorrente per la quale, dipendendo la permanenza dell'indagato sul territorio nazionale dall'autorità militare straniera senza possibilità di controllo ed intervento da parte di quella nazionale, ciò corrispondeva al pericolo di fuga previsto dal codice di rito).

Una volta che si siano realizzati i presupposti stabiliti dall'art. 384, comma 1, il fermo non può essere precluso dall'istanza di audizione o dalla presentazione dell'indagato (Cass. I, n. 5651/1994).

Il fermo emesso dopo la formale rimessione in libertà dell’indagato per inefficacia della misura precautelare o cautelare

In presenza dei presupposti previsti dall'art. 384, è legittimo il provvedimento di fermo di indiziato di delitto disposto dal P.M. nei confronti di persona appena rimessa formalmente in libertà in relazione ad un titolo precautelare non convalidato, oppure ad un titolo di custodia cautelare dichiarato inefficace per omesso interrogatorio di garanzia; in tal caso, il giudice, cui unitamente alla convalida del fermo sia stata chiesta anche l'emissione di nuova misura cautelare, procede all'interrogatorio di garanzia dell'indagato in stato di detenzione, non trovando in tale ipotesi applicazione l'obbligo di svolgere l'interrogatorio in stato di libertà, previsto dall'art. 302 c.p.p., che attiene a diversa sequenza procedimentale (Cass. I, n. 19733/2013; Cass. V, n. 1840/2017).

Si è, in passato, discusso in ordine alla possibilità di emettere il nuovo decreto di fermo nei confronti di indagato che non abbia ancora riacquistato la libertà a seguito dell'annullamento del primo titolo precautelare o cautelare: superate le iniziali incertezze, è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, in presenza dei presupposti previsti dall'art. 384, comma 1, il P.M. può disporre il fermo anche nei confronti di persona detenuta per un precedente titolo di custodia cautelare, che debba essere rimessa in libertà per ragioni esclusivamente formali (Cass. VI, n. 21513/2008; Cass. III, n. 28471/2014).

Il fermo di soggetto sottoposto ad arresto per fini estradizionali

Il decreto di fermo può essere emesso, ove ne ricorrano i presupposti, anche nei confronti di persona sottoposta all'arresto per fini estradizionali, ai sensi dell'art. 716 c.p.p., poiché quest'ultima misura non esclude il pericolo di fuga, data la provvisorietà del titolo custodiale, con la possibilità che il soggetto venga scarcerato ad horas (Cass. I, n. 765/1996).

Il differimento dei colloqui del fermato

L'esercizio del diritto dell'indagato sottoposto a fermo di conferire con il difensore può essere oggetto di differimento da parte del P.M., ai sensi dell'art. 104, comma 4, c.p.p., fino al momento in cui il fermato non è posto a disposizione del giudice e può essere esercitato in qualsiasi tempo compreso tra il momento del fermo e quello della messa a disposizione del g.i.p. del fermato (Cass. I, n. 23681/2004).

Il fermo di minorenni

La giurisprudenza (Cass. I, n. 5596/1993) aveva inizialmente ritenuto che la condizione del pericolo di fuga, richiesta in via generale dall'art. 384, deve sussistere anche quando si tratti di minori, nulla rilevando che di essa non si faccia specifica menzione nell'art. 17 del d.P.R. n. 448/l 1988, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.

La Corte costituzionale (n. 359/2000) ha successivamente dichiarato costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l'art. 76 della Costituzione – l'art. 23, comma 2, lettera b), d.P.R. n. 448/1 1988, come sostituito dall'art. 42 d. lgs. n. 12 del 1991, in quanto tale disposizione ha violato i criteri della delega legislativa [desumibili, in particolare, dall'art. 3, comma 1, lettera h), l. n. 81/1987], nella parte in cui consente il ricorso alla custodia in carcere per i minori – e omologando, in tal modo, la disciplina dettata per gli imputati minorenni a quella prevista per gli indagati adulti (art. 274 c.p.p.) – in caso di pericolo di fuga, ovvero in un'ipotesi nella quale la delega non prevedeva la misura restrittiva. Ma tale ultimo dictum riguarda la sola custodia in carcere, ed è, pertanto, a nostro avviso, insuscettibile di produrre effetti sulla disciplina del fermo (art. 17 d.P.R. n. 448/1988).

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La traduzione del provvedimento di fermo

La giurisprudenza ha ritenuto che, in caso di impugnazione ritualmente proposta dal difensore di fiducia di un imputato alloglotto, avente ad oggetto un provvedimento di cui è stata omessa la traduzione, può configurarsi una lesione del diritto di difesa, correlata all'attivazione personale dell'impugnazione da parte dell'imputato, solo qualora quest'ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione (Cass. VI, n. 25276/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato non consentito il motivo di ricorso relativo all'omessa traduzione del provvedimento di fermo del ricorrente, rilevando l'aspecificità della censura, valutata alla luce sia delle modalità di svolgimento dell'udienza di convalida in cui il ricorrente, assistito da un interprete, era stato reso edotto dei fatti contestati e degli elementi di accusa suo carico, sia della successiva traduzione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare emessa dal G.i.p.).

Le sorti del provvedimento di fermo non eseguito

La mancata esecuzione del fermo disposto dal pubblico ministero per essersi l'indiziato dato alla fuga comporta la immediata e definitiva caducazione del relativo decreto, essendo venuta a mancare in ordine ad esso la condizione tipica (ossia il pericolo di fuga) richiesta dalla legge per la sua adozione; ne consegue che il decreto di fermo rimasto ineseguito si sottrae sia alla procedura di convalida che a qualsiasi forma di impugnazione (Cass. S.U., n. 9/1993 : la S.C. ha altresì evidenziato che nell'ipotesi in questione il pubblico ministero potrà sempre richiedere al giudice, a salvaguardia delle più pressanti esigenze del processo, l'adozione di una misura coercitiva ai sensi dell'art. 274 c.p.p., che alla lett. b) del comma primo considera, tra le esigenze cautelari, proprio la circostanza che l'imputato si sia dato alla fuga).

Bibliografia

V. sub art. 381.

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