Codice di Procedura Penale art. 437 - Ricorso per cassazione.Ricorso per cassazione. 1. Contro l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di revoca [435] il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione [606] solamente per i motivi indicati all'articolo 606, comma 1, lettere b), d) ed e)1.
[1] Comma così modificato dall'art. 6 1 l. 26 marzo 2001, n. 128. InquadramentoL'art. 437 segna i limiti di impugnazione dell'ordinanza di inammissibilità o di rigetto della richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere. La norma testimonia la scelta legislativa di consolidare l'efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere, collocandosi in perfetta aderenza con quella esigenza di garanzie per il prosciolto che sta a fondamento dell'intero procedimento di revoca. L'impugnazione dell'ordinanza conclusiva del procedimento di revocaLa scelta del legislatore L'ordinanza emessa dal G.i.p. a seguito del procedimento di revoca potrà essere assoggettata ad impugnazione mediante ricorso per cassazione nei soli casi in cui la richiesta venga dichiarata inammissibile ovvero venga rigettata. Non impugnabile per il P.m., per evidente carenza di interesse, è l'ordinanza di accoglimento della propria richiesta. Tale epilogo è conforme a quanto già affermato dalla S.C. ( Cass. I, n. 32348/2008 ), che ha precisato che, alla luce della ricostruzione degli istituti, offerta ripetutamente dalle Sezioni Unite, appare corretta l'interpretazione per cui la ricorribilità del provvedimento, che nega la riapertura delle indagini, è in linea con il "sistema", poiché chiude definitivamente il procedimento e non consente, quindi, altro rimedio, neppure successivo, mentre il provvedimento che dispone la revoca determina l'avvio del nuovo procedimento e la possibilità di esperire tutti i rimedi, anche concernenti incidentalmente il provvedimento che ha disposto la riapertura, nel successivo corso del procedimento. Giova sottolineare che tale differenziazione di posizioni tra imputato e parte pubblica non è scalfita dalla considerazione che anche il P.m. avrebbe la possibilità di reagire alla mancata revoca della sentenza di non luogo a procedere, proponendo una nuova istanza: ciò in quanto quest'ultima istanza della parte pubblica postula l'emersione di nuovi elementi, mentre sulla base dello stesso quadro, valorizzato per la richiesta di revoca già respinta, non è consentito proporre un'altra istanza di revoca. Il che rende evidente che il P.m. non ha possibilità di reagire al provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'istanza di revoca. La mancata previsione legislativa del ricorso immediato contro il provvedimento di riapertura delle indagini ha, quindi, una sua ratio che lo giustifica, anche alla stregua della ragionevole durata del processo, che non può essere esposto a continui ricorsi per cassazione relativi ai numerosi procedimenti incidentali che si innestano nel processo principale, tranne il caso in cui riguardino la libertà personale. Si è sostenuto che il provvedimento che decide sulla richiesta di revoca sotto nessun profilo può essere equiparato ad una sentenza o a un provvedimento che incide sulla libertà personale. La disciplina prevista dal codice risponde ad un ragionevole impianto logico, scelto dal legislatore del 1989, e non confligge con il principio costituzionale della impugnabilità delle sentenze e dei provvedimenti de libertate, previsto dal capoverso dell'art. 111 Cost., né con i principi di uguaglianza e inviolabilità del diritto di difesa (Cass. VI, n. 44590/2023). L'estensione dei poteri ad impugnare, peraltro, dopo l'innovazione introdotta dall'art. 6, comma 1, l. n. 128/2001, che ha novellato il testo dell'art. 437, risulta ulteriormente ristretta, limitandosi anche le ipotesi di ricorribilità avverso l'ordinanza di inammissibilità e di rigetto, ai soli motivi indicati nell'art. 606, comma 1, lett. b), d) ed e). Detto intervento non è rimasto esente da critiche non comprendendosi l'esclusione dal novero dei motivi di ricorso di quello indicato alla lett. c) dell'art. 606. Gli effetti La disciplina garantisce maggiore stabilità alla condizione processuale di un soggetto prosciolto con una sentenza di non luogo a procedere emessa all'esito di una fase a forte valenza cognitiva quale va considerata l'udienza preliminare. I soggetti legittimatiLa legittimazione all'impugnazione nei casi previsti dalla norma spetta al solo P.m. Nessuno spazio viene riservato all'imputato o alla persona offesa, totalmente esclusi dalla possibilità di far valere, mediante impugnazione, i vizi dell'ordinanza conclusiva del procedimento di revoca. Restano comunque salve le possibilità per l'imputato di impugnare il provvedimento di revoca per i vizi riguardanti esclusivamente la corretta formazione del contraddittorio. La pronuncia di legittimitàIl giudice di legittimità, adito su ricorso del P.m., potrà riesaminare, sia i profili marcatamente formali della richiesta di revoca, sia questioni attinenti al merito: ipotesi quest’ultima conseguente alla riscontrata e, prima ancora, denunciata, presenza di una motivazione affetta da vizi logico-giuridici riguardanti l’aspetto della novità delle fonti di prova e della loro idoneità a determinare il rinvio a giudizio. Nel caso di accoglimento del ricorso, la S.C. disporrà la trasmissione degli atti al giudice che ha adottato il provvedimento, il quale non potrà che uniformarsi ai principi fissati con la sentenza di annullamento; l’eventuale rigetto del ricorso, invece, non precluderà al P.m. la possibilità di riproporre una nuova richiesta di revoca, fondata, ovviamente, su nuovi o diversi elementi. BibliografiaCalamandrei, La novità della prova come presupposto per revocare la sentenza di non luogo a procedere, in Dir. pen. e proc. 1998, 356; Dani, Revoca della sentenza di non luogo a procedere, in Dig. d. pen., XII, Torino, 1997; Daniele, Profili sistematici della sentenza di non luogo a procedere, Torino, 2005; Kostoris, Revoca della sentenza di non luogo a procedere, in Enc. dir., XL, Milano, 1989; Peroni, I nuovi epiloghi dell'udienza preliminare, in Studium iuris, 2000, 1209. |