Codice di Procedura Penale art. 506 - Poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private.

Alessandro Trinci

Poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private.

1. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte a norma degli articoli 511, 512 e 513, può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame [509].

2. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell'articolo 210 ed alle parti già esaminate, solo dopo l'esame e il controesame. Resta salvo il diritto delle parti di concludere l'esame, secondo l'ordine indicato negli articoli 498, commi 1 e 2, e 503, comma 2 (1).

(1) Comma così sostituito dall'art. 41 l. 16 dicembre 1999, n. 479.

Inquadramento

Con un evidente temperamento al sistema accusatorio, la norma in esame riconosce al giudice poteri di integrazione probatoria, che tuttavia non sostituiscono ma si aggiungono ai corrispondenti poteri assegnati alle parti.

Infatti, il presidente, anche a seguito di sollecitazione di altro giudice del collegio, può ampliare il thema probandum, indicando alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili alla completezza dell'esame, ma solo dopo l'esaurimento delle prove richieste dalle parti.

Inoltre, il presidente, anche su sollecitazione di altro componente del collegio, può rivolgere domande al soggetto esaminato, ma solo dopo che questi sia stato già escusso e salvo il diritto delle parti di concludere l'esame.

Aspetti generali

Per evitare che l'inerzia delle parti si traduca in una incompletezza dell'istruzione probatoria, il legislatore ha attribuito al giudice dei poteri istruttori esercitabili d'ufficio (artt. 506 e 507).

A differenza dell'art. 507, dove il potere del giudice mira all'introduzione di prove nuove, la norma in esame attribuisce al giudice un potere di supplenza che si sostanzia in una possibile integrazione delle prove introdotte nel processo dalle parti, attraverso l'indicazione di temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame (comma 1) oppure attraverso la proposizione di domande al dichiarante già esaminato dalle parti (comma 2).

La rubrica della norma (« poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private ») e il riferimento alla « completezza dell'esame » inducono ad escludere che il presidente possa sollecitare le parti ad esperire mezzi probatori non precedentemente dedotti.

Del resto, la norma fa espresso riferimento a « temi di prova nuovi o più ampi », senza menzionare nuovi mezzi istruttori. Pertanto, questi temi di prova, nuovi o più ampi, devono essere coordinati con l'oggetto dell'imputazione, avendo come punto di riferimento oggettivo le indicazioni fornite nella predisposizione della lista testimoniale (Siracusano, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, 362).

In sostanza, l'art. 506 consente al presidente di introdurre non mezzi di prova, ma temi di prova, ossia fatti e circostanze rilevanti per la decisione (Trib. Roma 31 gennaio 2005).

La titolarità del potere istruttorio spetta al presidente, ma la norma consente agli altri componenti del collegio di sollecitarne l'esercizio.

La sollecitazione presidenziale non è vincolante per le parti, che restano comunque libere di decidere se e con quali modalità dare seguito alle indicazioni fornite dal giudice. L'inerzia delle parti può, al più, indurre il giudice a disporre l'assunzione d'ufficio di nuovi mezzi di prova ai sensi dell'art. 507.

Ampliamento del thema probandum

La prima forma di intervento giudiziale suppletivo consiste nell'indicazione alle parti di temi di prova nuovi o più ampi.

Mentre il tema più ampio si colloca nell'alveo delle indicazioni contenute nella lista dei testimoni presentata ex art. 468 o comunque valutate dal giudice in fase di ammissione della prova ex artt. 493 e 495, il tema nuovo va oltre quanto dedotto in lista ed ammesso dal giudice (De Caro, 396).

Sebbene la norma in esame non indichi i tempi di intervento del giudice, si ritiene che il presidente debba attendere l'esaurimento delle prove orali e delle eventuali letture per poter valutare la necessità di un completamento istruttorio (Avanzini, 63).

Del resto, l'art. 506, comma 1, consente di ampliare il thema probandum solo laddove ciò si riveli utile alla completezza dell'esame, in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento ad iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte a norma degli artt. 511, 512 e 513.

In sostanza, occorre che le prove richieste dalle parti siano state ammesse ed assunte per poter valutare l'esigenza di completezza dell'esame della fonte di prova.

Domande del presidente alla persona esaminata

Il capoverso dell'art. 506 assegna al presidente, anche su impulso di altro giudice del collegio, la facoltà di rivolgere domande a testimoni (anche assistiti ex art. 197-bis), periti, consulenti tecnici, e parti private.

La disposizione in esame consente al giudice di porre quesiti solo dopo l'esame e il controesame.

Tuttavia, la dottrina ritiene che l'intervento presidenziale debba essere collocato dopo l'esaurimento dell'esame incrociato, ovvero al termine della sequenza esame diretto — controesame — riesame (Adorno, 305; Dean, 143; Kalb, 1552; Mambriani, 901; 387; Paulesu, 250).

La giurisprudenza di legittimità, dal canto suo, ritiene che l'eventuale intervento del giudice prima della conclusione dell'esame e del controesame ad opera delle parti non configuri un'ipotesi di inutilizzabilità della testimonianza, verificandosi, questa, solo laddove la prova venga assunta in presenza di un divieto e non anche quando la stessa, pur consentita, sia effettuata in violazione delle regole previste per l'assunzione (Cass. III, n. 27068/2008).

Per quanto riguarda i contenuti, le domande presidenziali tendono a conseguire chiarimenti su quanto riferito nel corso dell'esame e del controesame, nonché ad approfondire temi non emersi o non sufficientemente approfonditi in sede di esame incrociato. Esse, però, non possono fuoriuscire dal perimetro tracciato dalle circostanze indicate nella lista ex art. 468 e dai temi nuovi suggeriti alle parti ai sensi dell'art. 506, comma 1.

Infatti, una lettura della disposizione in esame coordinata con quella prevista dal primo comma dovrebbe portare a ritenere che il giudice, ove ravvisi una incompletezza istruttoria, debba dapprima invitare le parti a sondare ulteriori temi di prova; solo qualora le parti si mostrino refrattarie all'invito, il giudice dovrebbe formulare direttamente domande al soggetto esaminato, purché utili alla completezza dell'esame e dopo aver acquisito l'intero materiale probatorio richiesto dalle parti, ovvero, aver proceduto alle letture consentite.

Poiché l'esame ex officio introduce temi nuovi o amplia quelli sondati dalle parti, quest'ultime, terminate le domande del presidente, devono poter concludere l'esame, ponendo a loro volta domande sui fatti oggetto dell'intervento del giudice.

Questo diritto può esser esercitato da tutte le parti e non solo da quelle che avevano richiesto l'ammissione della prova. Qualora ad una delle parti sia stato precluso di concludere l'esame si configura una nullità a regime intermedio, che resta sanata, ex art. 182, se non eccepita immediatamente dopo il compimento dell'atto (Cass. III, n. 3125/1994).

Per quanto riguarda le domande formulabili dal presidente, se non vi sono dubbi che siano interdette quelle nocive, più controversa è la possibilità di rivolgere domande suggestive.

Infatti, mentre la giurisprudenza esclude che il divieto di porre domande suggestive nell'esame testimoniale operi con riguardo al giudice, il quale, agendo in una ottica di terzietà, può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l'accertamento della verità, ad esclusione di quelle nocive (Cass. III, n. 21627/2015), una parte della dottrina ritiene che, consentendo al giudice di formulare tali tipi di domande si potrebbe generare un rapporto conflittuale con il dichiarante (Ferrua, 110).

La prima soluzione sembra più convincente perché il divieto di domande suggestive non è assoluto, ma opera solo nei confronti di chi svolge l'esame diretto. Inoltre, sarebbe illogico precludere al giudice, che è tenuto ad accertare la verità, di verificare, con ogni mezzo, la sincerità delle risposte fornite dalla persona esaminata.

È, invece, pacifico che il presidente non possa effettuare contestazioni al dichiarante ai sensi degli artt. 500 e 503, non avendo egli la disponibilità dei verbali di dichiarazioni conservati nel fascicolo del pubblico ministero.

Si ritiene che le parti possano formulare opposizioni ex art. 504 anche alle domande formulate dal presidente. In tal caso, però, dovrà essere l'intero collegio a decidere in merito all'opposizione, essendo improbabile che il presidente si “autocensuri” (Rivello, 363). Tuttavia, il problema rimane per i procedimenti celebrati dal tribunale in composizione monocratica, nei quali il giudice è chiamato a pronunciarsi due volte sulla stessa questione.

Violazioni

La giurisprudenza esclude che la violazione dell'art. 506 generi una nullità, non essendo, tale patologia, espressamente prevista dalla norma (Cass. II, n. 25738/2015) oppure una inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta con modalità diverse da quelle prescritte e non in violazione di divieti posti dalla legge (Cass. II, n. 48957/2019). Quindi, si configura una mera irregolarità se, ad esempio, la sollecitazione all'integrazione di cui al primo comma dell'art. 506 o la domanda di cui al capoverso della stessa norma proviene direttamente dal giudice a latere.

Analogamente, non configura alcuna sanzione la circostanza che la domanda presidenziale venga posta prima che sia concluso l'esame del testimone o della parte (Cass. VI, n. 909/1999; Cass. V, n. 19801/2003, con riguardo alla condotta, certamente censurabile, del giudice che, arrogandosi poteri inquisitori, ponga direttamente le domande al teste, anziché lasciare alle parti il potere di condurre l'assunzione della prova).

Diversa, ad avviso della dottrina, è l'ipotesi in cui il presidente, dopo aver posto le domande al teste, non consenta alle patri di concludere l'esame. Secondo alcuni, tale condotta integra una nullità a regime intermedio, sanabile ai sensi dell'art. 182 se non eccepita dalla parte subito dopo il compimento dell'atto (Paulesu, 252), mentre altri ritengono integrata un'ipotesi di inutilizzabilità della prova, trattandosi di un vizio concernente le modalità acquisitive della prova (Dean, 143).

Come già detto, la giurisprudenza segue la prima soluzione (Cass. III, n. 3125/1994).

Ogni eventuale questione attinente alla conduzione del processo deve essere immediatamente contestata dalle parti e formalizzata nel corso del dibattimento e la decisione o mancata decisione sull'incidente, può assumere rilevanza nel giudizio di impugnazione, solo in quanto si accerti che essa abbia comportato la lesione dei diritti delle parti o viziato la decisione (Cass. IV, n. 1022/2015).

Per esercitare i poteri di cui all'art. 506, comma 2, il presidente può anche disporre d'ufficio la nuova citazione di soggetti già ammessi a rendere dichiarazioni dibattimentali ed esaminati, senza che ciò arrechi alcun pregiudizio alle parti, che, per effetto della nuova citazione, riacquistano il diritto di esaminare e contro-esaminare il dichiarante sui temi di prova indicati dal giudice (Cass. II, n. 25738/2015).

Bibliografia

Albano, I poteri istruttori del giudice penale, Padova, 2003; Belluta, Imparzialità del giudice e dinamiche probatorie ex officio, Torino, 2006; Caraceni, Poteri d'ufficio in materia probatoria e imparzialità del giudice penale, Milano, 2007; Certosino, Giudice (poteri istruttori del), in Dig. d. pen., Agg., VI, Torino, 2011, 258; Cesari, Prova (acquisizione della), in Dig. d. pen., Agg., II, Torino, 2004, 694; Dean, L'escussione ex officio delle fonti di prova dichiarative nel giudizio penale, in Riv. dir. proc. 2001, 143; De Caro, Poteri probatori del giudice e diritto alla prova, Napoli, 2003; De Caro, Ammissione e formazione della prova nel dibattimento, in Gaito (diretto da), La prova penale, II, Torino, 2008, 353; Diddi, Poteri del Giudice ed esame dell'imputato, in Giust. pen. 1993, 9; Ferrua, Studi sul processo penale, II, Torino, 1992; Kalb, Ruolo delle parti e poteri del giudice nello svolgimento dell'esame testimoniale, in Dir. pen. e proc. 2004, 1552; Paulesu, Giudice e parti nella «dialettica» della prova testimoniale, Torino, 2002; Vergine, Sistema delle prove e interventi del giudice, Bari, 2008. V. sub Artt. 496-503.

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