Codice di Procedura Penale art. 556 - Giudizio abbreviato e applicazione della pena su richiesta 1 .Giudizio abbreviato e applicazione della pena su richiesta 1. 1. Per il giudizio abbreviato e per l'applicazione della pena su richiesta si osservano, rispettivamente, le disposizioni dei titoli I e II del libro sesto, in quanto applicabili. 2. Se manca l'udienza preliminare, si applicano, secondo i casi, le disposizioni degli articoli 555, comma 2, 557 e 558, comma 8. Si osserva altresì, in quanto applicabile, la disposizione dell'articolo 441-bis; nel caso di cui al comma 4 di detto articolo, il giudice, revocata l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, fissa l'udienza per il giudizio 2.
[1] Il libro VIII del codice, comprendente gli articoli da 549 a 567, è stato interamente sostituito dall'art. 44 l. 16 dicembre 1999, n. 479. [2] Comma modificato dall'art. 2-nonies, comma 4 d.l. 7 aprile 2000, n. 82, conv., con modif., dalla l. 5 giugno 2000, n. 144. InquadramentoGli artt. 556 e 557 contengono, rispettivamente, disposizioni inerenti al giudizio abbreviato ed al patteggiamento, ed al procedimento per decreto, destinate ad operare nell'ambito del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. Con riguardo a quest'ultimo, mancano disposizioni ad hoc per quanto concerne il giudizio immediato. Giudizio abbreviato e “patteggiamento” nel procedimento monocraticoL'art. 556, comma 1, disciplina lo svolgimento del giudizio abbreviato e del “patteggiamento” nel rito monocratico, richiamando le disposizioni dei titoli I (artt. 438-443) e II (artt. 444-448) del libro VI del codice, con la consueta clausola di compatibilità: pertanto, ove si tratti di reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica, previo svolgimento dell'udienza preliminare, la disciplina relativa all'accesso ed allo svolgimento del giudizio abbreviato e del “patteggiamento” ricalca in toto quella ordinariamente prevista per i reati attribuiti al tribunale in composizione collegiale. Giudizio abbreviato e “patteggiamento” nel procedimento monocratico con citazione diretta L'art. 556, comma 2, disciplina lo svolgimento del giudizio abbreviato e del “patteggiamento” nel rito monocratico a citazione diretta, richiamando gli artt. 555, comma 2, 557 e 558, comma 8 (al cui commento si rinvia), in quanto applicabili. Con specifico riguardo al giudizio abbreviato, è espressamente richiamato l'art. 441-bis (provvedimenti del giudice a seguito di nuove contestazioni), con la precisazione che, nel caso in cui, nel corso del giudizio abbreviato, il p.m. modifichi l'imputazione, l'imputato ha facoltà di revocare la richiesta di accesso al rito, ed il giudice, revocata l'ordinanza ammissiva, deve fissare l'udienza per il giudizio dibattimentale innanzi a sé. Questa è l'unica disposizione realmente innovativa contenuta nella norma. Il giudizio abbreviato nel rito monocratico Con riguardo ai reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica, con citazione diretta a giudizio da parte del p.m., l'imputato dovrà chiedere l'accesso al rito abbreviato ai sensi dell'art. 555, comma 2, ovvero in udienza di comparizione, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ed entro tale termine potrà proporre l'eccezione di incompetenza territoriale (Cass. VI, n. 8652/2014); peraltro, ove il rito alternativo sia instaurato nella stessa udienza, l'incidente di competenza può essere sollevato sempre in limine a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare (Cass. II, n. 22366/2013). Per quanto attiene alla natura del termine entro il quale la richiesta del giudizio abbreviato può essere formulata, si sostiene in dottrina che, « sebbene difetti un'espressa previsione della sua perentorietà, si tratta di termine la cui inosservanza determina l'inammissibilità di una richiesta tardivamente formulata » (Fidelbo-Gallucci, 353). L'invalidità della notifica del decreto di citazione a giudizio dell'imputato, conseguente alla sua effettuazione con modalità diverse da quelle previste, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ex art. 183 c.p.p. (Cass. III, n. 19454/2014). Per lo stesso motivo, ovvero perché la scelta del rito comporta un effetto sanante delle nullità ex art. 183, si è precisato che non è nulla la sentenza pronunciata in sede di giudizio abbreviato richiesto nel corso dell'udienza preliminare, in procedimento nel quale l'azione penale sia stata esercitata mediante richiesta di rinvio a giudizio in ordine a reati (nella specie: art. 186 cod. strada e 495 c.p.) per i quali avrebbe dovuto procedersi con citazione diretta (Cass. V, n. 39207/2015). In presenza di una richiesta subordinata ad un'integrazione probatoria che si assuma necessaria ai fini della decisione, il giudice monocratico dovrà necessariamente acquisire il fascicolo del pubblico ministero (il cui contenuto gli sarebbe, altrimenti, ignoto), in applicazione analogica dell'art. 135 disp. att. c.p.p. (così Cass. S.U., n. 44711/2004), onde procedere alla valutazione incidentale di necessità delle indicate integrazioni, e disporne la restituzione in caso di rigetto: la citata decisione ha, in proposito, chiarito che « il giudice è chiamato ad effettuare, acquisendo gli atti del fascicolo del pubblico ministero [...], una valutazione solo incidentale delle risultanze raccolte, finalizzata alla verifica della prospettata necessità della prova integrativa richiesta, senza che ciò si traduca in giudizio sul merito dell'azione penale e, dunque, in causa di incompatibilità per il giudice stesso ». E' stata dichiarata l'illegittimità degli artt. 438, comma 6, e art. 458, comma 2, c.p.p. nella parte in cui non prevedono che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad un'integrazione probatoria, l'imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ed il giudice possa disporre il giudizio abbreviato: « la mancata previsione di un sindacato giurisdizionale sul rigetto della richiesta del rito abbreviato limita irragionevolmente il diritto di difesa, mentre, d'altro canto, non vi è alcun ostacolo nel quadro normativo vigente a che detta previsione sia introdotta, ed anzi risultando conforme alle finalità di economia processuale che connotano il giudizio abbreviato quale rito alternativo al dibattimento, e coerente con il principio enunciato dall'art. 111 comma 2 ultimo periodo Cost. » (Corte cost. n. 169/2003). Nel rito monocratico a citazione diretta, in difetto dell'udienza preliminare, questo meccanismo di riproposizione della richiesta rigettata dal G.u.p. è inapplicabile: la giurisprudenza ha, peraltro, stabilito che il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata dall'imputato all'assunzione di prove integrative, quando deliberato sull'erroneo presupposto che si tratti di prove non necessarie ai fini della decisione, inficia la legalità del procedimento di quantificazione della pena da infliggere qualora si pervenga, in esito al dibattimento, ad una sentenza di condanna: « ne consegue che il giudice dibattimentale il quale abbia respinto in limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato — “rinnovata” dopo il precedente rigetto del giudice per le indagini preliminari ovvero proposta per la prima volta, in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta — deve applicare anche d'ufficio la riduzione di un terzo prevista dall'art. 442 c.p.p., se riconosca (pure alla luce dell'istruttoria espletata) che quel rito si sarebbe dovuto, invece, celebrare » (Cass. S.U., n. 44711/2004, con la precisazione che può parlarsi di violazione dei criteri legali di quantificazione della pena solo quando la preclusione del rito sia dipesa dall'erronea deliberazione del giudice, e non dall'inerzia del soggetto cui la legge rimette in via esclusiva la possibilità di attivare il procedimento speciale, cosicché, nel caso in cui l'imputato non rinnova in limine litis una richiesta già respinta dal giudice preliminare, non può farsi più questione dell'eventuale erroneità del provvedimento reiettivo; conformi, successivamente, Cass. IV, n. 37587/2007 e n. 22154/2008; Cass. III, n. 25983/2009). La dottrina ha, in proposito, osservato che « nel procedimento a citazione diretta, in caso di rigetto, da parte del giudice monocratico del dibattimento, della richiesta di abbreviato subordinato ad integrazione probatoria, il medesimo giudice, all'esito del dibattimento, dovrà, in caso di condanna, riesaminare la decisione presa nella fase precedente e, laddove ravvisi che l'integrazione richiesta era necessaria e non incompatibile con le finalità deflattive proprie del rito alternativo, applicare la riduzione della pena » (Fidelbo-Gallucci, 354). La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che il giudice del dibattimento il quale abbia respinto in limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato — rinnovata dopo il precedente rigetto del giudice dell'udienza preliminare, ovvero proposta per la prima volta in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta — deve applicare anche d'ufficio la riduzione di un terzo prevista dall'art. 442, se riconosce, alla luce dell'istruttoria espletata, che quel rito si sarebbe dovuto celebrare (Cass. II, n. 8097/2016; in applicazione del principio, la S.C. ha annullato senza rinvio la sentenza con la quale la Corte territoriale aveva negato la riduzione per il rito, benché l'attività istruttoria espletata nel corso del dibattimento avesse coinciso con quella alla quale l'imputato aveva condizionato la richiesta di accedere al rito alternativo, avendo le parti prestato il consenso all'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di tutti i restanti atti di indagine). Questioni di costituzionalità È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 556, comma 2, e 34,comma 2, c.p.p., censurati per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 101 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono che l'imputato tratto a giudizio con citazione diretta del P.m., dopo che il giudice dibattimentale abbia respinto in limine litis la richiesta di abbreviato condizionato, possa rinnovare la richiesta dinanzi ad altro giudice, investito del procedimento in forza della sopravvenuta incompatibilità del primo: « la questione muove dalla constatazione che nel giudizio a citazione diretta non può trovare applicazione il meccanismo di “rinnovazione” della domanda già rigettata dal G.i.p. o dal G.u.p., ma la continuità della fase in cui si innestano il provvedimento di rigetto e la celebrazione del giudizio ostano, di per sé, ad una emulazione del meccanismo di reiterazione. D'altra parte, appare erroneo il presupposto che, nel giudizio a citazione diretta, l'ordinanza di rigetto della richiesta di abbreviato condizionato sarebbe sottratta ad ogni forma di sindacato, dal momento che, per giurisprudenza di legittimità costante, il fondamento della decisione preclusiva deve essere valutato in ogni successiva occasione in cui il giudice determini o verifichi la quantificazione della pena, a partire dalla deliberazione della sentenza di condanna ad opera dello stesso giudice per proseguire in fase di gravame » (Corte cost. n. 433/2006). È stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 442, comma 1-bis, c.p.p., richiamato dall'art. 556, comma 1, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 commi 2 e 4 Cost., nella parte in cui consente l'utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo unilateralmente assunti, in assenza di situazioni di deroga al contraddittorio, in denunciata violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova e nella parità delle armi, e del principio di uguaglianza, per ingiustificata disparità di trattamento tra giudizio ordinario e giudizio abbreviato, con riguardo ai poteri probatori dell'imputato in tema di atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo: « l'utilizzabilità, nell'ambito del giudizio abbreviato, anche degli atti di investigazione difensiva unilateralmente assunti (compresi quelli a contenuto dichiarativo) non può ritenersi lesiva del principio di parità delle parti, acquisendo valore le investigazioni del difensore solo come effetto della più generale rilevanza probatoria riconosciuta all'indagine preliminare, al pari di quelle del p.m. La rinunzia generalizzata al contraddittorio nella formazione della prova — espressa dall'imputato con la richiesta di rito abbreviato — non opera soltanto verso i risultati delle indagini del pubblico ministero, ma anche verso quelli delle proprie. Né può configurarsi una disparità di trattamento tra il giudizio ordinario e il giudizio abbreviato, stante la non comparabilità degli istituti processuali posti a raffronto, di natura disomogenea e non assimilabili. Del pari, va esclusa un'incoerenza sistematica rispetto al giudizio abbreviato condizionato, che, comunque, conserva una sua utilità e significato in rapporto agli elementi probatori che l'imputato non abbia potuto o voluto acquisire tramite lo svolgimento delle investigazione difensive » (Corte cost. n. 184/2009). Il “patteggiamento” nel giudizio monocratico Con riguardo ai reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica, a seguito della citazione diretta a giudizio da parte del p.m., l'imputato dovrà chiedere l'accesso al “patteggiamento” ai sensi dell'art. 555, comma 2, ovvero in udienza di prima comparizione, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; valgono, quanto alla natura di detto termine, le considerazioni già svolte in relazione al giudizio abbreviato (v. infra); trova diretta applicazione, quanto all'acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo del p.m., l'art. 135 disp. att. c.p.p. Peraltro, qualora la richiesta di patteggiamento, formulata in via ordinaria e non a seguito di giudizio immediato, venga rigettata, non è preclusa all'imputato la possibilità che si proceda con giudizio abbreviato, sempre che la relativa istanza venga formulata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (Cass. II, n. 10462/2016 e Cass. IV, n. 45838/2017). Diversamente dal giudizio abbreviato, la richiesta (da parte dell'indagato o del p.m.) di “patteggiamento” potrebbe aver luogo anche nel corso delle indagini preliminari, ed andrebbe decisa ai sensi dell'art. 447 c.p.p. La giurisprudenza ritiene che le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti non possono considerarsi sentenze dibattimentali, tranne per il caso in cui il giudice provveda dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio d'impugnazione, ritenendo ingiustificato il dissenso del p.m. e congrua la pena richiesta dall'imputato: « con l'espressione “nel giudizio” di cui all'art. 448, comma 1, si fa riferimento a sentenza emessa, non già nel dibattimento, ma nella fase degli atti preliminari al dibattimento, comunque non oltre la dichiarazione di apertura dello stesso, potendosi, solo fino a tale momento, formulare la richiesta di applicazione della pena » (Cass. IV, n. 5966/2003). Peraltro, con riguardo ai termini entro i quali è proponibile il ricorso per cassazione, l'orientamento ormai dominante ritiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, pronunciata a seguito di concorde richiesta nel corso degli atti preliminari alla dichiarazione di apertura del dibattimento, non può che considerarsi come pronunciata in camera di consiglio, con la conseguenza che i termini di impugnazione vanno determinati ai sensi dell'art. 585, comma 1, lett. a), e comma 2, lett. a), e sono quindi pari a quindici giorni (Cass. I, n. 3245/1994 e n. 5984/2009; Cass. IV, n. 31395/2013; Cass. VI, n. 45127/2014). Appare, infatti, superato il più risalente e contrario orientamento per il quale la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, pronunciata dal giudice del giudizio prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, non è assimilabile ai provvedimenti emessi in seguito a procedimento camerale, pur essendo ontologicamente diversa dalle sentenze dibattimentali, il che comporterebbe che « la disciplina dei termini di impugnazione di siffatta sentenza va individuata nell'art. 585 c.p.p., con esclusione delle disposizioni concernenti i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio (art. 585, comma 1 lett. a) e comma 2 lett. a). Ciò perché essa dev'essere considerata come emessa nel “giudizio”, ossia nella fase che segue quella delle indagini preliminari, con la conseguenza che trovano applicazione le disposizioni del capo III del titolo III del libro VII del codice di rito, vale a dire la normativa attinente alla redazione, pubblicazione, requisiti e deposito della sentenza, con l'esclusione della notificazione o comunicazione del provvedimento, ai sensi dell'art. 128, operante per i provvedimenti camerali » (Cass. V, n. 2311/1995). Si è anche ritenuto che il ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti vada deciso con il procedimento in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 611 c.p.p., quando si tratti di sentenze non emesse nel dibattimento, ed invece in pubblica udienza, nel caso di sentenze emesse dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, nelle ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero (Cass. S.U., n. 295/1994 e Cass. VI, n. 2101/1998). BibliografiaAprile, Giudice unico e processo penale, Milano, 2000; Aprile, sub art. 52 l. 16/1/1999 n. 479, in Leg. pen. 2000, 572; Aprile-Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Corbetta, Il procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica, in Peroni (a cura di), Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000, 589; Garuti, Il procedimento per citazione diretta a giudizio, Milano, 2015; Lorusso, Il giudizio abbreviato nel rito monocratico, in Aa.Vv., Le recenti modifiche al codice di procedura penale III, Milano, 2000; Orlandi, Sub art. 29 L. 16 dicembre 1999 n. 479, in Leg. 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