Codice Penale art. 132 - Potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena: limiti.Potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena: limiti. [I]. Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l'uso di tal potere discrezionale (1). [II]. Nell'aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena [23-26], salvi i casi espressamente determinati dalla legge [64 2, 65 n. 3, 66, 67 2, 73 2, 78 2, 133-bis 2]. (1) V. anche art. 58 1, 3 l. 24 novembre 1981, n. 689. InquadramentoL'art. 132 introduce le disposizioni dedicate all'applicazione della pena. Afferma la regola generale che il giudice applica la pena nell'esercizio di un potere discrezionale, rispetto al quale, però, vi sono “limiti fissati dalla legge”, e deve indicare quali siano i motivi che abbiano giustificato l'esercizio del potere stesso. Con il secondo comma fissa la regola generalissima del rispetto dei limiti minimi e massimi della pena laddove non vi sia una diversa disposizione. La disposizione, che va letta unitamente, al successivo art. 133, nella sua brevità afferma le seguenti regole. La concreta commisurazione della pena non è mai predeterminata in modo rigido dalla legge ma è sempre frutto di una valutazione discrezionale, fondata sull'esito del processo, nell'ambito della forbice edittale di pena (detentiva e/o pecuniaria). Tale potere ha i caratteri della discrezionalità vincolata, nel senso che non spetta al giudice una valutazione dei criteri di opportunità da applicare ma egli è vincolato ai parametri dettati dalla legge (quindi, l'esercizio del potere di commisurazione non può esaurirsi semplicisticamente nel “saggio apprezzamento del magistrato”). Tali parametri sono i “limiti fissati dalla legge”, ovvero gli indici generali indicati nel successivo art. 133 nonché in varie parti del codice e della normativa speciale, in forma di aggravanti, di attenuanti, di circostanze inerenti la persona del colpevole etc. Strettamente connesso alla previsione della valutazione discrezionale “vincolata” vi è, poi, la previsione del sistema di controllo che è realizzato imponendo al giudice un obbligo di specifica motivazione sulla determinazione della pena. Alla espressione ben carica di significato “indicare i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale”, però, corrisponde la genericità degli elementi per esprimere tale valutazione: “in sintesi, il sistema adottato dal nostro legislatore per precisare i limiti del potere discrezionale del giudice nel determinare in concreto la pena, accoglie un indirizzo intermedio tra i principi di tassatività e di discrezionalità, indirizzo che è stato definito discrezionalità vincolata” (Antolisei). Si osserva in dottrina, difatti, che la scelta degli indicatori da parte della legge in realtà non risolve affatto il tema della discrezionalità vincolata, in quanto, al di là della “tendenza giurisprudenziale a svilire l'obbligo della motivazione ex articolo 132”, gli elementi indicati nell'articolo 133 “assumono un significato ed una rilevanza diversi, a seconda della finalità prevalente che l'interprete assegna alla pena” in sede di sua determinazione (Fiandaca-Musco, PG). In ogni caso, si osserva, anche secondo giurisprudenza costituzionale, l'ambito di inevitabile incertezza non è tale da ledere il principio di legalità che è, in ogni caso, rispettato. In dottrina, si afferma anche che la individuazione di criteri (solo) apparenti di discrezionalità vincolata, non essendo accompagnati da “criteri finalistici di valutazione”, ha da un lato impedito lo sviluppo interpretativo che vi sarebbe stato a fronte di un riconoscimento di discrezionalità piena in favore del giudice (caso in cui sarebbe stato necessario individuare affidabili criteri conformi all'ordinamento complessivo) e dall'altro non ha comunque impedito una eccessiva dilatazione della discrezionalità in concreto. Si osserva che le prassi giurisprudenziali in materia, piuttosto che rappresentare un controllo sulla discrezionalità vincolata del giudice, “hanno offerto la copertura di comodo anche per le scelte arbitrarie”. In tal senso, in particolare, si considera come la discrezionalità sia stata confusa con un “generico potere di indulgenza”, trasformando ciò che è discrezionale in obbligatorio se favorevole al reo, anche mediante “automatismi”, e relegando l'obbligo di motivazione soltanto al caso inverso (Mantovani); il riferimento è fatto alla regola giurisprudenziale (vedi sub art. 133 c.p.) secondo la quale vi è uno specifico obbligo di motivazione solo se la pena si discosta dal minimo. La scelta di applicazione della pena risponde, quindi, a criteri di tipo “finalistico”, ovvero vi è innanzitutto la individuazione delle finalità della pena (prevenzione generale, prevenzione speciale o retributiva) con riferimento al caso concreto. La scelta dei criteri finalistici porta, poi, alla individuazione dei corretti criteri “fattuali” per il caso di specie. Per le finalità di prevenzione si terrà conto delle circostanze maggiormente indicative del rischio di nuova commissione di reati, per la finalità retributiva verrà “misurata” la gravità in concreto della vicenda. Da ultimo, si passa a criteri “logici”, con l'attività di commisurazione dei vari criteri. Una efficace sintesi della posizione della giurisprudenza si legge in Cass. fer., n. 12372/1990, laddove si chiarisce che le disposizioni degli artt. 132 e 133 dimostrano la impossibilità di catalogazione degli elementi da valutare perché prevedono necessari spazi discrezionali ma si tratta comunque di una discrezionalità a carattere vincolato in quanto, diversamente dall'attività amministrativa, non si tratta di mere scelte di opportunità ma di applicazione di criteri legali. Perciò si tratta di “discrezionalità regolamentata” che richiede una motivazione particolarmente attenta che dia conto dei profili funzionali della retribuzione, quindi tenendo conto della gravità complessiva del fatto, della prevenzione, della capacità a delinquere affermata in termini di concreta capacità di commettere crimini. Le Sezioni Unite hanno considerato come i criteri generalissimi di valutazione per la commisurazione della pena sono “ la finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità” (Cass. S.U., n. 46653/2015). MotivazioneSi rinvia al commento all'art. 133. BibliografiaBuonvino, Brevi considerazioni sulla quantificazione della pena e il processo simpatetico, in Sociologia dir., 2014, fasc. 1, 181; Dolcini, La commisurazione della pena tra teoria e prassi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 55; Eusebi, Pena, in Il diritto-Enciclopedia giuridica; Tascone, Applicazione della pena, in Enc. giur. Treccani, II. |