Codice Penale art. 168 quater - Revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova (1).

Angelo Valerio Lanna

Revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova (1).

[I]. La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata:

1) in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità;

2) in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede

(1) Articolo inserito dall'art. 3 l. 28 aprile 2014, n. 67.

Inquadramento (rinvio)

Nel Titolo VI del Libro II del Codice — laddove si trova la disciplina delle cause di estinzione del reato e della pena — sono previste, al Capo I, le cause estintive del reato, fra le quali anche la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato. La disposizione normativa in esame è stata introdotta dall'art. 3 l. 28 aprile 2014, n. 67.

Per tutto ciò che attiene alla ratio dell'istituto, alla sua funzione ed alle caratteristiche dogmatiche, può operarsi un integrale rinvio alla trattazione condotta in sede di commento all'art. 168 bis.

Profili generali (rinvio)

Può anche sul punto richiamarsi quanto già espresso, in sede di commento alla disposizione normativa che precede.

L'articolo in commento regolamenta, nello specifico, le conseguenze del fallimento dell'esperimento rappresentato dalla messa alla prova. Si trovano dunque qui indicate la ragioni per le quali la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere revocata.

La formulazione normativa

La disposizione in esame prevede quindi, nel dettaglio, le situazioni che possono condurre alla revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Trattasi di previsioni che, evidentemente, si atteggiano tra loro secondo un rapporto di alternatività e che si sostanziano in inadempimenti rispetto agli obblighi assunti al momento della sottoposizione al programma di reinserimento; oppure, che si concretizzano nella perpetrazione di nuovi fatti illeciti.

Una delle questioni più rilevanti — fra quelle poste dalla disciplina della revoca della sospensione con messa alla prova — concerne la natura discrezionale o necessitata di tale provvedimento. Che è ovviamente fondato sulla ritenuta ricorrenza di alcuni requisiti oggettivi (sotto meglio specificati); che è inoltre assunto dal giudice all'esito di un momento di pieno contraddittorio processuale, quale è l'udienza in camera di consiglio all'uopo convocata, a norma dell'art. 464 octies comma 2 c.p.p. In considerazione del fatto che la revoca costituisce l'epilogo di un iter procedimentale alquanto complesso, si è allora prospettato che: “[...] l'automaticità della revoca contrasta con l'intento di recupero sociale che pure anima la sospensione del processo con messa alla prova. Appare dunque preferibile ritenere che il giudice possa esercitare una valutazione discrezionale, oltre che in ordine alle singhole ipotesi di revoca, anche sotto il profilo dell'an della revoca” (Conti-Marandola-Varraso, 432). Nel concordare con tale impostazione, aggiungiamo peraltro che la natura necessitata del provvedimento di revoca renderebbe privo di significato e di funzione proprio il momento tipicamente giurisdizionale del contraddittorio. Laddove la revoca della sospensione fosse strutturata quale mero atto dovuto, non avrebbe senso la previsione dell'udienza camerale antecedente. E d'altra parte, la stessa dizione adoperata dal legislatore, nonché la portata semantica e letterale dei termini contenuti nella norma in commento — in particolare laddove ci si riferisce, genericamente, alla sussistenza di una grave o reiterata trasgressione — non consente perplessità, circa l'esistenza di un ampio spazio di ponderazione, demandata alla prudente valutazione del giudice.

Modifiche introdotte a seguito della Legge 27 settembre 2021 n. 134

La riforma della giustizia penale, introdotta dalla l.  n. 134/2021, ha apportato significative modifiche alla disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, in particolare sul regime della revoca.

La revoca della sospensione è ora subordinata alla verifica di gravi motivi, stabilendo che non basta un semplice mancato adempimento delle prescrizioni per disporre la revoca. In particolare, la riforma introduce un sistema di controllo più rigoroso che si concentra sulla gravità dell'inadempimento, evitando che situazioni minori possano determinare la revoca della sospensione.

La nuova disciplina prevede infatti che il giudice debba valutare se l'inadempimento delle prescrizioni da parte dell'imputato sia tale da pregiudicare gravemente l'obiettivo riabilitativo della messa alla prova. Questo approccio mira a ridurre la possibilità che il procedimento venga revocato prematuramente, offrendo maggiore spazio per la riabilitazione dell'imputato e per il superamento della sua condizione di devianza.

Inoltre, la riforma stabilisce che la revoca debba avvenire solo nel caso in cui si dimostri che la continuazione del procedimento senza messa alla prova sia incompatibile con il raggiungimento degli obiettivi di trattamento, rinforzando l'idea che la sospensione non deve essere vista come una mera dilazione del processo, ma come un'opportunità concreta per il recupero dell'imputato.

Il principale obiettivo di queste modifiche è quello di rendere la messa alla prova uno strumento più efficace di reintegrazione sociale, riducendo al contempo il rischio di abuso da parte di imputati che non intendano realmente seguire un percorso di recupero. La riforma ha puntato a rafforzare la finalità risocializzante della sospensione, ponendo l'accento sulla personalizzazione del trattamento e sulla serietà del percorso che l'imputato deve seguire.

Segue. Le manifestazioni di inadempimento rispetto agli obblighi assunti

Il mancato rispetto del programma o delle prescrizioni

A norma dell'art. 168 bis comma 2 secondo periodo, la messa alla prova comporta, in primo luogo, l'obbligo di prestazione di condotte finalizzate all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, derivanti dal fatto commesso. Il beneficiario è inoltre tenuto ad una prestazione di tipo risarcitorio, nei limiti della concreta esigibilità. L'interessato dovrà poi sottoporsi ad un programma, da svolgersi sotto l'egida dei servizi sociali — connotato dall'esecuzione di attività di volontariato di rilievo sociale. Oppure, è possibile che il programma stilato per il soggetto esiga il rispetto di una serie di prescrizioni, che attengono appunto alle relazioni con il servizio sociale o con una struttura sanitaria. Infine, è possibile che siano dettate determinate prescrizioni di tipo comportamentale, che attengano quindi al mantenimento di una determinata dimora, ovvero comportino eventuali restrizioni o comunque controlli nell'esplicazione della libertà di movimento, o infine, che incidano sulla libertà dell'interessato di frequentare determinati locali (qui il riferimento è chiaramente ad esercizi commerciali, bar, osterie ed altro).

Le mancanze rispetto a tali prescrizioni possono quindi condurre alla revoca della sospensione del procedimento, così decretando il fallimento dell'esperimento della messa alla prova.

Occorre però che l'inosservanza rispetto ad alcuno di tali dettami comportamentali si riveli (alternativamente) grave o reiterata. Dunque che si tratti di una inosservanza particolarmente significativa, sintomatica di mancanza di resipiscenza, o comunque del venir meno della volontà del soggetto di sottostare ancora a quelle regole di vita che gli erano state imposte. O, anche laddove non definibile grave, è però necessario che la trasgressione sia reiterata; ossia, ripetuta in una pluralità di occasioni, così da assumere una inequivoca valenza evocativa, quale manifestazione del mutamento di volontà e di indirizzo di vita del soggetto.

L'art. 141-ter comma 4 disp. att. c.p.p., nel disciplinare i casi nei quali l'ufficio locale di esecuzione penale esterna propone al giudice la revoca del provvedimento di sospensione, adopera esattamente la medesima espressione, collegando tale situazione al verificarsi di «grave o reiterata trasgressione».

È stata qui giustamente sottolineata la differenza esistente fra tale dettato normativo ed il disposto dell'art. 28 comma 5 d.P.R. 22 settembre 1988, laddove è invece prevista la revoca della sospensione al ricorrere di «ripetute e gravi trasgressioni». La differente formulazione lessicale non può che essere indicativa di un intento maggiormente rigorista, in capo al legislatore. Il quale ha evidentemente inteso agganciare la revoca della sospensione, nel caso dei minorenni, ad un definitivo smarrimento della volontà di recupero; ha invece riconnesso il medesimo provvedimento — in caso di adulti messi alla prova — ad inadempimenti o trasgressioni anche di minor portata. Tanto che — attenendosi rigorosamente al dato testuale — possono cagionare la revoca tanto una singola, grave trasgressione, quanto trasgressioni ripetute di minore entità (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 740).

Il lavoro di pubblica utilità

Altra inadempienza, che il legislatore ha ritenuto in grado di motivare la revoca del provvedimento di messa alla prova, è rappresentata dal rifiuto di prestare il lavoro di pubblica utilità.

La prestazione di lavoro gratuito costituisce infatti uno dei punti nodali del percorso di reinserimento ed emenda, da compiere ad opera dell'imputato. Tanto ciò vero, che le prescrizioni attinenti allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono già contenute ab initio, nel programma di trattamento elaborato d'intesa con l'U.E.P.E., da allegare all'istanza di sospensione con messa alla prova ex art. 464-bis comma 4 lett. b) c.p.p. (si veda anche il disposto dell'art. 141-ter comma 3 disp. att. c.p.p.).

Il ruolo essenziale svolto dal lavoro di pubblica utilità, nel meccanismo riabilitativo in esame, corrisponde all'estensione del numero di soggetti ed istituzioni che sono dal legislatore coinvolte nel programma, con il fondamentale compito di offrire le occasioni propizie per lo svolgimento di tale lavoro gratuito. La mera previsione dell'obbligo, in assenza della creazione di un ampio spettro di possibilità di accesso al lavoro stesso, avrebbe infatti rischiato di far restare la previsione normativa lettera morta, perché inattuabile sotto il profilo pratico. E infatti, si è scritto quanto segue: “L'allargamento della platea dei soggetti coinvolti che, nel testo definitivo, comprende non solo lo Stato, le regioni, le province e i comuni ma anche le aziende sanitarie; non soltanto enti od organizzazioni nazionali, ma anche enti od organizzazioni internazionali che operano in Italia, dedite all'assistenza sociale sanitaria o al volontariato sta proprio a dimostrare una volontà di politica giudiziaria tesa a creare le condizioni per l'applicazione dell'istituto senza snaturamento” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 739).

Segue. La commissione di nuovi fatti illeciti

Vi è anche qui una previsione alternativa. Il giudice disporrà infatti la revoca se — durante il periodo di sospensione con messa alla prova — l'interessato si renderà anzitutto protagonista di un nuovo delitto non colposo (e quindi, di un qualsivoglia fatto delittuoso, anche se riconducibile entro l'alveo previsionale di una fattispecie tipica del tutto diversa, rispetto a quella in relazione alla quale si procede). Oppure, il provvedimento di revoca sarà adottato in presenza di un reato della stessa indole; sarebbe a dire, di una condotta che — sebbene combaciante con lo schema di un modello legale diverso, rispetto a quello oggetto di contestazione nel processo a quo — presenti rispetto a quest'ultimo dei connotati fondamentali comuni. Connotati evincibili dalla natura oggettiva della fattispecie, ovvero dai motivi posti a fondamento dell'agire (la nozione codicistica di «reati della stessa indole» si trova cristallizzata nell'art. 101).

La propensione a sequenziare nuove condotte illecite — o comunque, la perpetrazione anche di una nuova condotta contra legem, secondo i criteri sopra detti — sancisce la immeritevolezza del soggetto. E ne delinea anche la mutata volontà, palesemente non più disposta alla risocializzazione.

La previsione è del resto perfettamente collimante — sul versante logico e funzionale — con il fatto che si possa accedere alla sospensione con messa alla prova soltanto una volta. Il permanere dell'attitudine criminale, infatti, contraddice le finalità intrinseche dell'istituto, tradisce le aspettative dell'ordinamento e dimostra l'inutilità del percorso già intrapreso. Parimenti un soggetto che — estinto un determinato reato per positivo esito della messa alla prova — si rendesse autore di un nuovo fatto illecito, sarebbe immeritevole di un nuovo accesso alla causa estintiva, avendone a qual punto già mostrato la inadeguatezza rispetto alla finalità di completo recupero sociale.

La Cassazione ha spiegato come – ai fini della revoca dell'ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova – il Giudice possa prendere in considerazione anche la mera esistenza di un procedimento penale in corso. Ciò che infatti è oggetto di apprezzamento è l’accadimento storicamente acclarato: non è invece indispensabile attendere l’irrevocabilità di una eventuale condanna, affinché si possa decidere circa la meritevolezza del soggetto, rispetto al beneficio ottenuto (Cass. VII, n. 37680/2017).

La determinazione della pena residua da eseguire

L'art. 4 comma 1 l. 28 aprile 2014, n. 67, istitutiva della figura della sospensione con messa alla prova, ha anche introdotto l'art. 657 bis c.p.p. Qui si prevede che il P.M. — in caso di revoca dell'ordinanza di sospensione — debba detrarre, dal computo della pena residua da eseguire, il periodo di tempo durante il quale il soggetto si è sottoposto alla prova.

La medesima disposizione normativa detta poi un criterio oggettivo di ragguaglio. Indicando che — ai fini del calcolo della detrazione, dalla pena da eseguire, del periodo di messa alla prova — tre giorni di prova equivalgono a euro 250,00 di multa o ammenda, oppure ad un giorno di arresto o reclusione.

Resta aperta la questione attinente alle modalità di computo di tale periodo da scontare. Se cioè debba detrarsi dalla pena complessiva ancora da espiare, il periodo intercorrente fra l'ordinanza ammissiva e la revoca della sospensione; ovvero, se si debba fare riferimento al solo periodo di sottoposizione al programma, che sia stato concretamente osservato dall'imputato. Soluzione, quest'ultima, che si lascia forse preferire, al fine di non consentire incongrue diminuzioni della pena finale da eseguire, magari originate dal dilatarsi dei tempi connessi alla pronuncia del provvedimento di revoca. Rammentiamo infatti che — a mente dell'art. 464-octies comma 2 c.p.p. — la revoca della sospensione, disposta dal giudice con ordinanza anche officiosa, interviene all'esito di udienza camerale, tenuta con preavviso minimo di dieci giorni. Sembrerebbe insomma improprio scomputare, dalla pena residua, anche il periodo necessario per gli adempimenti prodromici all'udienza. Si pensi solo alla complessità del meccanismo che qui occorre attivare: ricezione da parte del giudice della comunicazione di inadempimento con proposta di revoca, ex art. 141 comma 4 disp. att. c.p.p.; fissazione dell'udienza, in una data che sia compatibile con le esigenze del ruolo; inoltro degli avvisi ai soggetti legittimati alla partecipazione all'udienza ex art. 127 c.p.p.; infine, pronuncia dell'ordinanza.

Casistica

Per una approfondita disamina della giurisprudenza già formatasi sul nuovo istituto, si rinvia in primo luogo al relativo paragrafo contenuto nel commento all'art. 168-bis. Si segnala poi le novità che seguono.

a) Il Supremo Collegio ha chiarito che – al verificarsi di uno dei casi indicati dalla disposizione codicistica qui in commento – l'ambito della discrezionalità riservata al Giudice è circoscritto alla sola valutazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti di legge. Deriva da ciò l'esistenza di un obbligo di puntuale motivazione, circa la sussistenza dei presupposti utili alla pronuncia dell'ordinanza ex art. 464-octies c.p.p., ricorribile in Cassazione. Al Giudice – in sede di valutazione circa l'opportunità della revoca – è quindi riservato uno specifico potere di valutazione; inerente quest'ultima alla effettiva commissione, ad opera del soggetto beneficiario, del fatto – reato dal quale appunto origina la revoca. Tale valutazione non può che essere condotta - nel procedimento incidentale – attenendosi al canone valutativo della elevata probabilità basata sul grado di apparente fondatezza e serietà dell'accusa; la norma non postula peraltro che si attenda la definizione con sentenza passata in giudicato del separato procedimento concernente tale reato (Cass. VI, n. 28826/2018).

b) La Cass. VI, n. 57506/2017 ha precisato come la revoca dell'ordinanza di sospensione con messa alla prova non possa essere disposta con provvedimento de plano, bensì  esclusivamente previa fissazione di udienza in camera di consiglio e quindi garantendo – per il tramite dei relativi avvisi - il contraddittorio fra le parti.   Il provvedimento di revoca previsto dall'art.  464-octies c.p.p. deve garantire il rispetto del principio del contraddittorio. Pertanto, risulta affetto da nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., se emesso senza la previa convocazione di un'udienza camerale partecipata, con la necessaria comunicazione alle parti in merito all'oggetto della stessa.

c) La revoca dell'ordinanza di sospensione con messa alla prova, che si basi sulla mera inosservanza delle prescrizioni attinenti al risarcimento del danno deve considerarsi pienamente legittima (Cass. VI, n. 7909/2018).

Profili processuali

Evidenziamo qui come la revoca dell'ordinanza che aveva disposto la sospensione con messa alla prova possa rappresentare anche il frutto di una iniziativa officiosa del giudice, che la assumerà mediante l'adozione di una ordinanza. Questa deve però essere pronunciata all'esito di una udienza camerale ex art. 127 c.p.p. all'uopo convocata, mediante preavviso minimo di dieci giorni e con avviso alle parti ed alla persona offesa. A norma dell'art. 464 octies comma 3 c.p.p., avverso l'ordinanza di revoca della sospensione con messa alla prova, è consentito il ricorso per cassazione per violazione di legge,

Bibliografia

Caprioli, Due iniziative nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne e l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, in Cass. Pen., 2012; Conti-Marandola-Varraso, “Le nuove norme sulla giustizia penale”, Trento, 2014.

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