Codice Penale art. 222 - Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (1) (2).

Donatella Perna

Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (1) (2).

[I]. Nel caso di proscioglimento per infermità psichica [88], ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti [95], ovvero per sordomutismo [96 1] (3), è sempre ordinato il ricovero dell'imputato in un ospedale psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni; salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi [43] o di altri delitti per i quali la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore nel massimo a due anni, nei quali casi la sentenza di proscioglimento è comunicata all'Autorità di pubblica sicurezza (4) (5).

[II]. La durata minima del ricovero nell'ospedale psichiatrico giudiziario è di dieci anni, se per il fatto commesso la legge stabilisce [la pena di morte o] (6) l'ergastolo, ovvero di cinque, se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a dieci anni (5).

[III]. Nel caso in cui la persona ricoverata in un ospedale psichiatrico giudiziario debba scontare una pena restrittiva della libertà personale, l'esecuzione di questa è differita fino a che perduri il ricovero nell'ospedale psichiatrico.

[IV]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai minori degli anni quattordici o maggiori dei quattordici e minori dei diciotto, prosciolti per ragione di età [97, 98 1], quando abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato, trovandosi in alcuna delle condizioni indicate nella prima parte dell'articolo stesso (5).

(1) La Corte cost., con sentenza 18 luglio 2003, n. 253, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale».

(2) Nel testo originario della rubrica e in quello dei primi tre commi si parlava di ricovero in un «manicomio giudiziario»: v. al riguardo sub art. 215.

(3) L'art. 1, l. 20 febbraio 2006, n. 95 ha disposto che in tutte le disposizioni legislative vigenti il termine «sordomuto» sia sostituito con l'espressione «sordo».

(4) La Corte cost., con sentenza 27 luglio 1982, n. 139, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell'imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o dell'esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell'applicazione della misura».

(5) La Corte cost., con sentenza 24 luglio 1998, n. 324 ha dichiarato, con riferimento al presente articolo: a) l'illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 nella parte in cui prevedono l'applicazione anche ai minori della misura di sicurezza del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario; b) l'illegittimità costituzionale del comma 4.

(6) Per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d.lg. 22 gennaio 1948, n. 21. Per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella «massima prevista dal codice penale» (l. 13 ottobre 1994, n. 589). V. ora anche art. 27 4 Cost., come modificato dall'art. 1, l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. V. inoltre la l. 15 ottobre 2008 n. 179, di ratifica del Protocollo n. 13 del 3 maggio 2002 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza.

Inquadramento

Il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (O.P.G.) è una misura di sicurezza detentiva destinata ai soggetti non imputabili a causa di infermità psichica, intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti e sordomutismo, che siano socialmente pericolosi. Nell'originaria impostazione codicistica, il ricovero in o.p.g. non implicava il previo accertamento della pericolosità sociale, e la sua durata minima era correlata esclusivamente alla gravità del fatto-reato: ciò rendeva tale misura particolarmente afflittiva, e temuta addirittura più del carcere, anche per l'incidenza estrema sulla libertà del soggetto, a volte privato della stessa possibilità di muovere gli arti (Padovani, 913).

A fronte delle condizioni di vita spesso disumane imposte in queste strutture, si è andato nel tempo formando nella pubblica opinione il fermo convincimento della necessità di superare gli ospedali psichiatrici giudiziari, considerati luoghi di sofferenza e di tormento, piuttosto che di riabilitazione e cura. Si è trattato di un fenomeno complesso, scandito dagli interventi demolitori della Corte costituzionale in relazione ad una serie di norme, tra cui, appunto, l'art. 222, e dalla introduzione di una normativa particolarmente articolata, che ha notevolmente inciso sulla fisionomia dell'istituto originario, e che ha infine condotto — a far tempo dal 31 marzo 2015 — alla sostituzione degli ospedali psichiatrici giudiziari con le R.E.M.S. (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive: cfr. art. 3-ter, comma 4, d.l. n. 211/2011, conv. con modif. in l. n. 9/2012, come modificato dal d.l. n. 52/2014, conv., con modif., in l. n. 81/2014).

Profili costituzionali

Come precisato nella parte introduttiva, la Corte costituzionale si è occupata più volte dell'art. 222.

La Corte cost. n. 139/1982, ha dichiarato la incostituzionalità della norma nella parte in cui non subordinava il provvedimento di ricovero in o.p.g. dell'imputato prosciolto per infermità psichica, al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o della esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità psichica al tempo dell'applicazione della misura.

La Corte cost. con sentenza n. 324/1998 ha dichiarato l'incostituzionalità della norma nella parte in cui prevedeva la possibilità del ricovero in o.p.g., anche provvisorio, del minore d'età, rilevando che il trattamento penale del minore non può essere lo stesso dell'adulto, e va invece calibrato sulle specifiche esigenze dell'età minorile.

Infine, La Corte cost. con sentenza n. 253/2003, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma in commento laddove non consentiva al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare in luogo del ricovero in o.p.g., una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale.

In particolare, i giudici costituzionali hanno affermato che l'automatismo di una misura segregante totale come il ricovero in o.p.g., imposta pur quando in concreto appaia inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario, e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie il diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost. (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1204).

Sulla scia della giurisprudenza costituzionale si è posta anche quella di legittimità, sostenendo che la misura di sicurezza della libertà vigilata è applicabile nei confronti del soggetto assolto per vizio totale di mente a seguito della parziale declaratoria di incostituzionalità dell'art. 222 ad opera della sentenza della Corte cost. n. 253/2003 (Cass. I, n. 39804/2010).

Soggetti destinatari della misura

Il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario è una misura di sicurezza detentiva destinata ai soggetti non imputabili a causa di:

- infermità psichica (art. 88);

- intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti (art. 95);

- sordomutismo (art. 96).

L'elencazione deve intendersi tassativa.

In origine la misura si applicava anche ai minori prosciolti per immaturità, quando si trovassero in una delle condizioni soggettive sopra citate, ma a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma in commento (Corte cost. n. 324/1998) la giurisprudenza ha affermato che è conforme al principio di legalità applicare nei confronti del minore non imputabile per vizio totale di mente e socialmente pericoloso, la misura del riformatorio giudiziario, da eseguire nelle forme del collocamento in comunità a norma dell'art. 36, comma 2, d.P.R. n. 448/1988, trattandosi di situazione analoga a quella disciplinata dall'art. 98 c.p., cui rinvia l'art. 224, comma 3, stesso codice. In tal caso, la durata minima della misura non potrà essere quella prevista dall'art. 222, comma 2, c.p. (essendo divenuta tale norma inapplicabile ai minori a seguito della sentenza della Corte cost. n. 324/1998, ma sarà quella prevista dall'art. 224, comma 2, per il riformatorio giudiziario: Cass. I, n. 3710/1999).

Presupposti di applicazione della misura

La sentenza di proscioglimento.

Per l'applicazione della misura in esame (oggi sostituita dal ricovero in R.E.M.S.), è innanzitutto richiesto che l'autore del fatto sia stato prosciolto per incapacità di intendere e di volere dipendente da infermità psichica, intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti, o da sordomutismo.

Originariamente si riteneva che il proscioglimento potesse ricondursi sia alla sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p., sia a quella di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., ma la Corte cost., con sentenza n. 41/1993, ha dichiarato incostituzionale l'art. 425, comma 1, c.p.p., nella parte in cui stabiliva che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l'imputato è persona non imputabile. Ciò in quanto  la disciplina dell'udienza preliminare, per sua natura limitata ad una  verifica meramente processuale della fondatezza dell'accusa, privava l'imputato non imputabile del dibattimento, e della conseguente possibilità di esercitare appieno il diritto alla prova sul merito della "res iudicanda", con correlativa irragionevole compressione del suo diritto di difesa.

  La nuova formulazione dell'art. 425 c.p.p., introdotta con l. n. 479/1999, ha tuttavia riproposto il problema, poiché nel nuovo testo non è stata inserita espressamente la formula «per incapacità di intendere e di volere»; la S.C. ha quindi ritenuto di interpretare la norma nel senso che nella formula «non punibile per qualsiasi causa» debba ricomprendersi anche il caso del non imputabile, a condizione che non debba essere applicata una misura di sicurezza personale (Cass. VI, n. 38759/2008). In caso contrario, il Giudice per l’udienza preliminare non può prosciogliere ex art. 425 c.p.p., ma deve disporre il rinvio a giudizio dell’imputato (Cass. III, n. 36362/2009).

In dottrina vedi Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 533.

L'infermità psichica. Rinvio.

La giurisprudenza, nel tracciare i rapporti tra infermità di mente, malattia mentale, e infermità psichica, ha precisato che l'infermità di mente è concetto più ampio di quello di malattia mentale e di infermità psichica: essa non costituisce uno stato permanente ma va accertata in relazione alla commissione di ciascun reato e non può essere ritenuta sulla sola base di un precedente proscioglimento dell'imputato per totale incapacità di intendere e di volere (Cass. II, n. 21826/2014). La misura di sicurezza, in particolare, è correlata all'infermità psichica, e non a disturbi occasionali e transitori derivanti da malattia fisica; la stretta correlazione tra gli artt. 88 ed 89, e gli artt. 219 e 222, non fa venir meno la concettuale e sostanziale differenza tra imputabilità — alla quale si riferiscono i primi articoli — e le misure di sicurezza, alle quali ineriscono i secondi; il legislatore, usando per l'imputabilità l'espressione «per infermità, in tale stato di mente», e per le misure di sicurezza la diversa espressione «infermità psichica», non ha inteso riferirsi ad identiche realtà o addirittura equiparare, ai fini della pericolosità presunta, situazioni sostanzialmente e profondamente diverse, con applicazione della misura di sicurezza anche ai casi di malattia fisica di per se stessa transitoria.

In tale ultimo caso, infatti, venuta meno la malattia e la momentanea conseguente disfunzione psichica, viene meno definitivamente anche ogni pericolosità, sicché la misura di sicurezza non solo non assolve ad alcuna funzione, ma diventa del tutto dannosa.

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia sub art. 219

Il fatto-reato commesso dal non imputabile.

La dottrina ha poi sottolineato che l'applicazione della misura implica in ogni caso che la sentenza di proscioglimento accerti l'esistenza del fatto-reato, la riferibilità di esso al soggetto (c.d. suitas), l'assenza di cause di giustificazione, e l'esistenza del necessario coefficiente psicologico (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 534).

A tal proposito, possono venire in considerazione solo il dolo e la preterintenzione, poiché il primo comma della norma in commento esclude l'applicazione della misura di sicurezza in caso di delitto colposo e di contravvenzione (Marinucci-Dolcini, 523).

Il dolo del non imputabile , pur non essendo lo stesso del soggetto capace di intendere e di volere, com'è dimostrato dal trattamento delle ipotesi di errore condizionato dalla causa di non imputabilità, è comunque simile, nel senso che — se ipotizzato al di fuori del quadro patologico che segna ed influenza l'agire del soggetto e la formazione della sua volontà — coinciderebbe perfettamente con lo schema doloso del soggetto normale (Gallucci, in Rassegna Lattazi-Lupo, 1219).

Secondo la giurisprudenza, l'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda (Cass. VI, n. 4292/2015).

Ne consegue che l'indagine sul dolo non è preclusa dalla incapacità di intendere e di volere del soggetto, cosicchè - nel caso di imputato infermo di mente – occorrerà verificare se il fatto commesso sia colposo, doloso o preterintenzionale, sempre s'intende, in relazione allo stato di mente dell'agente.

Va poi ricordato che a norma dell'art. 222, comma 1, la misura non può essere applicata in relazione a delitti colposi, o puniti con pena pecuniaria o con la reclusione non superiore nel massimo a due anni, sicché essa è applicabile solo ai delitti dolosi e preterintenzionali puniti con pena superiore a due anni di reclusione (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 535).

La pericolosità sociale.

In precedenza la misura di sicurezza del ricovero in o.p.g. era applicabile a prescindere da un accertamento in concreto della pericolosità sociale dell'autore del fatto-reato non imputabile, configurando la norma in commento un caso di pericolosità presunta ex lege.

Come ricordato sub 2), la Corte costituzionale ha abolito tale presunzione, sicché ora il giudice, prima di procedere all'applicazione del ricovero in o.p.g., deve accertare la pericolosità in concreto del non imputabile: secondo la giurisprudenza di legittimità la prognosi di pericolosità sociale non può in tal caso limitarsi all'esame delle sole emergenze di natura medico-psichiatrica, ma implica la verifica globale delle circostanze indicate dall'art. 133, espressamente richiamato dall'art. 203 dello stesso codice, fra cui la gravità del reato commesso e la personalità del soggetto, così da approdare ad un giudizio di pericolosità quanto più possibile esaustivo e completo (Cass. I, n. 4094/2010).

Per ulteriori approfondimenti si rinvia sub art. 205.

La durata della misura

Durata minima.

Per l'individuazione della pena stabilita dalla legge, cui occorre fare riferimento per determinare la durata minima della misura, fino alla riforma dell'art. 157 si riteneva che occorresse basarsi sulla pena edittale prevista per il reato commesso, calcolando l'aumento massimo per le aggravanti e la diminuzione minima per le attenuanti. Con la modifica dell'art. 157 ad opera della l. n. 251/2005, occorre riferirsi alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto delle circostanze attenuanti o aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle a effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 536).

Nel computo della pena non può comunque rilevare la riduzione ex art. 442 c.p.p., stante la natura meramente processuale del rito (Cass., I, n. 17951/2004).

Sono previsti diversi periodi di ricovero in o.p.g.:

• Se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena dell'ergastolo, la durata minima del ricovero è di dieci anni.

• Se per il fatto commesso la legge prevede la pena della reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, la durata minima del ricovero è di cinque anni.

• In ogni altro caso — delitto non doloso, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a due anni — la durata minima del ricovero è di due anni.

A tale ultimo proposito, in dottrina si è osservato che la norma introduce un tetto massimo di gravità della condotta criminosa, al di sotto del quale, pur in presenza di gravissime patologie psichiatriche anche molto pericolose, il soggetto non può essere internato in o.p.g. (Padovani, Codice, 1317).

Durata massima.

Originariamente il codice non prevedeva una durata massima della misura in oggetto, che poteva essere revocata solo una volta accertato il venir meno della pericolosità.

Ora l'art. 1, comma 1 quater, d.l. n. 52/2014, prevede che il ricovero nelle R.E.M.S., ovvero le strutture che hanno sostituito gli O.P.G. (v. anche infra), non possa durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva massima prevista per il reato commesso, pena determinata a norma dell'art. 278 c.p.p.

Nessun limite è invece previsto per i delitti puniti con pena dell'ergastolo.

Si è così voluto ovviare al triste fenomeno dei c.d. ergastoli bianchi, ovvero di situazioni in cui l'internato, nonostante la relativa modestia del fatto-reato commesso, finiva per rimanere in istituto a tempo indeterminato.

Ci si chiede tuttavia se il giudice, una volta spirato il termine massimo, possa applicare all'interessato, ancora socialmente pericoloso, la libertà vigilata, e — in caso positivo — quali conseguenze riconnettere alla inottemperanza da parte del sottoposto alle relative prescrizioni.

La dottrina ritiene non solo possibile la conversione della misura detentiva, una volta spirato il termine massimo, in quella della libertà vigilata; ma anche che questa non sia aggravabile in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte (Piccione, 11).

È stata dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal GUP del Tribunale di Cosenza in riferimento all'art. 32 Cost. - dell'art. 222, comma 1 c.p., nella parte in cui dispone che, nei casi di proscioglimento per infermità psichica dell'imputato, la misura di sicurezza del ricovero in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (R.E.M.S.) sia ordinata per un tempo non inferiore a due anni. La Corte costituzionale ha infatti rilevato che la norma censurata disciplina l'applicazione in via definitiva della misura di sicurezza, mentre nel procedimento a quo si discuteva unicamente della sua applicazione provvisoria, regolata dagli artt. 206 c.p., 312 e 313 c.p.p., i quali non prevedono alcuna durata minima. Si è precisato che l'art. 222 c.p. va interpretato nel senso che spetta al giudice della sorveglianza il potere di revoca della misura di sicurezza - ove sia accertata la cessazione dello stato di pericolosità - anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge (Corte cost. n. 69/2021).

Il passaggio dagli O.P.G. alle R.E.M.S.

All'indomani della sentenza della Corte cost. n. 253/2003, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 222 nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in o.p.g., una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale, è iniziato il lungo iter che ha condotto al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, e alla loro sostituzione con le R.E.M.S.

Come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 22/2022, l'assegnazione alla REMS costituisce, a tutti gli effetti, una nuova misura di sicurezza, ispirata ad una logica di fondo assai diversa rispetto al ricovero in OPG o all'assegnazione a casa di cura o di custodia, ma applicabile in presenza degli stessi presupposti, salvo il nuovo requisito della inidoneità di ogni misura di sicurezza meno afflittiva introdotto dall'art. 3-ter, comma 4, del d.l. n. 211/2011, come convertito.

Essa ha natura di strumento di tutela della salute mentale del destinatario, ma è anche una misura limitativa della libertà personale, come evidenziato dal fatto che al soggetto interessato può essere legittimamente impedito di allontanarsi dalla R.E.M.S.

Si distingue anche dal trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale disciplinato dagli articoli da 33 a 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, poiché:

– presuppone non solo a) una situazione di malattia mentale (un «vizio di mente», secondo la terminologia del codice penale), ma anche b) la previa commissione di un fatto costitutivo di reato da parte del soggetto che vi deve essere sottoposto (art. 202 c.p.), nonché c) una valutazione di pericolosità sociale di quest'ultimo (ancora, art. 202 c.p.), intesa quale probabilità di commissione di nuovi fatti preveduti dalla legge come reati (art. 203 c.p.);

– è applicata non già dall'autorità amministrativa con successiva convalida giurisdizionale, come nell'ipotesi disciplinata dall'art. 35 della legge n. 833/1978, bensì dal giudice penale, con la sentenza che accerta il fatto (art. 222 c.p.) ovvero in via provvisoria (art. 206 c.p.);

– sulla sua concreta esecuzione sovraintende il magistrato di sorveglianza (art. 679, comma 2, c.p.p.; art. 69, comma 3, ord.pen.), che «[p]rovvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell'art. 208 del codice penale, nonché all'applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza» (art. 69, comma 4, ord.pen.), e dunque può sempre revocare l'assegnazione ad una REMS ovvero sostituirla con la meno afflittiva misura della libertà vigilata (sentenza n. 253 del 2003), con correlativo affidamento dell'interessato ai servizi territoriali per la cura della salute mentale (Corte cost., n. 22/2022). •.

Secondo la dottrina, la normativa fin qui illustrata ha introdotto un nuovo modo di concepire la misura di sicurezza nei confronti del non imputabile infermo di mente, un nuovo e puntuale sistema di presunzioni: favor per la misura non detentiva, extrema ratio anche in sede di esecuzione della misura di sicurezza, estensione degli stessi criteri per le misure di sicurezza provvisorie; limite di durata (Piccione).

Concorso tra l'esecuzione del ricovero in O.P.G. e l'esecuzione di pena restrittiva della libertà personale

L'art. 22, comma 3, dispone che se la persona ricoverata in ospedale psichiatrico giudiziario deve scontare una pena detentiva, l'esecuzione di questa è differita fino a che perduri il ricovero.

Si tratta, evidentemente, di pena inflitta per fatti diversi rispetto a quello cui è collegata la misura di sicurezza, che possono essere anteriori o posteriori a quello cui si riferisce la sentenza di proscioglimento per incapacità e alla stessa sentenza di proscioglimento; la stessa regola dovrebbe applicarsi, nel silenzio della legge, quando l'ordine di ricovero in o.p.g. sopravvenga nel periodo in cui l'autore del fatto stia espiando una pena detentiva (Romano-Grasso-Padovani, 537).

Ricovero in O.P.G. e custodia cautelare

Per quanto riguarda i rapporti tra la misura di sicurezza del ricovero in o.p.g. e la custodia cautelare, la S.C. ha ritenuto che il periodo di ricovero dell'imputato in un ospedale giudiziario, durante la detenzione in stato di custodia cautelare, va computato ai fini della determinazione della residua pena da espiare e, dunque, a norma dell'art. 137, dev'essere detratto dalla durata complessiva della pena comminata per il reato al quale ineriva lo stato di detenzione, avendo determinato — comunque — una privazione della libertà personale (Cass., I, n. 618/1990).

Ricovero in O.P.G. e riparazione per ingiusta detenzione

È ammissibile la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione in relazione alla privazione della libertà indebitamente sofferta per l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in o.p.g.: (Cass., IV, n. n. 5001/2009).

Le medesime argomentazioni valgono anche per l'illegittimo ricovero in casa di cura e custodia (Cass., IV, n. 11086/2013).

In un’interessante decisione la Corte EDU ha affermato che viola l’art. 5, § 1 della Convenzione l’inosservanza del termine massimo di durata previsto ex lege n. 81/2014 anche nel caso di misure di sicurezza già in corso al momento dell’introduzione di tale legge, sicchè colui il quale abbia subito l’illegale detenzione ha diritto ad una riparazione ai sensi dell’art. 5, § 5 della Convenzione  (Corte EDU 6 giugno 2024,  Cramesteter c. Italia).

Casistica

In caso di proscioglimento da una contravvenzione per infermità psichica, è illegittima l'applicazione, ai sensi dell'art. 222, della misura di sicurezza personale del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o di altra misura idonea individuata dal giudice, dovendosi escludere che le modifiche apportate alla disciplina in materia dal d.l. 211/2011, convertito in l. n. 9/2012, e dal d.l. n. 52/2014, convertito in l. n. 81/2014, abbiano determinato il superamento della distinzione tra delitti e contravvenzioni ai fini dell'applicazione delle misure di sicurezza (Cass. IV, n. 12399/2019).

Le misure di sicurezza detentive, eseguite presso una REMS a seguito dell'entrata in vigore del d.l. n. 211/2011, convertito nella l. n. 9/2012 hanno natura detentiva anche alla luce delle affermazioni contenute nella sentenza Corte cost. n. 22/2022, sicché è inammissibile, per mancanza di interesse, il ricorso per cassazione con cui si lamenti il tardivo trasferimento dal carcere alla suddetta struttura, permanendo comunque inalterata la privazione della libertà personale (Cass. IV n. 28369/2022).

Bibliografia

Alessandri, Pena e infermità mentale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1976, 227; Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Milano, 1970, 577; Piccione, Libertà dall'ospedale psichiatrico in dismissione e rischi di regressione istituzionale, in Riv. Aic 2014, n. 4.

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