Codice Penale art. 317 bis - Pene accessorie 1 .

Alessandro Trinci

Pene accessorie 1.

[I] La condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Nondimeno, se viene inflitta la reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall'articolo 323-bis, primo comma, la condanna importa l'interdizione e il divieto temporanei, per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni.

[II] Quando ricorre la circostanza attenuante prevista dall'articolo 323-bis, secondo comma, la condanna per i delitti ivi previsti importa le sanzioni accessorie di cui al primo comma del presente articolo per una durata non inferiore a un anno né superiore a cinque anni.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. m) l. 9 gennaio 2019, n. 3in vigore dal 31 gennaio 2019. Il testo, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190, era il seguente : «Pene accessorie. -  La condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 319 e 319-ter importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l'interdizione temporanea» Precedentemente l'articolo era stato inserito dall'art. 5 l. 26 aprile 1990, n. 86.

Inquadramento

La norma in esame prevede le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizi) per chiunque (funzionario pubblico, ma anche eventuale privato concorrente nel reato) venga condannato per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l'esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, istigazione alla corruzione e traffico di influenze illecite. Ciò al fine di impedire che siano ancora affidate, permanentemente o per un certo tempo, funzioni pubbliche a chi se ne è servito per trarne illecito profitto.

Va detto che l'art. 317-bis ha subito una riscrittura ad opera della l. n. 3/2019, che ha introdotto le seguenti novità (naturalmente, applicabili solo ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della novella): 1) il catalogo dei reati per i quali può essere applicata la sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici è stato ampliato con l'aggiunta delle fattispecie previste dagli artt. 318, 319-bis, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis; 2) all'interdizione dai pubblici uffici è stata affiancata l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; 3) la soglia di pena entro la quale le sanzioni accessorie in esame vengono applicate temporaneamente è stata abbassata a due anni, prescindendo dal riconoscimento di circostanze attenuanti (soluzione che lascia perplessi nella misura in cui potrebbe presentare profili di frizione con il principio, di valenza costituzionale, di proporzionalità delle pene, anche accessorie); 4) è stata prevista la possibilità di applicare temporaneamente le sanzioni accessorie in esame quando ricorrono le circostanze attenuanti di cui all'art. 323-bis; 5) è stata espressamente determinata la durata dell'interdizione e dell'incapacità, con conseguente inapplicabilità dell'art. 37.

Attraverso l'ampliamento dell'ambito applicativo (quanto ai casi) e l'inasprimento (quanto alla durata) delle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione, il legislatore ha voluto garantire effettività e dissuasività alle sanzioni accessorie nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, in chiave di prevenzione sia speciale che generale.

In tal ottica si giustifica anche la previsione della durata minima delle sanzioni accessorie temporanee, con conseguente impossibilità per il giudice di mitigarle in rapporto alla durata della pena principale.

L'inasprimento dell'apparato sanzionatorio di carattere accessorio si correla alla commissione di reati connotati da profili di apprezzabile gravità. L'entità della pena edittale e l'intrinseco disvalore delle condotte, che minano alla base i requisiti di integrità e affidabilità necessari per l'assunzione di pubblici uffici e per l'ammissione a contrattare con la pubblica amministrazione, a tutela del buon andamento e del prestigio di quest'ultima, unitamente ad esigenze general-preventive (ossia di dissuasione dei consociati dal tenere condotte illecite) giustificano l'applicazione della sanzione accessoria della interdizione dai pubblici uffici e della incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione. La scelta di conservare comunque un'area di attenuazione della sanzione accessoria per le pene inflitte che non superino i due anni di reclusione deriva, oltre che dalla necessità di rispettare i canoni di adeguatezza e proporzionalità delle pene, da un argomento di carattere sistematico. L'estensione indiscriminata dell'ambito applicativo delle sanzioni dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e del divieto perpetuo a contrattare con la pubblica amministrazione si sarebbe posta in contraddizione con la disciplina della sanzione accessoria dell'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego (art. 32-quinquies), prevista nel caso di condanna per un tempo non inferiore a due anni per i delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma e 320. L'esigenza di garantire intrinseca razionalità al sistema sanzionatorio e di evitare automatismi che violino i canoni di proporzionalità e adeguatezza e il finalismo rieducativo della pena (la cui centralità è stata anche recentemente riaffermata dalla Corte cost. n. 149 del 2018) hanno suggerito, pertanto, di mantenere la temporaneità della sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici o dell'incapacità perpetua nel caso di condanne contenute nei due anni di reclusione, pur a fronte di un irrigidimento e di un prolungamento della sua durata.

Ambito applicativo

L’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione conseguono alla condanna per i delitti di peculato, concussione, corruzione propria per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, e corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, istigazione alla corruzione e traffico di influenze illecite.

Esse di regola sono perpetue, ma possono essere temporanee se viene inflitta la reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall’art. 323-bis. .

Nei casi di temporarietà delle sanzioni, il giudice, nel determinarne la durata, deve modularle in correlazione al disvalore del fatto di reato e alla personalità del responsabile ai sensi dell'art. 133, sicchè la stessa non deve necessariamente essere pari alla durata della pena principale (Cass. VI, n. 16508/2020).

Le pene accessorie in esame trovano applicazione anche quando i delitti indicati nell’art. 317-bis si sono manifestati nella forma tentata. Pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, non può ritenersi che esso rimanga escluso dall’ambito di applicazione della previsione in commento. Infatti, la ratio sottesa alla pena accessoria prevista dall’art. 317-bis, costituente una eccezione rispetto alla regola generale dovuta al particolare rigore con cui il legislatore ha considerato e sanzionato i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ricorre anche nelle ipotesi caratterizzate dal solo tentativo, ancorché meritevoli di una pena principale meno grave (Cass. VI, n. 9204/2005; in dottrina Azzali, 229; Pomanti, 237).

Ai fini della temporaneità o perpetuità delle pene accessorie in esame occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita per il reato più grave e non a quella complessiva risultante dall’aumento della continuazione (Cass. VII, n. 48787/2014).

È controverso se la diminuente prevista per la celebrazione del processo con rito abbreviato debba essere considerata ai fini della determinazione della pena rilevante per stabilire se l’interdizione e l’incapacità debbano essere perpetue o temporanee. Secondo un primo orientamento, la suddetta diminuente, avendo genesi e finalità meramente processuali che la rendono non assimilabile ad una circostanza attenuante, non dovrebbe incedere sul calcolo della pena ai suddetti fini (Cass. VI, n. 2383/2000). Secondo altro orientamento, avvallato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 8411/1998), occorre avere riguardo all’entità della pena irrogata in concreto, tenendo conto anche delle eventuali diminuzioni processuali (Cass. I, n. 18149/2014).

Trattandosi di pene accessorie che conseguono necessariamente alla condanna per determinati delitti e la cui durata è prestabilita dal legislatore, spetta al giudice dell’esecuzione, ove non vi abbia provveduto il giudice della cognizione, applicare le suddette pene (Cass. I, n. 16634/2010).

Segue: la sospensione condizionale della pena accessoria

La l. n. 3/2019 ha introdotto una scissione tra il regime della pena principale e quello della pena accessoria nel caso di sospensione condizionale, attribuendo al giudice la possibilità di stabilire che il beneficio sospensivo non si estenda alle sanzioni accessorie in esame (come invece dovrebbe avvenire ai sensi dell'art. 166, comma 1).

Segue: la riabilitazione

Al fine di stabilizzare gli effetti delle pene accessorie perpetue (e dunque anche di quelle previste dall'art. 317-bis), la l. n. 3/2019 ha introdotto un'eccezione all'effetto estintivo della riabilitazione (art. 178), stabilendo che essa non produce effetti sulle pene accessorie perpetue. Tuttavia, decorso un termine non inferiore a sette anni dalla riabilitazione, la pena accessoria perpetua può essere dichiarata estinta quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (art. 179, comma 7). In sostanza, con la novella in esame di ha un prolungamento ad almeno quindici anni del termine necessario affinché la riabilitazione estenda i suoi effetti alle pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e del divieto in perpetuo di concludere contratti con la pubblica amministrazione.

Segue: l’affidamento in prova al servizio sociale

Sempre nell'ottica di stabilizzazione degli effetti delle pene accessorie perpetue si inquadra l'intervento del legislatore del 2019 sull'art. 47, comma 12, l. 26 luglio 1975, n. 354. Nella nuova versione, l'esito positivo della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale non produce effetti estintivi sulle sanzioni accessorie della interdizione dai pubblici uffici e del divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione disposta a seguito di condanna per taluno dei delitti indicati dallo stesso articolo 317-bis.

Segue: il patteggiamento

La l. n. 3/2019 ha previsto che anche in caso di patteggiamento il giudice possa applicare le pene accessorie di cui all'art. 317-bis (art. 445, comma 1-ter, c.p.p.). La scelta di rimettere alla valutazione discrezionale del giudice l'applicazione delle sanzioni in esame si giustifica con l'esigenza di non paralizzare l'accesso al rito negoziale frustando le prospettive di rapida definizione del procedimento penale che ne derivano. L'imputato, a sua volta, nel formulare la richiesta di applicazione della pena, può subordinarne l'efficacia all'esenzione dalle pene accessorie in esame ovvero all'estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali sanzioni. In tal caso il giudice può rigettare la richiesta se ritiene di applicare le pene accessorie o che l'estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa (art. 444, comma 3-bis, c.p.p.).

La Suprema Corte ha chiarito che il potere del giudice di decidere se applicare o meno le pene accessorie di cui all'art. 317- bis con la sentenza che applica la pena richiesta dalle parti per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui all'art. 445, comma 1- ter , c.p.p., riguarda non soltanto i casi di patteggiamento ordinario (rispetto al quale trattasi di novità deteriore rispetto ai reati diversi da quelli contro la pubblica amministrazione, per i quali le pene accessorie non possono mai essere applicate), ma anche nei casi di patteggiamento c.d. allargato (rispetto al quale trattasi, invece, di novità più favorevole per gli imputati di tali reati, essendo, per gli altri imputati, prevista l'obbligatoria applicazione delle pene accessorie), purché siano esplicitate, sia nell'uno che nell'altro caso, le ragioni di tale applicazione ( Cass. VI, n. 14238/2023 ).

Bibliografia

Azzali, In tema di applicabilità della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici in ordine al tentativo dei delitti di peculato, malversazione e concussione, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1964, 427; Pomanti, La concussione, Milano, 2004.

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