Codice Penale art. 377 bis - Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (1).

Pierluigi Di Stefano

Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (1).

[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni.

(1) Articolo inserito dall'art. 20 l. 1° marzo 2001, n. 63.

competenza: Trib. monocratico

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

L'art. 377 bis, introdotto con la legge n. 63/2001 sul “giusto processo”, sanziona con pena consistente (pari a quella prevista per la falsa testimonianza), e con la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, comportamenti sia di costrizione mediante minaccia o violenza che di induzione con offerta di utilità, finalizzati ad indurre i soggetti che abbiano “facoltà di non rispondere” e le cui dichiarazioni siano utilizzabili “in un procedimento penale” a non rendere dichiarazioni o renderne di false.

La norma, a prima vista, appare complementare rispetto a quella precedente (intralcio alla giustizia) ma vi sono importanti differenze strutturali (a parte il fisiologico limite del procedimento “penale”): quello in esame è, innanzitutto, un reato di evento, dovendo realizzarsi l'effetto, e, poi, non distingue tra la condotta di costrizione e quella corruttiva; proprio tale assenza di distinzione rispetto alle due diverse ipotesi del primo e del terzo comma del reato di intralcio alla giustizia, dimostra che l'art. 377 bis è essenzialmente incentrato sull'effetto della condotta sul processo in cui dovrebbero essere rese le dichiarazioni.

La conclusione è che tale reato risente chiaramente di esigenze processuali conseguenti alla introduzione delle disposizioni che hanno adeguato il processo penale al principio di (normale) inutilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese in fase di indagine, con la conseguente necessità di prevenire il fenomeno delle ritrattazioni o del silenzio in dibattimento di chi ha effettuato chiamate in correità o ha manifestato la disponibilità a renderne.

L'art. 377 bis ha, poi, rispetto all'ipotesi dell'intralcio alla giustizia, la peculiarità di sanzionare l'induzione ad un comportamento in sé lecito (l'esercizio della facoltà di non rispondere e comunque la assenza, per tali soggetti, dell'obbligo di dire la verità); per questo non sono mancate in dottrina critiche che si aggiungono a quelle per la ritenuta imprecisa formulazione della fattispecie.

L'interesse protetto è, anche in questo caso, quello della amministrazione della giustizia non solo in ordine alla genuinità delle prove ma anche alla acquisizione delle stesse.

I soggetti

È un reato comune, potendo essere commesso da “chiunque”.

Quanto al soggetto passivo, la norma presenta dei problemi interpretativi per le modalità con le quali è individuato.

Certamente vi rientrano l'imputato, il coimputato e l'imputato in reato connesso ex art. 12, lett. a) e lett. c), c.p.p., che rendano dichiarazioni sul fatto altrui, che possono essere «persona chiamata» davanti all'autorità giudiziaria e le cui dichiarazioni sono utilizzabili nel procedimento (Cass. VI n. 45626/2010). Allo stato non vi è, invece, giurisprudenza che consenta di risolvere il dubbio posto in dottrina, ovvero se il soggetto destinatario della condotta sia solo colui per il quale valga la “facoltà di non rispondere”, così strettamente e formalmente inteso, od anche i soggetti per i quali valgono diverse facoltà, simili ma indicate con altra formula, quali i soggetti per i quali valga il segreto professionale che “non possono essere obbligati a deporre” ex art. 200 c.p.p. oppure i prossimi congiunti dell'imputato che “non sono obbligati a deporre”. A parte la stretta interpretazione della “facoltà di non rispondere”, la ratio della disposizione come sopra riferita porta a restringere l'ambito della disposizione ai soggetti che rientrino nell'ambito degli artt. 210 e 197 bis c.p.p. (imputato e imputati in procedimento connesso).

Materialità

La legge indica quale ambito della condotta il procedimento penale genericamente inteso, quindi la norma riguarda anche le dichiarazioni da rendere nel corso delle indagini, pienamente utilizzabili comunque per rinvio a giudizio, giudizio abbreviato, misure cautelari e, in casi eccezionali, nel dibattimento.

Secondo l'opinione generale il reato in esame è reato di evento, ha carattere residuale rispetto ad altri più gravi reati ed è fattispecie a condotte multiple e alternative. Resta irrilevante l'evenienza che il silenzio o le affermazioni false della persona che ha facoltà di non rispondere abbiano effettivamente inciso sulla decisione adottata nel processo nel quale le dichiarazioni condizionate sono state rese (Cass. VI n. 39749/2011).

Consumazione e tentativo

In quanto reato di evento, è configurabile il tentativo quando è tenuta una idonea condotta di violenza o di minaccia o di offerta o promessa di denaro ma il soggetto passivo resista alla pressione materiale o morale (Cass. VI n. 6934/2012). Come nella ipotesi dell'art. 377, si è precisato che anche per la configurabilità del tentativo è necessario comunque che il destinatario della condotta sia stato chiamato a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria (Cass. VI n. 991/2019).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico. È prevista la citazione diretta a giudizio (art. 550, comma 2, c.p.p.).

Per esso:

a) è possibile disporre le intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è consentito; il fermo non è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Corbo, Il reato di intralcio alla giustizia commesso dal consulente del p.m., in Cass. pen., 2015, suppl. al n. 4, 72; Pinelli, Tra induzione e tentativo: l'art. 377-bis c.p., al vaglio della cassazione (Nota a Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 2010, n. 45626, Z.), in Cass. pen., 2011, 2141; Ramundo, La problematica identificazione del destinatario della condotta subornatrice ex art. 377 e 377-bis c.p. (Nota a Cass. pen., sez. VI, 26 giugno 2009, Chessa), in Giust. pen., 2012, II, 539; Romano, Il consulente tecnico del pubblico ministero non è perito, ma testimone: nella (ri)lettura delle sezioni unite il rito inquisitorio esce dalla porta, ma rientra dalla finestra (Nota a Cass. pen., sez. un., 25 settembre 2014, n. 51824, Guidi), in Cass. pen., 2015, 1028; Romano, Istigare un consulente tecnico del p.m. a predisporre una falsa consulenza costituisce reato? Alle sezioni unite vecchie certezze e nuovi dubbi (Nota a Cass. pen., sez. VI, ord. 14 marzo 2013, n. 12901), in Cass. pen., 2013, 1304; Sartarelli, Induzione al silenzio o al mendacio [aggiornamento-2009], in D.I.; Urbani, Sul tentativo di induzione a tacere o mentire ex art. 377-bis c.p. (Nota a Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2012, n. 5003, Daoui), in Dir. pen. e proc., 2012, 977; Valenza, Applicabilità del tentativo al reato di cui all'art. 377-bis e rapporti strutturali con la fattispecie di «intralcio alla giustizia» (Nota a Cass., sez. VI, ord. 12 luglio 2006, Lucchetta), in Cass. pen., 2007, 4548.

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