Codice Penale art. 471 - Uso abusivo di sigilli e strumenti veri.Uso abusivo di sigilli e strumenti veri. [I]. Chiunque, essendosi procurati i veri sigilli o i veri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ne fa uso a danno altrui, o a profitto di sé o di altri, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 309 euro. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoLa ratio della normaprevista dall’art. 471 è quella di impedire l'uso abusivo (cioè illegittimo) di sigilli o strumenti prodotti in modo assolutamente legittimo. Nei delitti contro la fede pubblica, infatti, il contrassegno è falso non perché non conforme al vero, ma perché esso è apposto da un soggetto sprovvisto di legittimazione: nel caso di specie, diversamente dalle ipotesi previste dagli articoli precedenti, il difetto di legittimazione non riguarda la formazione del mezzo per realizzare il contrassegno, perché il fatto presuppone sigilli o altri strumenti “veri” (De Martino, 321). Bene giuridicoCfr. sub artt. 467 Secondo un orientamento dottrinario si tratta di un'ipotesi di falso plurioffensivo perché la norma aggiunge alla previsione di uso del sigillo autentico, la destinazione della condotta «a danno altrui, o a profitto di sé o di altri». Per altra impostazione tale destinazione non individua un bene ulteriore, ma costituisce solo un modo di essere del fatto di reato. Il legislatore, una volta individuato il bene da tutelare, avrebbe selezionato una particolare modalità della lesione, che rimane circoscritta alla sola fede pubblica (De Martino, 322). SoggettiSoggetto attivo L'uso abusivo di sigilli e strumenti veri è un reato proprio, anche se la norma riferisce la condotta a chiunque. L'agente si individua per la caratteristica negativa di non avere il potere di usare in modo legittimo il sigillo o altro strumento (cfr. Marini, 674; Papa, 94; Fiandaca, Musco, 563; Antolisei, 149). È soggetto attivo, infatti, colui che se li è procurati e non chi li «usi irritualmente», avendone legittimamente la disponibilità. Ciò significa che il fatto può essere commesso solo da chi non sia legittimato né alla loro detenzione né al loro uso (Catelani, 134; Marini, 674). L'uso illegittimo da parte del pubblico ufficiale che abbia il titolo per utilizzarli per motivi del suo ufficio da un lato non integra il delitto ex art. 471, dall'altro non esclude la punibilità per aver commesso un'altra falsità documentale ovvero ad altro titolo quale, ad esempio, per abuso di ufficio. Elemento oggettivoOggetto materiale Oggetto materiale del reato sono i veri sigilli o i veri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione (per la nozione cfr. sub art. 467 e cfr. sub art. 468). Il sigillo o lo strumento, quindi, non sono oggetto della falsificazione, né la loro falsità costituisce presupposto del fatto di reato. Ciò che, infatti, assume rilevanza penale è il loro utilizzo illegittimo. Un orientamento dottrinario ritiene che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 471 solo i sigilli oggettivamente destinati ad un'attività pubblicistica di autenticazione o certificazione, mentre ne sono esclusi gli altri sigilli ex art. 468 comma 1. Per un'altra impostazione, invece, la norma include tutti i sigilli previsti dalle norme precedenti, oltre agli strumenti destinati all'attività pubblica di autenticazione o certificazione, e non solo quelli identificabili attraverso la qualificazione funzionale. La previsione dell'alternatività tra i «sigilli» e gli «altri strumenti», inoltre, consentirebbe di affermare che i sigilli possono essere sia quelli appartenenti agli enti pubblici sia quelli destinati oggettivamente alla pubblica funzione. In merito agli strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione la giurisprudenza ha chiarito che devono recare all'origine, nella stessa struttura e conformazione, l'indicazione della loro funzione. Quest'ultima che, pertanto, non può identificarsi con l'uso pratico operato di volta in volta (Cass. V, n. 8652/2008). Condotta La condotta consiste nel fare un uso illegittimo dei veri sigilli o dei veri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione volti ad imprimere un contrassegno, a danno altrui, o a profitto di sé o di altri (per la nozione di uso cfr. sub art. 468). Presupposto del reato è che l'autore del fatto sia entrato in possesso del sigillo o dello strumento veri: ciò può essere avvenuto in qualsiasi modo perché ai fini della consumazione non rileva se l'impossessamento si sia verificato in modo legittimo o illegittimo, a titolo oneroso o gratuito e se il possesso sia permanente o temporaneo. Per integrare il delitto occorre, inoltre, che l'agente lo usi abusivamente (cioè senza esserne legittimato) «a danno altrui, o a profitto di sé o di altri» (Crespi, Forti, Zuccalà, 1295). Il termine “abusivo” è impiegato, infatti, nella rubrica della disposizione. L'abuso deve consistere nell'aver apposto il contrassegno senza essere a ciò legittimato o fuori dai casi previsti dalla legge. Secondo la dottrina maggioritaria l'abusività costituisce un elemento normativo della fattispecie (c.d. «illiceità speciale»), che qualifica il reato come proprio (Marini, 674; Papa, 94; Fiandaca, Musco, 563; Antolisei, 149). Il danno ed il profitto non devono essere, necessariamente, patrimoniali (Marini, 679) e non occorre che si siano verificati (Manzini, 610). In merito la direzione della condotta a danno o a profitto proprio o altrui si ravvisano diversi orientamenti interpretativi. Secondo il primo, che attribuisce una valenza oggettiva al dato normativo, l'espressione individua una modalità di realizzazione della condotta, che restringe l'area dell'illecito (Manzini, 643). Per il secondo, invece, l'espressione «a danno altrui o a profitto di sé o di altri» ha la funzione di descrivere l'elemento soggettivo, e qualifica il reato a dolo specifico. Il falso grossolano Cfr. sub art. 470 Elemento psicologicoIl dolo Un orientamento dottrinale sostiene che il delitto è punito a titolo di dolo generico, poiché è sufficiente la coscienza e volontà di usare il sigillo o lo strumento indebitamente procuratosi senza che occorra dimostrare la volontà di utilizzare la cosa a danno di altri a profitto proprio o altrui (Catelani, 82; Nappi, 1989, 2; Manzini, 644). Secondo questo indirizzo il soggetto deve essere consapevole di agire indebitamente (per cui può assumere rilevanza ai sensi dell'art. 47 ultimo comma l'eventuale errore su legge diversa da quella penale circa le condizioni che legittimano l'uso del sigillo: Cristiani, 1957, 21) ed è configurabile il dolo eventuale in riferimento alle ipotesi caratterizzate in concreto dalla potenzialità di danno. Un'altra impostazione, invece, sostiene che con la formula «a danno altrui o a profitto di sé o di altri» il legislatore ha richiesto che il dolo specifico, (Marini, 679). L'uso del sigillo o dello strumento autentico deve, pertanto, essere sorretto dalla finalità di arrecare ad altri un danno o di procurare a sé o ad altri un vantaggio, di natura non necessariamente patrimoniale. Non è necessaria la loro verificazione, ma occorre provare l'intenzione ulteriore. Consumazione e tentativoConsumazione L'indirizzo prevalente ritiene che il reato si consuma quando si realizza un uso concreto e diretto, suscettivo di recare danno altrui o profitto a sé o ad altri. Non occorre che il danno si sia verificato o che il profitto sia stato conseguito, ma deve sussistere l'obiettiva possibilità del danno o del profitto, poiché non è sufficiente l'intenzione di danneggiare o di profittare (Manzini, 643). Un'altra impostazione dottrinaria interpreta la lettera della legge in modo conforme ai lavori preparatori e richiede il concreto verificarsi del danno o del profitto (Fiandaca, Musco, 564; Papa, 95), anche al fine di delimitare l'area del penalmente rilevante, altrimenti oltremodo ampia. Tentativo Sulla configurabilità del tentativo incide la questione relativa all'interpretazione della formula «a danno altrui o a profitto di sé o di altri». L'orientamento che non ritiene necessario, ai fini della consumazione del reato, l'effettivo verificarsi del danno o del profitto, afferma che il tentativo non sia ammissibile (cfr. Manzini, 643); l'impostazione che sostiene, al contrario, l'indispensabilità dell'effettivo verificarsi del danno o del profitto per integrare la fattispecie di cui all'art. 471, si schiera per la configurabilità del tentativo (Marini, 676, 679). Rapporti con altri reatiSostituzione di persona Cfr. sub art. 494 Concorso di reatiI delitti di falso documentale Sul problema del concorso materiale con i delitti di falsità in atti cfr. sub art. 469. CasisticaLa giurisprudenza ha stabilito che non integrano gli estremi della fattispecie di cui all'art. 471: a) la condotta di colui che utilizzi il timbro riproducente il nome e cognome di un professionista (nella specie ingegnere) nonché il numero dell'iscrizione al relativo albo su relazioni relative a lavori di manutenzione straordinaria, considerato che esso non è strumento di pubblica autenticazione o certificazione, non essendo predisposto da un ente pubblico a tali fini (Cass. V, n. 8652/2008); b) la condotta del medico il quale utilizzi il timbro ad inchiostro recante il nominativo ed il codice regionale di altro medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, su certificazioni mediche e prescrizioni, in quanto il suddetto timbro vale solo ad individuare la provenienza amministrativa di queste ultime e non la persona fisica del medico che le redige. Di esso, infatti, può avvalersi anche il sostituto temporaneo previa aggiunta del proprio timbro personale, la cui mancanza, peraltro, costituisce una irregolarità non rilevante sotto il profilo penale (Cass. II, n. 38333/2001). Profili processualiGli istituti Si tratta di reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica. Per l'uso abusivo di sigilli e strumenti veri: a) l'azione penale deve essere esercitata nelle forme della citazione diretta ai sensi dell'art. 550 c.p.p.; b) non sono consentiti il fermo e l'arresto in flagranza; c) non è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. L’interesse ad impugnare Cfr. sub art. 467. BibliografiaDe Martino, Uso abusivo di sigilli e strumenti veri, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, vol. X, Milano, 2013; v. anche subart. 467. |