Codice Penale art. 583 - Circostanze aggravanti 1 .

Maria Teresa Trapasso
aggiornato da Angelo Salerno

Circostanze aggravanti 1.

[I]. La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni [2802]:

1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo 2.

[II]. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva [2802]:

1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;

2) la perdita di un senso;

3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

[4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso [585, 586; 1151 c. nav.]  ]34.

 

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.); Trib. collegiale (secondo comma)

arresto: facoltativo

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Per ulteriori ipotesi di aumento di pena v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104 e art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107.

[2] Seguiva un n. 3 abrogato dall'art. 22 , comma 2,  l. 22 maggio 1978, n. 194.

[3] Numero abrogato dall'art. 12, comma 3, l. 19 agosto 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019.

[4] Seguiva un n. 5 abrogato dall'art. 22, comma 2 l. n. 194, cit.

Inquadramento

La qualificazione delle previsioni di cui all'art. 583 registra orientamenti diversi.

Secondo autorevole dottrina (Fiandaca-Musco, PS, 72; Antolisei, PS, 82 ss.), esse costituirebbero “fattispecie autonome di reato”; a supporto di tale tesi si osserva l’assenza del rapporto di “genere a specie” che ordinariamente caratterizza le circostanze rispetto al fatto base: alcune di esse infatti non costituiscono specificazione dell’elemento “malattia” (così “l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni”); la previsione all’art. 585 di ulteriori circostanze aggravanti applicabili al delitto di lesioni, così da configurare “circostanze aggravanti di circostanze aggravanti”; lo specifico nomen iuris – lesioni gravi o gravissime – che si utilizza per i reati (altro argomento, prima della riforma dell’art. 59, l’opportunità della qualificazione delle previsioni in esame quali elementi costitutivi ai fini della loro imputazione “colpevole”).

In senso contrario, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, per le quali esse costituirebbero, conformemente alla rubrica della norma, “circostanze aggravanti speciali” dell’art. 582, osservando tra l’altro che il problema dell’imputazione colpevole risulta oggi superato dalla previsione di cui all’art. 59,  in tema di circostanze; in secondo luogo, è stato valorizzato in tal senso il ridimensionamento delle applicazioni discutibili del giudizio di bilanciamento ex art. 69, tali cioè da comportare la soccombenza o equivalenza di lesioni gravi o gravissime rispetto ad eventuali attenuanti

Elemento psicologico

L'imputazione della circostanze di cui all'art. 583 è possibile, secondo quanto stabilito dall'art. 59, comma 2, solo se “conosciute, ignorate per colpa, ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il criterio di imputazione predetto ha ad oggetto sia le circostanze preesistenti e concomitanti, che quelle successive: per queste ultime, la “conoscenza” o la “colposa ignoranza” va intesa in termini di previsione o prevedibilità (Cass. VI, n. 12530/1999). Il richiamo alla “colpa”, di cui all'art. 59 cpv., è stato anch'esso inteso dalla giurisprudenza come prevedibilità in concreto, da accertarsi avuto riguardo alla qualità del mezzo, alla direzione, violenza o alla reiterazione dei colpi (Cass. V, n. 17958/2023; Cass. V, n. 18490/2012); parte della dottrina, invece, ritiene che debba accertarsi in via astratta, avuto cioè riguardo ad un minimo di diligenza (Dolcini-Gatta, 2976).

Consumazione e tentativo

Consumazione

 L’individuazione del momento consumativo, stante la qualificazione delle circostanze in esame come tali invece che come fattispecie autonome, viene fatta coincidere con l’insorgere della malattia (ad esempio, nel caso di lesioni gravi, ex art. 583, comma 1, n. 1, la consumazione avviene al compimento del primo giorno, non del quarantesimo, Borgogno, 94).  

Tentativo

Anche la configurabilità del tentativo risente della qualificazione delle previsioni di cui all’art. 583 quali circostanze ovvero fattispecie autonome: mentre la qualificazione come delitti a sé stanti non porrebbe problemi di compatibilità con il tentativo (Mantovani, 141), la configurabilità del tentativo con riguardo alle circostanze è meno agevole, in quanto condizionata dall’ammissibilità del tentativo di delitto circostanziato(Fiandaca-Musco, PG, 479).

Concorso di circostanze

Nel caso di verificazione di più eventi tra quelli descritti dall'art. 583, in sede dottrinale si opera una distinzione a seconda che essi siano previsti o meno nello stesso numero dello stesso comma: mentre nella prima ipotesi si esclude il concorso di circostanze; nella seconda eventualità (eventi lesivi previsti in commi e numeri diversi), si configura il concorso di circostanze, sottoposto alla disciplina di cui all'art. 63, comma 4 (Dolcini-Gatta, 2977).

Lesioni gravi

La lesione personale è grave:

a) ai sensi del n. 1) del comma 1 dell'art. 583, se dal fatto deriva una malattia che mette in “pericolo la vita” della persona offesa ovvero una malattia o una incapacità di “attendere alle ordinarie occupazioni” per un tempo superiore ai quaranta giorni.

Per “pericolo di vita” si intende non l'astratta probabilità, ma un reale pericolo di morte, da valutarsi in concreto, avuto riguardo ad una tale gravità della situazione patologica da rendere probabile ed imminente il decesso, secondo la migliore scienza ed esperienza medica (Mantovani, 142; in giurisprudenzaCass. V, n. 2816/ 2013, Cass. V, n. 31134/ 2007).

Per incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, non deve intendersi la “capacità di lavoro” (diversamente, sarebbero esclusi vecchi, bambini, ragazzi, Fiandaca-Musco, PS, 70), ma l'impossibilità da parte del soggetto di svolgere le attività a lui consuete (Mantovani, 142). Si distingue l'impossibilità “parziale” — limitata a solo talune della occupazioni — da quella “relativa” — richiedente cioè uno sforzo insolito (Mantovani, 142; in giurisprudenza Cass. V, n. 9229/1981). Il concetto di "attività lavorativa ordinaria" non coincide necessariamente con quello di "capacità di attendere alle proprie occupazioni", con la conseguenza che ben può ritenersi sussistente la predetta aggravante nell'ipotesi in cui la vittima delle lesioni, pur essendo ritenuta abile al lavoro, rimanga tuttavia impossibilitata per un maggior tempo ad esplicare la sua attività ordinaria (Cass. V, n. 11727/2020).

- ai sensi del n. 2) del comma 1 dell'art. 583, se il fatto produce un “indebolimento permanente” di un senso o di un organo.

Per senso si intende “il complesso di elementi e tessuti anatomici che rendono possibili le percezioni del mondo esterno (vista, udito, olfatto, tatto, gusto, D'Andria, 245); per organo, la parte o l'insieme di parti del corpo umano che servono ad una determinata funzione (Antolisei, PS, 90), inerente a qualche settore della vita vegetativa o di relazione (Dolcini-Gatta, 2979).

L'indebolimento consiste in “una menomazione quantitativa o qualitativa di una funzione sensoriale o organica, tale per cui essa venga ridotta nel suo esercizio rispetto allo stato anteriore (Dolcini-Gatta, 2979).

L'indebolimento ricorre “tutte le volte in cui il senso o l'organo risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, anche in misura minima, purché apprezzabile” (Cass. V, n. 4177/ 2014).

Invero, la c.d. apprezzabilità della menomazione, cioè il grado dell'indebolimento è oggetto di discordanti valutazioni circa la sua rilevanza ai fini dell'integrazione dell'aggravante (D'Andria, 246).

Secondo la giurisprudenza prevalente, è infatti sufficiente che si sia verificata la debilitazione funzionale del senso o dell'organo rispetto allo stato anteriore, senza che assuma rilevanza il grado dell'indebolimento Cass. V, n. 34012/2013; Cass. IV, n. 4049/1988). In sede interpretativa (Dolcini-Gatta, 2981) si è operata una distinzione tra la qualificazione dell'indebolimento come permanente (cioè si durata indefinita) e l'imprevedibilità nel tempo della guarigione (: la permanenza va dedotta dalla qualità ed entità della lesione). In sede di legittimità si è osservato come ricorra l'indebolimento permanente di un organo qualora, in conseguenza del fatto lesivo, esso risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, che sia, pertanto, ridotta rispetto allo stato anteriore, a nulla rilevando il fatto del minore o maggiore grado di menomazione. (Cass.VI, n. 7271/2020).

Non rientrano tra le lesioni gravi, che determinano l'indebolimento permanente di un senso o di un organo, quelle che abbiano cagionato un indebolimento della sola funzione estetica della cute (Cass. V, n. 8950/2022; fattispecie relativa cicatrice in regione lombare, in cui la Corte ha escluso la sussistenza dell'aggravante, evidenziando che la cute può essere considerata "organo" solo relativamente alla funzione fisiologica di difesa, termoregolatoria e secretoria, svolta e che la cicatrice, considerata dal legislatore lesione gravissima, è solo quella che interessa il viso).

 

Nell'ipotesi di eliminazione dell'indebolimento tramite intervento chirurgico, l'aggravante è condizionata dal ricorso o meno ad esso da parte del soggetto passivo: l'aggravante non si configura nel caso in cui al momento del giudizio risulta che la persona offesa si è sottoposta volontariamente ad intervento che ha eliminato l'indebolimento (Cass. V, n. 13267/1986). Laddove il ricorso all'intervento non vi sia stato, l'aggravante risulta integrata, posto che il soggetto non è tenuto a sottoporsi ad un intervento ed alle sofferenze che esso comporta (in dottrina Dolcini-Gatta, 2982).

Nel caso invece di ricorso a protesi, l'aggravante non viene esclusa (Cass. II, n. 32586/2010); in particolare, quanto all'apparato dentario (considerato organo in quanto assolvente alla funzione della masticazione e fonazione, Cass. V, n. 3301/1983), si è osservato come l'aggravante non si esclusa dal fatto che “l'organo della masticazione possa riacquistare una completa efficienza attraverso l'applicazione di una protesi, perché la permanenza dell'indebolimento deve essere riferita non alla possibilità di un uso di mezzi artificiali, ma alla normale funzione dell'organo” (Cass. I, n. 989/1985).

Relativamente all'indebolimento della funzione uditiva, si è riconosciuta l'aggravante nel caso di trauma sonoro (Cass. I, n. 7331/1979; in dottrina Dolcini-Gatta, 2982). Quanto alla vista, conformemente all'interpretazione concernente gli organi gemellari (es. rene o polmoni), viene ritenuta integrata l'aggravante nel caso di perdita di un occhio (Cass. V, n. 4130/1994). Con riguardo all'organo della prensione, si è riconosciuta l'aggravante nella perdita di un dito (Cass. IV, n. 3767/1985; Cass. IV, n. 8395/1983).

Mentre, a proposito della deambulazione, si è ravvisata l'aggravante nella perdita di un alluce e nella limitazione della flessibilità dell'arto (Cass, I, n. 3762/1973).

L'accertamento della sussistenza dell'indebolimento permanente costituisce giudizio di fatto, che, se sorretto da perizia medico legale o comunque da congrua motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. V, n. 3301/1983)

L'aggravante dell'indebolimento permanente non ha carattere progressivo rispetto a quella della durata della malattia, potendo dalla lesione derivare una malattia per un tempo inferiore ai quaranta giorni, che comunque cagiona l'indebolimento permanente: così la sentenza che ritiene sussistente l'una, non contestata, in luogo dell'altra, che invece sia stata contestata, è viziata da mancanza di correlazione tra accusa e sentenza (Cass. V, n. 1067/1996); difatti, come più di recente chiarito dalla Corte di Cassazione,  l'aggravante della durata della malattia o dell'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni e quella dell'indebolimento permanente di un organo, sebbene equiparate quoad poenam, sono circostanze distinte e autonome (Cass. V, n. 5988/2023).

Lesioni gravissime

Per malattia insanabile si intende un processo patologico continuamente in atto (che si contrappone alla “staticità” dell'indebolimento permanente quale nuovo assetto organico a carattere statico D'Andria, 253), cioè destinato a durare senza interruzione (Fiandaca-Musco, PS, 70); è probabilmente insanabile la malattia in cui la guarigione sia rimessa ad elementi fortuiti ovvero sia possibile solo attraverso il ricorso ad intervento chirurgico o trattamento terapeutico, alla cui sottoposizione la persona offesa non può dirsi obbligato.

Tale è viene ritenuta anche l'alterazione psicopatica, ove causalmente ricollegabile alla condotta (a nulla rilevando, come ha osservato la S.C., eventuali preesistenti stati patologici della vittima, allorché sia accertato che il trauma ad esso inferto abbia fatto emergere la malattia, Cass. V, n. 5087/1987).

In quest'ambito viene ricondotta anche l'infezione da Hiv. A proposito dell'esposizione al virus (senza che vi fosse stata contrazione dell'infezione), la giurisprudenza ha fatto registrate due qualificazioni diverse: tentativo di omicidio (Cass. I, n. 9541/2000, sputo di saliva e sangue da parte di sieropositivo che colpiva la persona offesa nella bocca e nell'occhio) e tentativo di lesioni gravissime (puntuta di siringa infetta da parte di sieropositivi (Trib. Roma, 13 novembre 1992, Cesario; in dottrina Dolcini-Gatta, 2990).

Nel caso invece di contrazione dell'infezione, la qualificazione è stata nei termini delle “lesioni gravissime” (frequenti le pronunce nei casi di rapporti sessuali non protetti, Cass. V, n. 8351/2012).

La morte della persona infettata è stata qualificata in sede di legittimità come omicidio colposo (con colpa cosciente, Cass. I, n. 30425/ 2001; mentre in primo grado la vicenda era stata ricondotta all'omicidio con dolo eventuale).

Perdita di un arto o dell'uso di un organo

Per arto si intende, quanto all'arto inferiore, l'insieme articolato del piede, della gamba, della coscia; con riguardo all' arto superiore, l'insieme articolato della mano, dell'avambraccio, del braccio (Galiani, 160).

La perdita va intesa in senso anatomico (mutilazione) e funzionale. Il ricorso alla protesi non esclude l'aggravante (Dolcini-Gatta, 2984).

La perdita dell'uso di un organo ricorre nei casi in cui la funzione cui l'organo presiede è del tutto abolita (Cass. I, n. 4130/1994).

Quanto alla perdita della milza, si è osservato come la possibilità che le funzioni da essa assolte vengano vicariate da altro organi, ne debba determinare la qualificabilità come “lesione grave” (quale indebolimento permanente del sistema reticolo-endoteliale ovvero gravissima per malattia insanabile solo nel caso di residui perturbamenti, Galiani, 160). La giurisprudenza di legittimità è tuttavia pervenuta a conclusioni opposte, ritenendo che configuri l'aggravante (Cass. V, n. 47099/2013), atteso che le numerose funzioni da essa assolte non possono ritenersi supplite, nella loro entità globale, da singole attività svolte separatamente da organi diversi (Cass. V, n. 34001/2024).

Nel caso di difficoltà di favella, per la sua integrazione si richiede non la compromissione della possibilità di comunicazione del proprio pensiero, quanto piuttosto una difficoltà permanente e grave, oltre che oggettivamente apprezzabile (Cass. I, n. 8085/1986).

Perdita della capacità a procreare. Essa deve intendersi per l'uomo ogni impedimento al concepimento, per la donna, al concepimento, alla gestazione ed al parto (Dolcini-Gatta, 2985).

Quanto alla sterilizzazione volontaria, secondo la S.C. l'abrogazione dell'art. 552 (art. 22 l. n. 194/1978) ne ha fatto venir meno l'illiceità penale (Cass. V, n. 7425/1987).

Concorde, nel senso dell'irrilevanza penale, parte della dottrina (sul tema, Dolcini-Gatta, 2986). In senso contrario altra parte della dottrina, che esclude la sussistenza di una relazione di specialità tra l'art. 552 e 583, comma 2, n. 3, e afferma l'indisponibilità tramite consenso, ex art. 50 della sterilizzazione volontaria, quale diminuzione permanente dell'integrità fisica, oltre che lesiva del buon costume (Mantovani, 846).

Deformazione o sfregio permanente

La previsione costituisce ora autonomo reato (si v. l'art. 583-quinquies, introdotto dall'art. 12, l. n. 69/2019), cui pertanto si rinvia, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha di recente ribadito la sussistenza della continuità normativa rispetto alle fattispecie di lesioni aggravante della “deformazione” o dello “sfregio permanente al viso”, ai sensi dell'abrogata circostanze speciale (Cass. V, n. 6401/2024).

Profili processuali

La competenza è del Tribunale (monocratico, per i casi di lesione grave: comma 1; collegiale, per i casi di lesione gravissima: comma 2).

La procedibilità è d'ufficio; l'arresto, facoltativo; sono consentiti sia il fermo, sia la custodia cautelare, sia le altre misure cautelari.

Ai fini della determinazione della pena, in tema di lesioni personali aggravate ai sensi dell'art. 583, il giudice può valutare la gravità della lesione e le sue caratteristiche come elemento qualificatore della "gravità del danno" cagionato ai sensi dell'art. 133, n. 2, in quanto, mentre tale gravità implica una valutazione globale delle ripercussioni che l'atto lesivo ha avuto nella sfera soggettiva della persona offesa, la gravità della lesione che integra la circostanza aggravante di cui all'art. 583 si riferisce esclusivamente alla durata della malattia, con la conseguenza che non è configurabile alcuna lesione del principio del "ne bis in idem".

Il d.lgs. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia (art. 1, comma 1, lett. c) ha escluso dall'ambito applicativo dell'art. 131 bis c.p., il reato di cui all'art. 583, comma 2. 

Di recente, è stato precisato in giurisprudenza che non viola il divieto di "reformatio in peius" la sentenza con la quale la Corte di cassazione, a seguito di impugnazione da parte del solo imputato, dia al fatto una definizione giuridica più grave (nella specie, da lesione grave a lesione gravissima), da cui consegua una modifica sfavorevole dei termini di prescrizione, in quanto il predetto divieto impedisce soltanto un trattamento sanzionatorio deteriore per il condannato (Cass. V, n. 41534/2024). 

Bibliografia

Basile, Reato autonomo o circostanza? Punti feri e questioni ancora aperte a dieci anni dall'intervento delle Sezioni Unite su criteri di distinzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 1564; R.Borgogno, Il delitto di lesione personale, in F. Ramacci (a cura di), I delitti di percosse e lesioni, Torino, 1998; M. L. D'Andria, Art. 583, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, Milano, 2010; Galiani, voce Lesioni personali e percosse, in Enc. dir., XXIV, 1974, Milano, 140; Dolcini-Gatta, Art. 583, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Gatta, II, Milano, 2015;Mantovani, Problemi giuridici della sterilizzazione, in Riv. it. med. leg., 1983, 840. V. anche sub art. 582.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario