Codice Penale art. 612 bis - Atti persecutori 1 2

Giovanna Verga

Atti persecutori 1 2

[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita3.

[II]. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici 4.

[III]. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

[IV]. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio5.

 

competenza: Trib. monocratico

arresto: obbligatorio

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: a querela; d'ufficio (quarto comma quinto periodo)

[1] Articolo inserito dall'art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modif., in l. 23 aprile 2009, n. 38. La pena prevista dal presente articolo, ai sensi dell'art. 8 del d.l. n. 11 del 2009, cit., è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi dello stesso articolo 8. Lo stesso art. 8, prevede che si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'articolo 612-bis quando il fatto è commesso da soggetto ammonito.

[2]  L'art. 85, comma 2-ter d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come da ultimo modificato dall'art. 5-bis d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199, dispone che: «Per i delitti previsti dagli articoli 609-bis612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto». La Corte cost. con sent.  24 luglio 2025, n. 123,  ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 2 ter del citato art. 85  d.lgs. n. 150, cit., «nella parte in cui prevede che si continua a procedere d'ufficio per il delitto previsto dall'art. 612-bis del codice penale connesso con il delitto di cui all'art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen. commesso, prima della data di entrata in vigore del medesimo d.lgs. n. 31 del 2024, su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, e nella parte in cui non prevede che, relativamente al suddetto delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen., i termini previsti dall'art. 85, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 150 del 2022 decorrano dalla data della pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale».

[3] Le parole «da un anno a sei anni e sei mesi» sono state sostituite alle parole «da sei mesi a cinque anni» dall'art. 9, comma 3, l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019. Precedentemente l'art. 1-bis d.l. 1° luglio 2013 n. 78, conv. con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, aveva sostituito le parole  «a cinque anni» alle parole  «a quattro anni».

[4] Comma sostituito dall'art. 1 d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif., in l. 15 ottobre 2013, n. 119. Il testo del comma era il seguente: «La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».

[5] L'art. 1 d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv, con, modif., in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha inserito, in sede di conversione, le parole: «La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma».

Inquadramento

L'art. 612-bis è stato introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, recante «misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori» convertito, con modificazioni, nella l. 23 aprile 2009, n. 38, con la finalità dichiarata di contrastare il fenomeno dello stalking, negli ultimi anni in preoccupante aumento e sempre più spesso all'attenzione delle cronache giornalistiche e dei mass-media (Cadoppi, 19, 49; Bricchetti-Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, 62).

La l. 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), in vigore dal 9 agosto 2019, ha aggravato il trattamento sanzionatorio. In caso di stalking  si rischia ora una pena detentiva da un anno a sei anni e sei mesi anziché da sei mesi a cinque anni.

Con particolare riferimento all'inasprimento sanzionatorio la Corte di Cassazione ha chiarito che, trattandosi di modifica in peius, sopravvenuta alla realizzazione del reato, essa non incide sul computo dei termini di durata della custodia cautelare in carcere (Cass. V, n. 7053/2020).

La parola stalking deriva dal lessico venatorio inglese dove lo stalker è colui che, a caccia di una preda, si apposta o la segue ossessivamente, estrapolato dal linguaggio tecnico della caccia il termine si può tradurre con la locuzione fare la posta o braccare, tanto che negli ultimi anni ha assunto il significato di assillare molestare disturbare perseguitare. Si parla di stalking con riferimento alle condotte del fan innamorato della star del cinema o dell'ex fidanzato che non riesce a dimenticare la ex ragazza e che sono spinti dalla loro ossessione a perseguitare quello che per loro è un oggetto del desiderio: lo seguono, si insinuano nella sua vita privata con telefonate o altri mezzi (sms, e-mail) fino a minacciarlo e a violarne il domicilio (Aramini, 495 ss.). A volte poi si realizza una vera e propria escalation persecutoria e lo stalker può diventare violento o pericoloso per la vittima.

La fattispecie è posta a tutela della tranquillità individuale e, in relazione all'evento del costringimento della vittima a mutare le proprie abitudini di vita, anche della libera autodeterminazione in quest'ottica si giustifica la collocazione sistematica della nuova norma nella sezione dei beni contro la libertà morale e a ridosso della norma sulla minaccia (art. 612) il cui bene giuridico è ravvisato proprio nella tranquillità psichica della vittima. Si profila così un rapporto di gravità a scalare rispetto al medesimo bene giuridico tra la contravvenzione di molestie (art. 660), il delitto di minaccia (art. 612) e il delitto di atti persecutori; rapporto di gravità scalare che si riflette sulle diverse sanzioni predisposte per ognuna di queste tre fattispecie.

Dal punto di vista criminologico si ritiene che lo stalker sia per lo più persona sofferente dal punto di vista psicologico e psichico; si tratta cioè di un individuo ossessionato dall'oggetto del suo desiderio e che in genere non vuole fare del male, almeno inizialmente, al bersaglio delle sue molestie. Proprio per questo la normativa in argomento, oltre ad aver introdotto questa nuova figura di reato, ha previsto l'ammonimento, una sorta di rimprovero rivolto al molestatore affinché desista dal tenere una siffatta condotta fastidiosa: in sostanza il legislatore ha inteso predisporre una serie di misure graduali che accompagnano l'aggravarsi delle condotte dello stalker, cercando di spezzare l'escalation senza dover fare ricorso allo strumento penale, quando ancora le molestie sono ad uno stadio non troppo avanzato

Soggetto attivo

Il reato di cui all'art. 612-bis può essere commesso da chiunque: si tratta, pertanto, di un reato comune.

Il comma 2 prevede una circostanza aggravante, ad efficacia comune. In particolare, il testo originario della norma prevedeva l'aumento della pena (fino a 1/3) qualora il fatto fosse commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da un soggetto che in passato era stato legato alla persona offesa da una relazione affettiva. Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, nel testo modificato dalla legge di conversione l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha esteso l'applicazione della circostanza aggravante sia ai fatti commessi dal coniuge separato soltanto di fatto sia ai fatti commessi in costanza del rapporto di coniugio o affettivo

Soggetto passivo

Soggetto passivo del delitto può essere chiunque: dunque, si tratta di reato a vittima (apparentemente) fungibile, sebbene spesso si tratti di un soggetto scelto dall'autore del reato per pregresse relazioni.

Il comma 3 prevede però che la pena sia aumentata fino alla metà qualora il fatto sia commesso ai danni di un minore, di una donna in stato di gravidanza, o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104.

Materialità

 

Condotta

La condotta tipica consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi (art. 612) o molesti (art. 660) tali da determinare nella vittima “un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

 Gli atti che costituiscono lo stalking sono perlopiù comportamenti solitamente accettati sul piano sociale e considerati normali ma che nel caso di specie si caratterizzano per insistenza ed invadenza nel tempo, causando effetti psicologici sulla vittima, oltre ad esporre quest'ultima al rischio di violenza. Così gli atti tipici dello stalker possono identificarsi: nell'invio ripetuto di regali, fiori, telefonate assillanti o solo squilli, posta assillante e disturbante (con ripetuti inviii di e-mail, Sms) negli appostamenti, nei frequenti incontri (apparentemente causali mai in realtà voluti e ricercati) sul luogo di lavoro della vittima e nelle vicinanze di esso o nei pressi dell'abitazione, nell'osservazione della vittima ecc. E se è vero che nella maggior parte dei casi lo stalking non è una persona violenta, può comunque accadere che il medesimo faccia ricorso alle minacce esplicite o ad atti di violenza a cose o persone (ad esempio il compimento di atti vandalici su beni di proprietà della vittima, quali l'automobile (Cass. V, n. 8832/2011).

La prova del grave e perdurante stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante, ovvero aggravino una preesistente situazione di disagio psichico della persona offesa (Cass. V, n. 7559/2022).

Rientra nella nozione di molestia quale elemento costitutivo del reato, qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Cass. V, n. 1753/2022: la Cassazione ha confermato la sentenza che aveva ritenuto sussistente il reato di atti persecutori nelle condotte reiterate di inoltro alla persona offesa di "post" dal contenuto molesto o palesemente minaccioso, nell'appostamento effettuato nei pressi della dimora dei suoi genitori e nella grave aggressione fisica perpetrata in loro danno, tali da determinare nella stessa un perdurante e grave stato d'ansia).

Integra il delitto di atti persecutori la condotta di chi rivolga alla vittima ingiurie quando, per la loro consistenza, ripetitività e incidenza, siano tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito di cui all'art. 612-bis c.p., uno degli eventi ivi alternativamente previsti. (Cass. V, n. 1172/2021).

Le condotte moleste possono essere dirette verso soggetti che siano legati alla vittima da un rapporto qualificato di vicinanza, da intendersi non in senso formale, ma come idoneità della relazione interpersonale, secondo l' id quod plerumque accidit, a giustificare il verificarsi dell'evento di danno anche nei riguardi della persona offesa (Cass. V, n. 43384/2023).

Il delitto di atti persecutori è integrato anche dalla condotta di chi cagiona lesioni personali volontarie a danno della persona offesa, trattandosi di una modalità di consumazione del reato che rientra nella nozione di molestia, in quanto concretizza un'indebita ingerenza o interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio e ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Cass. V, n. 15734/2023).

Costituiscono molestie, elemento costitutivo del reato, le azioni reiteratamente promosse in sede civile (nella specie, ventitré in dieci anni), in base ad un'unica ragione contrattuale, da un asserito creditore che si era precostituito titoli esecutivi fondati su atti da lui falsificati e si era avvalso, quindi, di fatti consapevolmente inventati in funzione dell'unilaterale e ingiustificata modifica aggravativa della posizione del debitore, realizzata con abuso del processo, atteso che la falsificazione dei titoli e la reiterazione dell'azione giudiziaria risulta causativa di uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis (Cass. V, n. 17171/2023).

Rientrano nella nozione di molestie anche le condotte che, pur non essendo direttamente rivolte alla persona offesa, comportino subdole interferenze nella sua vita privata (Cass. V, n. 25248/2022: fattispecie in cui l'imputato aveva distribuito, all'interno dei bagni di più autogrill, volantini contenenti offerte sessuali falsamente provenienti dalla vittima con indicazione del suo numero telefonico e del suo indirizzo, da cui erano derivate richieste alla stessa di prestazioni sessuali da parte di sconosciuti).

Segue. L’evento

La norma individua tre tipi alternativi di evento che devono essere determinati dal comportamento criminoso tenuto dall'agente e in mancanza dei quali non avremmo il diritto di atti persecutori ma soltanto plurimi reati di minaccia o molestia.

Il delitto è dunque costruito secondo lo schema del reato di evento (Cass. n. 9222/2015) che si caratterizza per la produzione:

- di un evento di «danno» consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita oppure in un perdurante e grave stato di ansia o di paura;

- alternativamente, di un evento di «pericolo», consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva..

Si tratta di reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Cass. III, n. 23485/2014; Cass. III, n. 9222/2015).

Alterazione delle abitudini di vita e perdurante e grave stato di ansia o di paura

La giurisprudenza (Cass. V, n. 24021/2014) ha affermato che, quanto al cambiamento delle abitudini di vita, ciò che rileva non è la valutazione quantitativa, ad esempio in termini orari, di tale variazione, ma il significato e le conseguenze emotive di una condotta alla quale la vittima sente di essere stata costretta, sottolineando che “il fatto poi che lo stalking sia reato di evento e non di pura condotta nulla ha a che vedere con il fatto che, nella maggior parte dei casi, la prova debba essere dedotta dalle parole della stessa vittima. Invero, è principio elementare quello in base al quale un fatto non va confuso con la sua prova. D'altra parte, non pochi sono i delitti con riferimento ai quali, in genere, l'unica prova consiste nelle dichiarazioni della persona offesa (si pensi, ad esempio, a tutti i reati a sfondo sessuale). Ciò che dunque rileva è la attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto”.  Si è poi osservato che l'alterazione o il cambiamento delle abitudini di vita, che costituisce uno dei possibili eventi alternativi contemplati dalla fattispecie criminosa di cui all'art. 612-bis, non è integrato dalla percezione di transitori disagi e fastidi nelle occupazioni di vita della persona offesa, ma deve consistere in una costrizione qualitativamente apprezzabile delle sue abitudini quotidiane (Cass. V, n. 1541/2021).

L'evento tipico della alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa può essere anche transitorio, purché non meramente occasionale (Cass. V, n. 17552/2021: fattispecie in cui la Cassazione ha ritenuto configurabile il reato in un caso in cui la vittima era stata costretta a trasferirsi per alcuni giorni nell'abitazione di un amico, per il timore ingeneratole dal comportamento intimidatorio dell'imputato, che le aveva incendiato l'autovettura).

  Secondo i primi commentatori, il “perdurante e grave stato di ansia o di paura” doveva essere inteso come un vero e proprio stato patologico, accertabile nel processo per mezzo di consulenze tecniche (; Bricchetti, Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, 58).

  La giurisprudenza di legittimità si è invece discostata da tale orientamento ritenendo integrato l'evento anche in assenza di prova della causazione di una patologia nella vittima Ha infatti affermato che la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Cass. V, n. 8832/2011; Cass. V, n. 24135/2012; Cass. VI, n. 50746/2014; Cass. VI, n. 20038/2014).

La stessa Corte costituzionale (Corte cost., n. 172/2014), nel rigettare una questione di legittimità costituzionale per presunta indeterminatezza della fattispecie ha affermato che “quanto al «perdurante e grave stato di ansia e di paura» e al «fondato timore per l'incolumità», trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Ha altresì affermato, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. L'aggettivazione, inoltre, in termini di «grave e perdurante» stato di ansia o di paura e di «fondato» timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima”.

La giurisprudenza ha poi precisato che l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa (Cass. VI, n. 8050/2021: la Cassazione ha ritenuto che fossero state legittimamente valutate non solo le minacce o molestie rivolte alla persona offesa dall'imputato, dopo l'interruzione di una relazione extraconiugale, ma anche le minacce e le denunce calunniose proposte nei confronti del marito e del padre della persona offesa, in quanto si inserivano nell'unitaria condotta persecutoria); l'evento tipico del "perdurante e grave stato di ansia o di paura", che consiste in un profondo turbamento con effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, non può risolversi in una sensazione di mero fastidio, irritazione o insofferenza per le condotte minatorie o moleste subìte (Cass. V, n. 2555/2021).

Fondato timore per l'incolumità propria di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva

In relazione al “fondato timore per l’incolumità propria di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva”, non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ingenerato nella vittima dalla condotta dell’agente, ben potendo il giudice fare ricorso alle massime di esperienza.

Elemento soggettivo

Il delitto di atti persecutori, avente natura giuridica di reato abituale di evento, è punibile a titolo di dolo generico, integrato dalla volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma che non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Cass. V, n. 28682/2020).

La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita (Cass. V, n. 42643/2021).

Circostanze aggravanti

 

Circostanze aggravanti speciali

Il comma 2 dell'art. 612-bis prevede una circostanza aggravante ad efficacia comune. In particolare, il testo originario della norma prevedeva l'aumento della pena (fino a 1/3) qualora il fatto fosse commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da un soggetto che in passato è stato legato alla persona offesa da una relazione affettiva; il d.l. n. 93/2013, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 119/2013, ha esteso l'applicazione della circostanza aggravante sia ai fatti commessi dal coniuge separato soltanto di fatto, sia ai fatti commessi in costanza del rapporto di coniugio o affettivo. Detto decreto ha anche introdotto una nuova previsione aggravatrice al comma 2 della norma, che considera il fatto commesso attraverso strumenti informatici o telematici (come nel frequente caso in cui il delitto sia commesso attraverso l'invio di sms, e-mail, diffusione di video o immagini attraverso internet).

  Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 2, la "relazione affettiva" tra autore del reato e persona offesa, pur se non intesa necessariamente soltanto come "stabile condivisione della vita comune", postula quantomeno la sussistenza, da verificarsi in concreto, di un legame connotato da un rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione, costituendo l'abuso o l'approfittamento di tale legame il fondamento della ratio di aggravamento della disposizione in esame (Cass. V, n. 21641/2023).

Il comma 3 prevede che la pena sia aumentata fino alla metà (si tratta, pertanto, di circostanza ad effetto speciale) qualora il fatto sia commesso ai danni di unminore, di una donna in stato di gravidanza, o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, l. n. 104/1992, ovvero con l'uso di armi o da persona travisata.

Secondo la giurisprudenza, è legittima la contestazione "in fatto" dell'aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 3, relativa all'aver diretto gli atti persecutori in danno di un minore, non trattandosi di aggravante a contenuto valutativo, purché nell'imputazione siano chiaramente evidenziati i comportamenti dell'agente che hanno coinvolto il minore nella campagna persecutoria e sono stati commessi in suo danno (Cass. V, n. 28668/2022).

Ricorre l'aggravante dell'uso di arma anche nel caso di una pistola scacciacani, in quanto qualsiasi oggetto che abbia, all'apparenza, le caratteristiche intrinseche di un'arma può provocare nel soggetto passivo un effetto intimidatorio più intenso (Cass. V, n. 12757/2023).

Infine in base al disposto dell'art. 8 d.l. n. 11/ 2009, come convertito, la pena è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito.

Ai fini dell'applicabilità della circostanza aggravante dell'essere stato commesso il fatto da un soggetto già ammonito dal questore, non occorre, anche per i fatti commessi prima della modifica dell'art. 8, d.l. n. 11/ 2009, intervenuta con l. n. 168/2023, che vi sia coincidenza tra la persona offesa e la vittima delle condotte che avevano dato origine all'ammonimento (Cass. V, n. 9395/2025).

Circostanze aggravanti comuni

L'aggravante del fatto commesso in presenza o in danno di un minore di cui all'art. 61, comma 1, n. 11-quinquies c.p. non è applicabile al reato di atti persecutori, sia in quanto prevista solo per i delitti non colposi contro la vita e l'incolumità personale e contro la libertà personale, tra i quali non rientra il reato di cui all'art. 612-bis, sia per l'esistenza della specifica circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 612-bis, comma 3, che richiede non già la sola presenza, ma che la condotta sia rivolta a danno del minore (Cass. V, n. 40301/2024); nondimeno, il minore che ha assistito al fatto delittuoso riveste pur sempre la qualifica di persona offesa e, come tale, è legittimato alla costituzione di parte civile ed all'impugnazione (Cass. V, n. 74/2021).

Circostanze attenuanti comuni

L'attenuante della provocazione (art. 62, n. 1, c.p.)  è incompatibile con il delitto di atti persecutori, il quale è un reato abituale che si compone di una pluralità di condotte produttive di un unico evento, in quanto l'accertamento della sussistenza della diminuente della provocazione imporrebbe una valutazione parcellizzata dei singoli atti nei quali si è realizzata la condotta, non compatibile con la natura unitaria del reato abituale (Cass. V, n. 14417/2024).

La giurisprudenza ha ritenuto legittimo il diniego, all'imputato di atti persecutori, delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.) motivato dall'essere la condotta, anche se dettata da motivi di gelosia, mirata a colpire la vittima nella sua identità di genere e/o a causa dell'orientamento sessuale, attesa la particolare gravità delle offese discriminatorie o denigratorie di tale identità (Cass. V, n. 30545/2021).

L'ammonimento del questore

L'art. 8 d.l. n. 11/2009 convertito nella l. n. 38/2009 prevede che “ fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'art. 612-bis, introdotto dall'art. 7, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.

Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

La pena per il delitto di cui all'art. 612-bis è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo.

Si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'art. 612-bis quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.

L'ammonimento del questore non costituisce condizione di procedibilità del reato, ma è atto amministrativo integrante uno stato del destinatario che rende il reato procedibile d'ufficio, sicché, a seguito della modifica apportata dall'art. 1, comma 3, l. n. 168/2023 al comma 4 del citato art. 8, che ha esteso la procedibilità di ufficio al reato commesso da soggetto già ammonito nei confronti di una persona diversa dalla vittima originaria, deve escludersi la violazione del divieto di retroattività della legge penale che non opera in relazione all'efficacia di un provvedimento amministrativo reso prima della commissione del fatto di reato (Cass. V, n. 639/2025).

La giurisprudenza ha precisato che la richiesta di ammonimento indirizzata al questore non preclude alla persona offesa la possibilità di ricorrere alla tutela penale sporgendo successiva querela;  diversamente, ove sia stata già presentata querela non può poi invocarsi l'intervento preventivo del questore (Cass. V, n. 8347/2025).

Cfr. amplius specificamente in tema di procedibilità sub § 14.1.

Consumazione e tentativo

Il delitto di atti persecutori, in quanto reato abituale (peraltro caratterizzato dalla previsione di un evento tipico), si consuma nel momento in cui ha luogo l'ultima condotta attuata dall'agente (Cass. V, n. 3427/2024, con la precisazione che le modifiche in peius del regime sanzionatorio, introdotte dalla l. n. 69/ 2019, trovano applicazione anche se intervenute dopo l'inizio della consumazione, ma prima della cessazione della abitualità); il termine finale di consumazione, nel caso di contestazionec.d. “aperta”, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l'accertamento processuale (Cass. V, n. 12055/2021).

In giurisprudenza si è giunti all'affermazione che affinché possa essere considerata integrata l'abitualità debbono realizzarsi quanto meno due episodi di minaccia o molestia nel corso del tempo (Cass. V, n. 41431/2016); è stato altresì affermato (Cass. V, n. 51718/2014) che, data la natura abituale, l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice.

La reiterazione è dunque elemento costitutivo della fattispecie, con la conseguenza che i suddetti singoli atti, se posti in essere in un'unica occasione, non integrano il delitto di atti persecutori, bensì altre fattispecie già conosciuta dall'ordinamento (es. minaccia, molestie, violenza privata) eventualmente unite dal vincolo della continuazione.

E' configurabile il tentativo del delitto di atti persecutori, trattandosi di reato abituale di evento in cui alla condotta unitaria, costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, può non seguire la realizzazione di uno degli eventi tipici di danno o di pericolo previsti dall'art. 612-bis   (Cass. V, n. 1943/2021).

Concorso di persone

Ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato di atti persecutori, ha rilevanza il comune movente, che pur essendo estraneo alla nozione di dolo, lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti persecutori e la sua dimensione plurisoggettiva, intesa come volontà comune di concorrere nel reato (Cass. V, n. 2675/2022: fattispecie in cui il contributo di ciascuno degli imputati, componenti del medesimo nucleo familiare, alla realizzazione delle condotte criminose era originato dal comune risentimento nutrito nei confronti delle persone offese per le infamanti accuse mosse contro uno di essi).

Unità o pluralità di reati

In tema di atti persecutori posti in essere nei confronti di più soggetti passivi, si configura una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione, atteso che le condotte determinano differenti eventi e offendono distinte vittime (Cass. V, n. 2443/2022).

In considerazione del fatto che il delitto di atti persecutori ha natura di reato abituale e di danno ad eventi alternativi eventualmente concorrenti tra loro, ciascuno dei quali idoneo a configurarlo, che si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, l'unitarieta della condotta di "stalking" non può essere interrotta dall'essersi realizzato prima l'uno o l'altro dei plurimi eventi previsti dalla disposizione incriminatrice (Cass. V, n. 3781/2021: fattispecie in cui all'evento della modifica delle abitudini di vita della vittima, costretta a lasciare il lavoro, era seguito, per effetto della successiva reiterazione della condotta persecutoria, l'insorgere in essa di un grave stato d'ansia e di timore, momento consumativo dal quale si è ritenuto decorrere il termine per la proposizione della querela).

Cause di non punibilità e di estinzione del reato

 

Particolare tenuità del fatto (art. 131- bis c.p.)

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata al delitto di cui all’art. 612-bis, proprio perché integrato dalla reiterazione della condotta tipica (Cass. V, n. 14845/2017).

Prescrizione

Il termine di prescrizione decorre dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell'abitualità (Cass. V, n. 9956/2018).

Per la natura abituale del reato, il predetto termine decorre, in caso di contestazione c.d. "aperta", dal momento in cui cessa il compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa dell'abitualità, ove ciò emerga dalle risultanze processuali (Cass. V, n. 12498/2023); in difetto, il termine finale di consumazione coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l'accertamento processuale e dal quale decorre il termine di prescrizione del reato in mancanza di una specifica contestazione che delimiti temporalmente le condotte frutto della reiterazione criminosa (Cass. V, n. 12055/2021).

Sospensione condizionale della pena

  In tema di sospensione condizionale della pena subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti, la concessione del predetto beneficio nel caso di condanna per il delitto di atti persecutori, commesso in epoca antecedente all'introduzione del comma quinto dell'art. 165 c.p. ad opera della l. n. 69 del 2019, non integra un'ipotesi di pena illegale - come tale emendabile in cassazione anche in assenza di uno specifico motivo d'appello - poiché siffatta previsione non può essere ricondotta alla nozione di pena in quanto implica la già avvenuta determinazione della sanzione mediante la sentenza di condanna (Cass. V, n. 40505/2024).

Riparazione del danno (art. 162- ter )

La causa estintiva di cui all'art. 162-ter c.p., presupponendo che il reato commesso sia procedibile a querela soggetta a remissione, non è applicabile al reato di atti persecutori commesso con minacce gravi e reiterate, che rientra tra le ipotesi di procedibilità a querela irrevocabile, ai sensi dell'art. 612-bis, comma 4 (Cass. V, n. 14030/2020: fattispecie relativa al delitto di atti persecutori commesso prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 148/2017, convertito nella l. n. 172/2017 che ha escluso l'applicabilità della causa estintiva per il delitto di cui all'art. 612-bis).

Rapporti con altri reati

La norma contiene una clausola di sussidiarietà espressa (salvo che il fatto costituisca più grave reato).

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni

È stato affermato (Cass. V, n. 20696/2016 che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in cui restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo astrattamente di per sé reato, rappresentino elementi costitutivi o circostanze aggravanti di esso e non anche quelli che eccedano tali limiti, dando vita a responsabilità autonoma e concorrente.

Maltrattamenti in famiglia

I rapporti tra il delitto di atti persecutori e quello di maltrattamenti in famiglia costituiscono oggetto di contrasti in giurisprudenza.

Il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-bis, comma 1 rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie.

  Tradizionalmente, si riteneva che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori quando, nonostante l'avvenuta cessazione della convivenza, la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, mentre si configura il reato di atti persecutori, nella forma aggravata prevista dall'art. 612-bis, comma 2, quando non residua neppure una aspettativa di solidarietà nei rapporti tra l'imputato e la persona offesa, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Cass. VI, n. 37077/2020).

Nell'ambito della giurisprudenza più recente, un orientamento ritiene che il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici impone di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" di cui all'art. 572 c.p. nell'accezione più ristretta, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed affetti, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa, sicché non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma 2, in presenza di condotte vessatorie poste in essere da parte di uno dei conviventi "more uxorio" ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza (Cass. VI, n. 15883/2022e n. 31390/2023); in tale ambito, si è precisato che è configurabile il concorso del reato di maltrattamenti in famiglia con l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale, nonostante la persistente condivisa genitorialità (Cass. V, n. 11209/2025: in applicazione del principio, è stata confermata la sentenza che aveva ritenuto integrati i maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, gli atti persecutori). La mera genitorialità condivisa, al di fuori di un rapporto di coniugio o di convivenza ed in assenza di contatti significativi fra l'autore delle condotte e la vittima, non potrebbe costituire, da sola, il presupposto per ritenere sussistente un rapporto "familiare" rilevante ai fini della configurabilità del reato; d'altro canto, gli obblighi di formazione e mantenimento dei figli previsti dall'art. 337-ter c.c. a carico dei genitori non determinano un rapporto reciproco fra questi ultimi, essendo il loro comune figlio l'unico soggetto interessato (Cass. VI, n. 26263/2024).

Altro orientamento ritiene, al contrario, che, pur nei casi di cessazione della convivenza "more uxorio", è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia, e non invece quello di atti persecutori, quando tra i soggetti permanga un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337-ter c.c. (Cass. VI, n. 7259/2022: fattispecie in cui l'imputato era quotidianamente presente nella vita e nell'abitazione della ex convivente e della figlia minore, persone offese, per attendere ai compiti educativi e di assistenza inerenti alla genitorialità). Sarebbe, quindi, configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente nel caso in cui quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dalla filiazione: a tale conclusione, Cass. II, n. 43846/2023 ritiene si debba pervenire non già in virtù di una non consentita applicazione analogica dell'art. 572, ma valorizzando il dato che la presenza di un figlio minore attesta la persistenza di un vincolo familiare, conseguente alla sussistenza a carico di entrambi i genitori di obblighi di mantenimento e di formazione. Si è anche precisato che integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta "persona della famiglia" fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza, poiché la separazione è condizione che non elide lo "status" acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall'art. 143, comma 2, c.c. (Cass. VI, n. 45400/2022).

Sotto il profilo strettamente processuale, si è, infine, ritenuto che il giudice di appello, pur in presenza di impugnazione del solo imputato, può riqualificare il delitto di atti persecutori nella diversa e più grave fattispecie di maltrattamenti contro familiari o conviventi, nel rispetto delle garanzie del giusto processo di cui all'art. 6 Conv. EDU, a condizione che tale diversa definizione giuridica sia prevedibile, che l'imputato sia posto in condizione di difendersi e che non sia operata una modifica "in peius" del trattamento sanzionatorio, precisando che la possibilità di proporre ricorso per cassazione è sufficiente ad assicurare il contraddittorio, soprattutto quando non venga prospettato alcun "vulnus" in ordine alla facoltà di difendersi provando, mediante l'introduzione di elementi dimostrativi idonei a smentire la mutata qualificazione (Cass. VI, n. 11670/2025).

Omicidio, lesioni, violenza sessuale

Stante la diversità del bene giuridico tutelato deve essere ravvisato un concorso di reati tra la fattispecie in esame e i delitti di lesioni (gravi e gravissime) e violenza sessuale.

Non così nel caso dell'omicidio aggravato che assorbe (ex art. 84) il delitto di atti persecutori in quanto ai sensi del comma 5.1) dell'art. 576, il delitto in esame costituisce aggravante speciale dell'omicidio allorché commessi ai danni del medesimo soggetto passivo. In tal senso Sezioni Unite la sentenza Cass. S.U., n. 38402/2021, con la quale le Sezioni Unite, chiamate a stabilire «se, in caso di omicidio commesso dopo l'esecuzione di condotte persecutorie poste in essere dall'agente nei confronti della medesima persona offesa, i reati di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p.., concorrano tra loro o sia invece ravvisabile un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, comma 1, c.p.», hanno affermato il seguente principio di diritto: “La fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, comma 1, n. 5.1 c.p. – punito con la pena edittale dell'ergastolo – integra un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, primo comma, c.p., in ragione della unitarietà del fatto”.

È stato affermato che l'aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n. 5.1) – e cioè l'aver commesso il fatto da parte di chi sia l'autore del delitto di cui all'art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa – è configurabile nel caso di improcedibilità del reato di atti persecutori per mancanza di querela ed anche in assenza di una precedente condanna dell'imputato per detto reato (Cass. I, n. 4133/2016).

Si è successivamente precisato che il delitto di omicidio commesso da chi abbia perpetrato atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa assorbe, ai sensi dell'art. 84, comma 1, c.p., il delitto di cui all'art. 612-bis solo nel caso in cui, in relazione al reato più grave, sia stata contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n. 5.1), e vi sia stato, in ragione di essa, un effettivo aumento della pena, non verificandosi, altrimenti, la duplicazione di sanzioni che la disciplina del reato complesso intende evitare. (Cass. V, n. 39688/2023: fattispecie nella quale è stata esclusa l'applicazione dell'art. 84 in relazione ad imputato che invocava l'assorbimento del delitto di cui all'art. 612-bis in quello di tentato omicidio semplice, già oggetto di pregressa sentenza di condanna irrevocabile).

Diffamazione

Il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione quando nelle modalità della condotta diffamatoria si esprimono le molestie reiterate costitutive del reato previsto dall'art. 612-bis (Cass. V, n. 49288/2023).

Riduzione in schiavitù

Il reato di atti persecutori concorre con quello di riduzione in servitù nel caso in cui le condotte siano state poste in essere in diversi segmenti temporali, in quanto l'operatività della clausola di sussidiarietà di cui all'art. 612-bis postula l'unità naturalistica del fatto (Cass. V, n. 37136/2022).

Violenza privata e minaccia

Il delitto di minaccia deve considerarsi assorbito nel reato di atti persecutori secondo lo schema del reato complesso; egualmente va escluso in concorso con il reato di molestie per il rapporto di specialità reciproca intercorrente tra le due fattispecie criminose.

Quanto al rapporto con la violenza privata secondo la dottrina (Orfino, 143) il delitto di atti persecutori si presenta come un'ipotesi speciale del reato di cui all'art. 610 dal momento che la fattispecie incriminatrice in esame prevede la necessaria verificazione di un evento specifico, ossia l'alterazione delle abitudini di vita, lo stato di ansia e paura, il fondato timore per la incolumità propria di un prossimo congiunto.

La giurisprudenza ammette invece il concorso in ragione della diversa oggettività giuridica (Cass. V, n. 2283/2015, per la quale, mentre l'art. 610, protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, l'art. 612-bis, è volto – al pari dell'art. 612 – alla tutela della tranquillità psichica, ritenuta, con pieno fondamento, condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della volontà suddetta). Pertanto, l'oggetto giuridico di categoria (la libertà morale) esige, per la sua salvaguardia, la protezione di entrambe le sottospecie di beni sopra rassegnati, potendo essere aggredito nell'una o nell'altra manifestazione, oppure in entrambe: quando quest'ultima situazione si verifica, non vi sono ragioni, quindi, per escludere il concorso di norme, siccome rivolte a tutelare aspetti diversi dello stesso bene ( cfr. anche Cass. V, n. 4011/2016, per la quale, inoltre, l'alterazione delle abitudini di vita non può considerarsi una peculiare ipotesi di violenza privata, avendo la prima una ampiezza di molto maggiore rispetto al fare, omettere o tollerare qualcosa per effetto della coartazione esercitata sulla volontà della vittima).

Casistica

Gli atti di bullismo posti in essere nei confronti della vittima integrano pienamente il reato di atti persecutori previsto e punito dall'art. 612-bis, essendo sufficiente ai fini della compiuta integrazione dell'evento del reato, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, ove ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato (Cass. V, n. 28623/2017).

Integra il delitto di atti persecutori la condotta di "mobbing" del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell'esprimere ostilita` verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell'ambiente di lavoro, tali da determinare un "vulnus" alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis (Cass. V, n. 31272/2020: nel caso esaminato, il lavoratore-vittima era stato esposto a plurimi atti vessatori, quali il fisico impedimento a lasciare la sede di lavoro e l'abuso del potere disciplinare, culminati in un licenziamento pretestuoso e ritorsivo, tale da far insorgere nello stesso uno stato di ansia e di paura ed indurlo a modificare le proprie abitudini di vita).

Integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e "account internet", falsamente riconducibili alla vittima, da cui siano derivate proposte sessuali da parte di terzi sconosciuti in adesione a quanto da lei stessa in tali account apparentemente offerto, purché l'autore agisca nella consapevolezza dell'idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Cass. V, n. 323/2022). Diversamente, non integra la condotta di cui all'art. 612-bisla pubblicazione di "post" meramente canzonatori ed irridenti su una pagina "Facebook", liberamente accessibile a chiunque, mancando il requisito dell'invasività inevitabile connessa all'invio di messaggi "privati" (sms, "whatsApp") o alle telefonate, tenuto anche conto del fatto che la pubblicazione di siffatti "post" è legittima, ove rientri nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica (Cass. V, n. 34512/2020).

Integra il delitto di atti persecutori la reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, oggettivamente irridenti ed enfatizzanti la patologia della persona offesa, diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l'agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Cass. V, n. 8919/2921); anche il reiterato invio di missive allusive al suicidio dell'agente può essere rilevante ai fini della integrazione del reato, costituendo condotta di molestia idonea a determinare nella vittima un turbamento psichico che incide in negativo sulla sua libertà morale (Cass. V, n. 30535/2021).

Integra il delitto di atti persecutori l'opera di reiterata delegittimazione della persona offesa realizzata dal soggetto attivo attraverso una serie protratta di condotte diffamatorie e moleste (nella specie, realizzate mediante attività di "volantinaggio", una video-intervista divulgata su "you-tube", la pubblicazione di un libro dal titolo "Toghe corrotte" e di numerosi "post" diffamatori su "social network" riguardanti un magistrato) che, lungi dall'integrare un mero esercizio delle facoltà connesse alla tutela giudiziaria dei propri diritti, configurano uno stillicidio persecutorio ai danni della persona offesa, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita e sottoponendola ad uno stato di ansia e di turbamento determinato dalla costante paura di essere vittima di attività denigratoria (Cass. V, n. 1813/2022).

L'atteggiamento conciliante della vittima non assume rilievo ai fini della responsabilità penale del soggetto agente, né ai fini della determinazione della pena, atteso che ciò che rileva è la complessiva e reiterata condotta persecutoria e le conseguenze dannose sulla psiche della persona offesa (Cass. V, n. 27466/2018).

Profili processuali

 

Procedibilità

Il delitto è punito, di regola, a querela della persona offesa, ma s i procede d'ufficio:

- se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, l. n. 104 del 1992;

- se il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio: l'art. 85 comma 2-ter, d. lgs. n. 150 del 2022 stabilisce che, per i delitti di cui agli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima del 30/12/2022, continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni dello stesso d. lgs. n. 150 del 2022; - se il fatto è commesso da soggetto ammonito ex art. 8 d.l. n. 11 del 2009, conv. in l. n. 398 del 2009. Ai fini della procedibilità d'ufficio per il caso in cui l'agente sia destinatario di ammonimento, non rileva la risalenza nel tempo del provvedimento del questore (Cass. V, n. 40304/2024); ai fini della procedibilità d'ufficio per il caso in cui l'agente sia destinatario di ammonimento del questore, non è neppure necessario che vi sia coincidenza tra i fatti oggetto di segnalazione e i fatti di rilevanza penale, in quanto i presupposti di intervento dell'autorità amministrativa si differenziano da quelli dell'autorità giudiziaria sia sul piano della ricognizione dei fatti che lo legittimano, sia in relazione alle modalità del loro accertamento, ciò in quanto i fatti oggetto di ammonimento possono assumere rilievo penale qualora, nonostante lo stesso, siano seguiti da condotte espressione del medesimo comportamento molesto (Cass. V, n. 10135/2022); ai fini della procedibilità d'ufficio per il caso in cui l'agente sia destinatario di ammonimento del questore, non rileva che in epoca successiva all'emissione del provvedimento sia ripresa la relazione sentimentale tra l'agente e la vittima, dovendo ritenersi comunque configurabile l'aggravante di cui all'art. 8, comma 3, d.l. n. 11 del 2009, conv. in l. n. 38 del 2009 (Cass. V, n. 34474/2021). E' stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 4, d.l. n. 11 del 2009, conv. in legge n. 38 del 2009, come modificato dall'art. 1, comma 3, l. n. 168 del 2023, in relazione agli artt. 3,117, comma 1, Cost. e 53, comma 2, CEDU, in quanto la previsione della procedibilità d'ufficio del delitto di atti persecutori anche se commesso nei confronti di soggetto diverso da quello per cui l'ammonimento era stato originariamente emesso persegue lo scopo di rafforzare la tutela delle vittime, senza che ciò avvenga con mezzi sproporzionati rispetto a tale scopo, stante la possibilità per l'ammonito, che si sottoponga ai prescritti percorsi di recupero, tenuto conto degli esiti degli stessi, di ottenere la revoca dell'ammonimento da parte dell'autorità amministrativa competente (Cass. V, n. 639/2025).

Analogamente a quanto previsto dall'art. 609-septies per i reati di violenza sessuale, il termine per proporre querela è di sei mesi, in considerazione della difficoltà della vittima di tali reati ad agire nei confronti del soggetto attivo.

Il termine per proporre querela inizia a decorrere dalla consumazione del reato, che coincide alternativamente con «l'evento di danno» ovvero con «l'evento di pericolo» consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto (Cass. V, n. 17082/2015). Secondo Cass. V, n. 12509/2016 il reato di atti persecutori, configurando un'ipotesi di reato abituale, si caratterizza per il compimento di più atti realizzati in momenti successivi, rappresentando ciascuna delle singole azioni un elemento della serie, al realizzarsi della quale sorge la condotta tipica rilevante anche ai fini della procedibilità. (Fattispecie in cui la Corte ha individuato il dies a quo per la proposizione della querela nella richiesta di ammonimento del Questore, avanzata dalla persona offesa a seguito di una serie di atti delittuosi, ritenendo, conseguentemente, tardiva la querela presentata oltre sei mesi dopo, ancorché in epoca successiva ad un ulteriore episodio che, in quanto intervenuto a notevole distanza di tempo dalla precedente serie integrante il reato, doveva considerarsi come un nuovo fatto isolato privo di rilevanza penale). Il carattere del delitto di atti persecutori, quale reato abituale a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma rispetto alla prima o alle precedenti condotte, la querela estende la sua efficacia anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la sua proposizione, previsto dal quarto comma dell'art. 612-bis (Cass. V, n. 20065/2015 e n. 41431/2016).

La emissione della querela può essere soltanto processuale.   Secondo Cass. V, n. 18477/2016, è idonea ad estinguere il reato non solo la remissione di querela ricevuta dall'autorità giudiziaria ma anche quella effettuata davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria, atteso che l'art. 612-bis, comma 4, facendo riferimento alla remissione “processuale”, evoca la disciplina risultante dal combinato disposto dagli art. 152 e art. 340 c.p.p., che prevede la possibilità effettuare la remissione anche con tali modalità. E' idonea ad estinguere il reato non solo la remissione di querela ricevuta dall'autorità giudiziaria, ma anche quella effettuata davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria, atteso che l'art. 612-bis, comma 4, facendo riferimento alla remissione "processuale", evoca la disciplina risultante dal combinato disposto dagli artt. 152 c.p. e 340 c.p.p., che prevede la possibilità effettuare la remissione anche con tali modalità.  

La querela è, invece, irrevocabile nei casi di commissione del fatto mediante minacce reiterate nei modi di cui al comma 2 dell'art. 612-bis (previsione introdotta in sede di conversione in legge del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, che aveva nel testo originario introdotto il principio dell'irrevocabilità della querela). Secondo la giurisprudenza, ai fini dell'irrevocabilità della querela non è necessario che la gravità delle reiterte minacce sia oggetto di specifica contestazione, non costituendo una circostanza aggravante, ma una modalità di realizzazione della condotta; la qualificazione inerente alla gravità delle minacce è demandata alla valutazione del giudice e deve essere comunque ricavabile dalla compiuta descrizione della condotta nell'imputazione (Cass. V, n. 9403/2022e n. 34412/2023); sembra ormai superato il contrario e più rigoroso orientamento a parere del quale, nel rispetto delle prerogative della difesa, ai fini della irrevocabilità della querela è necessario che nell'imputazione sia contestato in modo chiaro e preciso che la condotta è stata realizzata con minacce reiterate ed integranti i caratteri della circostanza aggravante di cui all'art. 612, comma 2, c.p. (Cass. V, n. 3034/2021).

La giurisprudenza ha chiarito che, pur in presenza di una querela tardiva o addirittura mancante per il reato di atti persecutori, al giudice non è precluso ritenere sussistente il reato di minaccia aggravata, procedibile di ufficio, il cui fatto tipico costituisca elemento strutturale della fattispecie dichiarata improcedibile (Cass. V, n. 7087/2025).

Misure cautelari

Non opera per il delitto in esame la nuova limitazione prevista dal comma 2- bis  dell'art. 275, in forza del quale la quale la custodia cautelare non si applica se il giudice ritiene che all'esito del giudizio la pena detentiva di carta non sarà superiore a tre anni (art. 275 comma 2-bis come modificato in sede di conversione del d.l. n. 92/2014 nella l. n. 117/2014).

L'intervento legislativo del 2009 ha inciso anche sulle misure cautelari, prevedendo la nuova misura personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Con detto articolo è stata introdotta una nuova misura coercitiva personale, che può essere disposta nel corso del procedimento penale, consistente nel divieto di avvicinamento dell'imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero nell'obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa. In presenza di ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone. Peraltro, quando la frequentazione dei luoghi precedentemente individuati sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

Il giudice può anche vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone sopra indicate.

Per rendere effettivi ed efficaci i provvedimenti di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., l'art. 9, comma 1, lett. a), d.l. cit., ha introdotto l'art. 282- quater c.p.p., che prevede taluni obblighi di comunicazione. Più precisamente, si è previsto che i provvedimenti di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. sono comunicati all'autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Quando l'imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione dell'attenuazione delle esigenze cautelari ex art. 299, comma 2 (previsione introdotta dal d.l. n. 93/2013).

Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha introdotto all'art. 299 c.p.p. la previsione dell'obbligo di notificare alla persona offesa o al suo difensore la richiesta di revoca o sostituzione delle misure di cui agli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p. e di comunicare alle stesse ogni provvedimento di modifica, revoca o sostituzione di tali misure.

Il divieto di avvicinamento previsto dall'art. 282-ter c.p.p. deve contenere l'indicazione specifica dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa solo quando le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della propria quotidianità di vita, dovendo, invece, il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa, e non ai luoghi da essa frequentati, laddove la condotta, di cui è temuta la reiterazione, si connoti per la persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima, in qualsiasi luogo questa si trovi (Cass. V, n. 30926/2016 e n. 1541/2021); sarebbe corretto il mantenimento della custodia cautelare in carcere per il delitto di atti persecutori anche dopo la condanna in primo grado, persistendo il pericolo di reiterazione in ragione, oltre che della gravità delle condotte commesse, anche dei comportamenti trasgressivi che avevano determinato l'aggravamento della misura originariamente applicata (Cass. V, n. 15658/2021) .

Incidente probatorio

Per il delitto di atti persecutori sono stati ampliati i casi di ricorso all'incidente probatorio, estendendo ai procedimenti, nonché alla testimonianza del minore ultrasedicenne e della persona offesa maggiorenne il disposto del comma 1-bis dell'art. 392 c.p.p., ovvero la possibilità di ricorrere all'assunzione anticipata della testimonianza anche in assenza dei requisiti di ammissibilità di cui al comma 1, lett. a) e b).

È stata estesa anche alle indagini per il delitto di atti persecutori la possibilità per il giudice di stabilire luogo, tempo e modalità particolari attraverso le quali procedere all'incidente probatorio, qualora fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni (anche ultrasedicenni) e le esigenze di tutela delle persone (e non più del solo minore) lo rendano opportuno (art. 9, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11).

Dibattimento

In dibattimento, anche per l'esame del minorenne o del maggiorenne infermo di mente, vittime del reato di cui all'art. 612-bis, sarà possibile avvalersi delle particolari modalità di cui all'art. 498, comma 4-ter, c.p.p. (uso di un vetro specchio e di un impianto citofonico), qualora gli stessi, o il loro difensore, ne facciano richiesta.

Con riferimento alla disciplina delle contestazioni, la giurisprudenza ritiene che anche il riavvicinamento o la riappacificazione tra vittima e persecutore possono costituire un "elemento concreto" idoneo, ai sensi dell'art. 500, comma 4, c.p.p., ad incidere sulla genuinità della deposizione testimoniale della persona offesa, che, ove non possa rimettere la querela, perché irrevocabile, potrebbe essere indotta a circoscrivere, limitare o revocare le dichiarazioni accusatorie in precedenza rese (Cass. V, n. 8895/2021: fattispecie in cui la Cassazione ha ritenuto legittima l'acquisizione e l'utilizzazione delle originarie dichiarazioni della persona offesa che, dopo aver denunciato le reiterate condotte di violenza e minaccia subite, per paura di future ulteriori ritorsioni aveva ritrattato e ridimensionato in dibattimento le accuse).

La prova

La prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. VI, n. 50746/2014: nella specie, la Cassazione ha confermato la condanna di imputato il quale aveva posto in essere reiterate condotte aggressive ed ingiuriose nei confronti della ex convivente, fino ad introdursi furtivamente in casa della stessa - dopo averla aggredita in discoteca ed averla indotta a trovare riparo presso amici -, dando fuoco ad una parte dell'abitazione e degli oggetti ivi contenuti).

Bis in idem

La pronunzia assolutoria per il delitto di cui all'art. 612-bis, passata in giudicato, non preclude la celebrazione del giudizio per il reato di minaccia che ne costituisca una porzione di condotta, quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nel profferire frasi intimidatorie, anche in ulteriori comportamenti molesti e minatori determinanti uno o più degli eventi tipici dello stalking, non sussistendo identità del fatto storico rilevante per la violazione del divieto di bis in idem, secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte cost., n. 200/2016 (Cass. V, n. 20859/2021).

Altre discipline

È possibile disporre intercettazioni telefoniche e ambientali (art. 266, comma 1, lett. f-quater, c.p.p introdotto dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito nella l. 15 ottobre 2013, n. 119).

La l. n. 69/2019 (nota come Codice Rosso) al fine di rafforzare la tutela penale delle vittime di violenza domestica e di genere ha introdotto, a decorrere dal 9 agosto 2019, ulteriori modifiche alla disciplina processuale del delitto di atti persecutori.

Ha previsto una nuova formulazione del comma 3 dell'art. 347, stabilendo che anche per il reato in argomento la polizia giudiziaria ha l'obbligo di riferire immediatamente anche in forma orale la notizia di reato al pubblico ministero. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo, quella scritta. Ha stabilito, con il 1° co. ter dell'art. 362 c.p.p., la regola secondo la quale il pubblico ministero entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato il fatto di reato. Tale termine può essere tuttavia prorogato quando vi sono esigenze di tutela di soggetti minorenni o di riservatezza delle indagini.

Come logico completamento operativo delle due indicate novità ha introdotto i commi 2-bis e 2-ter dell'art. 370 c.p.p. che stabiliscono che la polizia giudiziaria proceda senza ritardo al compimento degli atti di indagine delegati dal pubblico ministero e ponga, sempre senza ritardo, a disposizione dello stesso, la documentazione delle attività svolte, nelle forme e con le modalità previste dall'art. 357 c.p.p.

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 10959/2016) la disposizione dell'art. 408, comma 3-bis, c.p.p., che stabilisce l'obbligo di dare avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa dei delitti commessi con «violenza alla persona», è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572, in quanto l'espressione «violenza alla persona» deve essere intesa alla luce del concetto di «violenza di genere», risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario. L'obbligo di tale avviso prescinde da ogni eventuale richiesta dell'interessato, con la conseguenza che la sua omissione, determinando la violazione del contraddittorio, è causa di nullità, ex art. 127, comma 5, c.p.p., del decreto di archiviazione emesso de plano, impugnabile con ricorso per cassazione.

In tema di atti persecutori, che è delitto a eventi alternativi eventualmente concorrenti tra loro, non viola il principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (art. 521 c.p.p.), la decisione che individui la verificazione di un evento, ulteriore e distinto nell'ambito della norma incriminatrice, idoneo a configurare il medesimo fatto di reato purché ciò non incida sul giudizio di disvalore complessivo della condotta (Cass. V, n. 47533/2023: fattispecie in cui la contestazione riguardava l'evento dello stato di ansia e di paura, mentre la sentenza anche quello della percezione da parte della vittima di un fondato timore per l'incolumità propria e del compagno).

Bibliografia

Aramini, Lo stalking: aspetti psicologici e fenomenologici, in Sessualità, diritto e processo, Milano, 2002; Bricchetti, Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida dir. 2009; Bricchetti-Pistorelli, Possibile vietare l'avvicinamento alla «vittima», in Guida dir. 2009; Cadoppi, Atti persecutori: una normativa necessaria, in Guida dir. 2009; F. Coppi, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, (voce) in Enc. dir., XXV, Varese, 1975; Merli, Differenze e linee di continuità tra il reato di stalking e quello di maltrattamenti in famiglia dopo la modifica del secondo comma dell'art. 612-bis c.p. ad opera della legge c.d. sul femminicidio, in Diritto Penale contemporaneo; Tigano, Atti persecutori e maltrattamenti nei confronti degli “ex”: dall'introduzione della fattispecie di stalking alla legge n. 172 del 2012, in Diritto Penale contemporaneo. Dalila Mara Schirò, Le modifiche agli articoli 61, 572 e 612-bis del codice penale, nonché al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (art. 9, l. n. 69/2019), in Romano, Marandola (a cura di), Codice Rosso. Commento alla l. n. 69/2019, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pisa, 2020, 91 e 103.

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