Codice Penale art. 624 bis - Furto in abitazione e furto con strappo 1 .Furto in abitazione e furto con strappo 1. [I]. Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500 2. [II]. Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona 3. [III]. La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell'articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all'articolo 61 4. [IV].Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti 5.
competenza: Trib. monocratico arresto: obbligatorio (salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma 1, n. 4) fermo: consentito (comma 3) custodia cautelare in carcere: consentita; v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p. altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio [1] Articolo inserito dall'art. 2 , comma 2, l. 26 marzo 2001, n. 128. [2] Precedentemente le parole « è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500» erano state sostituite alle parole « è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 309 euro a 1.032 euro» dall’art. 1, comma 6, lett. a), l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’articolo 1, comma 95, della legge n. 103 cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). Successivamente le parole «da quattro a sette anni» sono state sostituite alle parole «da tre a sei anni» dall'art. 5, comma 1, lett. a), l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. [3] V. Corte cost. 1° giugno 2016, n. 125 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., « nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo ». [4] Precedentemente le parole « La pena è della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 a euro 2.000» erano state sostituite alle parole « La pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro» dall’art. 1, comma 6, lett. b), l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’articolo 1, comma 95, della legge n. 103 cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). Successivamente le parole «da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500» sono state sostituite alle parole «da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 a euro 2.000» dall'art. 5, comma 1, lett. b), l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. [5] Comma aggiunto dall’art. 1, comma 6, lett. c), l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’articolo 1, comma 95, della legge n. 103 cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). InquadramentoDelitto inserito nel Capo primo del Titolo tredicesimo del Libro Secondo del Codice; dunque collocato — sotto il profilo sistematico — tra i delitti contro il patrimonio, in particolare fra quelli contro il patrimonio commessi mediante violenza alle cose o alle persone. Il reato è stato introdotto nell'ordinamento dall'art. 2 l. 26 marzo 2001, n. 128; trattasi della norma che ha anche abrogato le aggravanti — di contenuto identico — precedentemente previste dall'art. 625 comma 1 n. 1) e n. 4). Si è così venuta a creare una nuova fattispecie autonoma di reato, costruita mediante inclusione delle condotte prima previste come semplici aggravanti del furto. (per tutte, Cass. S.U., n. 46625/2015, in motivazione; nel medesimo senso, successivamente, Cass. V, n. 8333/2016 e Cass. II, n. 17705/2022; in senso contrario, per la natura circostanziale delle fattispecie di cui all’art. 624-bis c.p., ma nell’ambito di un orientamento ormai da tempo superato, Cass. IV, n. 48436/2012). Il modello legale in commento ha poi avuto una rivisitazione normativa mediante la riforma del 2017 (l. n. 103/2017), che è intervenuta essenzialmente sull’aspetto sanzionatorio. Gli interventi normativi che hanno costruito la figura di cui all’art. 624-bis c.p. rinvengono la propria ratio in considerazioni anche prettamente giustizialistiche. La volontà marcatamente rigorista della riforma risulta evidente, laddove si consideri che si è operato un intervento sui minimi edittali previsti ai commi 1 e 3 dell’articolo in commento. Trattasi di una modifica legislativa palesemente ispirata dall’intento di evitare che – mediante l’assunzione di una pena base attestata sul previgente minimo edittale e per il tramite dell’applicazione di eventuali circostanze attenuanti, oltre che grazie all’effetto premiale connesso ai riti alternativi – potessero ancora comminarsi pene finali connotate da una irrisoria portata afflittiva. Cosa che correlativamente implica una scarsa attitudine deterrente e preventiva della pena stessa. Aggiungiamo che sarebbe stato forse opportuno innalzare, nel contempo, il massimo edittale. Si sarebbe così ottenuta — stante l’attuale esistenza di un inscindibile nesso, fra pena edittale e prescrizione — un termine prescrizionale di ben più ampia estensione. Il che avrebbe forse scongiurato il rischio di estinzione, per il vano trascorrere del tempo, di una fattispecie di reato che — nell’immaginario collettivo — desta notevole allarme sociale e produce una profonda destabilizzazione, nella percezione comune del livello di stabilità e sicurezza. Vengono tutelati — attraverso tale disposizione normativa — anzitutto i medesimo beni giuridici che sono salvaguardati dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 624. Inoltre, la norma nasce dall'esigenza di reprimere particolari condotte di aggressione, che notoriamente destano profonda preoccupazione e sono dotate di una particolare attitudine a creare un diffuso senso di timore e di sfiducia. La dottrina ha in proposito sottolineato come la previsione miri “..... ad approntare tutela non solo all'interesse patrimoniale leso dalla condotta altrui di sottrazione, ma anche alla sicurezza individuale ed alla sfera personale di inviolabilità e riservatezza; si tratta dunque di un reato plurioffensivo” (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 1256). È quindi una norma la cui introduzione ha obbedito ad una spinta di matrice rigoristica, quale reazione a spunti di notevole allarme sociale (Leoncini, 732). La sussunzione delle condotte prima previste come circostanze in una figura autonoma di reato, ovviamente, ha consentito una più efficace risposta sanzionatoria, scongiurando la possibilità di sottoposizione di tali condotte al giudizio di bilanciamento ex art. 69. Modifiche introdotte dalla l. n. 36/2019L’art. 5, l. n. 36/2019 (intitolata “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”) è intervenuta sul regime sanzionatorio previsto dalla norma in commento. La cornice edittale dettata dal primo comma dell’articolo in relazione al furto in abitazione (pena poi applicabile anche con riferimento al furto con strappo, stante l’espresso rinvio contenuto nel comma 2 della norma), è stata dunque modificata quanto alla pena detentiva; questa è stata portata alla reclusione da quattro a sette anni. Vi è parimenti stato un intervento sulla forma aggravata, di cui al comma 3 della disposizione normativa in esame. Qui si è inteso incidere tanto sulla pena detentiva, modificata però solo quanto al minimo (le parole "da quattro a dieci" sono state infatti sostituite dalle parole "da cinque a dieci"), quanto sulla pena detentiva (che ora spazia da euro 1.000,00 a euro 2.500,00). I soggetti (rinvio)I soggetti attivi (rinvio) Può sul punto operarsi un mero rinvio a quanto già esposto in sede di commento al reato di furto semplice. In tema di concorso di persone nel reato, è forse solo utile fare una precisazione, sul punto relativo alle differenze concettuali e strutturali esistenti fra le due figure teoriche del concorso ordinario e del concorso anomalo nel reato. Ebbene, la responsabilità del compartecipe ex art. 116 sarà individuabile solo nel caso in cui l'evento diverso, poi realizzato, non rientri nella sua originaria previsione neppure sub specie di dolo indiretto, dunque indeterminato, alternativo o eventuale. Quindi, solo nel caso in cui l'evento diverso non sia stato minimamente preso in considerazione dal compartecipe, neanche quale possibile conseguenza ulteriore della condotta concordata. Ne deriva invece la punibilità a titolo di concorso ex art. 110 nel reato di rapina, ascrivibile al soggetto che abbia offerto un efficiente contributo causale al reato originariamente voluto di furto con strappo; ciò in quanto l'estrinsecazione successiva della violenza sulla persona costituisce uno sviluppo prevedibile dell'azione violenta diretta — in prima battuta — sulla cosa (si veda, in tema, la giurisprudenza sotto riportata). Soggetto passivo (rinvio) Si richiamano i concetti già sviscerati in sede di commento all'articolo che precede. La struttura del reato (rinvio)Possono anche qui mutuarsi tutte le considerazioni già enucleate in riferimento al reato di furto semplice (v. sub art. 624). L'unica differenza di carattere tecnico-dogmatico è rappresentata dall'atteggiarsi della fattispecie di furto in abitazione alla stregua di un reato complesso in senso stretto, ottenuto mediante la unificazione — sotto l'egida di una previsione unitaria — delle due fattispecie del furto e della violazione di domicilio. Materialità (rinvio)La condotta punita (rinvio) Questa si risolve — così come nella fattispecie di furto semplice — in un impossessamento mediante sottrazione. Per i relativi concetti, quindi, si potrà vedere quanto scritto in sede di commento alla previsione incriminatrice madre ex art. 624. Le particolarità della fattispecie ora in esame sono invece di altro genere; occorre dunque operare una analisi differenziata, in relazione alle due ipotesi cristallizzate nel dettato normativo, che sono il furto in abitazione ed il furto con strappo. L'oggetto della condotta (rinvio) La res sulla quale cade l'azione tipica è sempre la cosa mobile. Valgono dunque le medesime considerazioni fatte in sede di commento alla fattispecie di furto semplice (v. sub art. 624). Segue. Fatto commesso in abitazionePer ciò che attiene al furto in abitazione, la norma indica un vincolo di carattere fattuale nella condotta punita. Questa deve infatti svolgersi previa introduzione in un edificio o comunque in qualsivoglia altro luogo che sia destinato — pur se magari in maniera parziale — alla privata dimora delle persone. La terminologia adoperata dal legislatore, allorquando richiama la nozione di privata dimora, è volutamente ampia ed aperta. Il concetto di privata dimora deve quindi essere interpretato secondo una nozione estremamente larga, fino sostanzialmente a ricomprendere ogni luogo che risulti effettivamente utilizzato — pur se in maniera discontinua o episodica — alla permanenza umana a fini abitativi (Marini, LA Monica, Mazza, 122). Un concetto che non è quindi sovrapponibile in maniera esatta a quello di domicilio, di cui all'art. 614. Rientrano pertanto all'interno di tale alveo previsionale tutti gli edifici e manufatti in genere, che siano adibiti ad abitazione dell'uomo (e quindi appartamenti, casali, ville, ecc.); vi rientrano altresì i luoghi definibili alla stregua di pertinenze delle abitazioni, in quanto adoperati per il soddisfacimento di necessità comunque afferenti al concetto di residenza (dunque depositi, cantine, soffitte, mansarde, porticati, verande, ecc.). Vi rientrano infine tutti i luoghi in cui comunque si svolgano attività rientranti nella vita privata delle persone. Giova precisare come la norma non postuli il requisito dell'effettivo, attuale utilizzo dell'immobile a fini abitativi o comunque di privata dimora; è invece sufficiente che il bene sia a ciò destinato. Ricorre quindi il reato anche nel caso in cui ci si introduca — al fine di impossessarsi di cosa mobile altrui — in un appartamento disabitato, o anche sottratto all'utilizzo dell'avente diritto, per l'esistenza di un qualunque vincolo di indisponibilità di carattere giuridico (si pensi ad esempio al bene sottoposto a sequestro). Segue. Fatto commesso «con strappo»Nel reato ex art. 624-bis secondo comma — ossia nel c.d. scippo, come tale azione viene ordinariamente definita nel linguaggio corrente tale azione — l'azione violenta deve esplicarsi sulla cosa. Occorre quindi che la res venga violentemente strappata, tolta, afferrata, portata via dal soggetto agente; ed è anche necessario che tale azione sia materialmente avvertita dal soggetto passivo, in quanto si verificherebbe, in caso di mancata percezione, l'ipotesi del furto con destrezza. L'azione consistente nello strappo — nel sottrarre la cosa togliendola di mano o di dosso alla persona — si distingue nettamente, inoltre, dall'aggravante di cui all'art. 625 comma 1 n. 2); questa resta infatti integrata dall'uso di una violenza che sia direttamente ed esclusivamente indirizzata sulla cosa. Tanto chiara è la distinzione fra le due ipotesi, che il comma 3 della fattispecie in commento prevede la compatibilità, fra il reato di furto abitazione e la circostanza aggravante dell'uso di violenza sulle cose. Una azione violenta direttamente indirizzata sulla res, naturalmente, non può non riverberare effetti anche sulla persona alla quale tale cosa venga tolta. Occorre però che si tratti di un effetto riflesso, mediato, secondario. Elemento psicologico (rinvio)Il coefficiente psicologico richiesto dalla norma è esattamente lo stesso che sorregge l'azione del ladro, il quale si renda autore di un furto comune. Alle nozioni enucleate in relazione a tale fattispecie, pertanto, può qui farsi integrale rinvio. Nel caso di furto perpetrato in luogo destinato alla privata dimora, occorre però anche la coscienza e volontà di introdursi in un tale luogo (Farini e Trinci, 685). Consumazione e tentativo (rinvio)Si può anche qui richiamare in maniera integrale quanto riportato, in analogo paragrafo, in sede di commento al reato di furto semplice. E dunque, la consumazione è da fissare al momento dell'instaurazione di una pur temporanea signoria esclusiva sulla res; il tentativo è pacificamente configurabile. Forme di manifestazioneÈ previsto un robusto incremento sanzionatorio, nel caso in cui ricorra alcuna delle circostanze rispettivamente indicate dall'art. 625 e dall'art. 61. Si segnala come non possano ravvisarsi gli estremi della fattispecie in commento, nel caso in cui esista un legame di mera occasionalità — rappresentato dal semplice ricorrere di una situazione favorevole — fra l'ingresso nel luogo di privata dimora e l'impossessamento. Resterà in tal caso integrata la diversa fattispecie del furto aggravato dalla relazione di ospitalità, ai sensi dell'art. 61 comma 1, n. 11) (vedere giurisprudenza sotto riportata). La novella ha stabilito il divieto di computo di eventuali circostanze attenuanti – diverse da quelle indicate dagli articoli 98 e 625 bis – con il criterio dell’equivalenza o della prevalenza, rispetto alle aggravanti ex art. 625 ricorrenti in relazione al fatto previsto dalla norma in commento. La modifica legislativa si colloca nell’alveo della già evidenziata tendenza aspirazione ad una maggiore severità sanzionatoria. Deriva da ciò che le diminuzioni conseguenti all’applicazione delle attenuanti saranno da computare sulla pena ottenuta dopo l’aumento conseguente all’applicazione delle aggravanti. Il divieto di equivalenza o subvalenza delle aggravanti di cui all’art. 625 – contestate in ordine a fatti ex 624-bis – andrà infatti a comporre, unitamente al sopra menzionato irrigidimento dei minimi edittali – un più incisivo mosaico sanzionatorio. In definitiva, pare qui chiaro l’intento di condurre comunque, nella pratica applicazione del sistema di norme sopra enucleato, ad una maggiore asprezza sanzionatoria. Le esclusioni oggettive dal sopra descritto giudizio di bilanciamento concernono le attenuanti di cui all’art. 98 e 625-bis. Pare nel primo caso evidente la prevalenza accordata dal legislatore alla possibilità di recupero e di reinserimento, in favore del reo che sia minore degli anni diciotto. L’attenuante di cui all’art. 625-bis presenta invece per l’ordinamento una tale impronta per così dire utilitaristica che si è ritenuto opportuno escluderla dal divieto di bilanciamento suddetto. L’inclusione avrebbe infatti avuto forse l’effetto di vanificare la spinta di ravvedimento e resipiscenza che si pone a fondamento dell’attenuante medesima. Rapporti con altri reatiCon il delitto di violazione di domicilio In ordine alla prima condotta alternativa prevista sub art. 624-bis dal legislatore, ossia il furto perpetrato mediante introduzione in luogo di privata dimora, il tema del rapporto con altre fattispecie si è ovviamente posto soprattutto in relazione al reato di violazione di domicilio. Molti interpreti della materia hanno infatti ritenuto di poter individuare, nel modello tipico in commento, una classica fattispecie di reato complesso in senso stretto, composto dai due reati tipizzati dagli artt. 614 e 624. E ci si è sul punto molto interrogati, di conseguenza, sulla necessità o meno del dissenso dell'avente diritto, rispetto alla frazione di condotta rappresentata dall'introduzione in luogo di privata dimora. Ritenendosi da alcuni essere il dissenso un requisito intrinsecamente contenuto nell'archetipo normativo, sub specie di dissenso implicito; considerandosene invece, da parte di altra dottrina, la sostanziale ininfluenza (e quindi, immaginandosi la commissione del reato di furto in abitazione anche a seguito di introduzione consentita dall'avente diritto). A stretto rigore, la configurazione della fattispecie quale reato complesso dovrebbe immediatamente comportare la inammissibilità del concorso formale fra le due fattispecie incluse nello schema unitario. Sembra però corretto immaginare che si possa in astratto verificare un concorso fra i due reati, ma solo nel caso in cui il soggetto agente entri nel luogo di privata dimora con il consenso dell'avente diritto e vi rimanga poi invito domino per passare — in un momento successivo — a sottrarre una certa cosa mobile. La condotta unitaria sarebbe però, in questo caso, scissa in due segmenti cronologicamente e ontologicamente tra loro ben distinti. Nulla osta, infine, a ritenere esistente il concorso di reati nel caso in cui un soggetto entri in casa d'altri contro la espressa volontà di chi abbia il potere di impedirglielo, ma compia tale gesto ad un fine diverso, rispetto a quello di sottrazione; poi il medesimo soggetto — evidentemente in un momento storicamente separato rispetto a quello dell'ingresso — si andrà ad impossessare di alcunché, così commettendo anche il reato di furto. Con il delitto di rapina Per quanto invece attiene alla seconda modalità alternativa di consumazione del reato, ossia il furto con strappo, il problema della differenziazione si pone in particolar modo rispetto al delitto di rapina. La prima, generale actio finium regundorum da porre concerne quindi il requisito delle modalità attuative della condotta. La linea di discrimine fra le due fattispecie si colloca infatti proprio sul confine costituito dalla direzione dell'azione violenta, esplicata dal soggetto agente. Una azione che venga esercitata soltanto sulla cosa, che non attinga quindi anche il soggetto passivo (che cioè non si estenda alla persona), integrerà il reato di furto con strappo. Un'attività violenta che — seppur magari in via accessoria ed in un momento successivo, rispetto all'inizio della condotta illecita — vada ad esplicarsi anche immediatamente sulla persona (magari con il proposito di domarne le resistenze), realizzerà invece gli elementi costitutivi della rapina. Per concludere. Ricorre il delitto in commento, allorquando l’azione violenta venga indirizzata sulla res ed esplichi effetti soltanto mediati ed indiretti sulla persona (effetti che siano magari inevitabilmente consequenziali alla vicinanza esistente, fra la cosa ed il detentore della stessa). Deve dunque trattarsi di un mero contraccolpo, di una conseguenza solo riflessa e non voluta dall’agente. Resteranno invece integrati gli estremi della rapina, allorquando l’azione violenta vada a svolgersi direttamente sul detentore; questi risulterà così volontariamente aggredito sotto il profilo fisico e materiale dall’azione posta in essere dal colpevole (il quale potrebbe magari agire in tal modo, proprio con il fine di vincere la spontanea reazione della vittima). CasisticaIl Supremo Collegio ha ripetutamente precisato come non esista alcuna sovrapponibilità, fra il concetto di abitazione e quello di privata dimora rilevante ai fini che qui interessano. Ha infatti spiegato come quest'ultimo abbia una portata semantica ben più vasta, giungendo esso a ricomprendere ogni luogo non pubblico, all'interno del quale le persone stazionino — magari anche in modo discontinuo e occasionale — per il compimento di atti ordinari della vita privata (atti che possono essere della più eterogenea specie, quindi anche culturali, professionali, politici, assistenziali, sociali, ludici eccetera). Muovendo da tale consolidata impostazione teorica, la Corte ha ricondotto al concetto di privata dimora — così ritenendo configurabile la fattispecie delittuosa de qua — i seguenti luoghi: a) l'interno di un ristorante durante l'orario di chiusura (Cass. II, n. 24763/2015); b) un camper (casa mobile), stante la sua naturale destinazione all'uso abitativo (Cass. VII, n. 7204/2015; Cass. V, n. 38236/2016 ha però poi precisato come – affinché sussistano gli estremi del reato in commento – occorra che del camper resti materialmente acclarata la destinazione all'esercizio di attività tipicamente rientranti nello svolgimento della vita privata; attività che vadano quindi oltre, rispetto al semplice utilizzo del veicolo alla stregua di un mezzo di locomozione) c. un'edicola, trattandosi di un luogo nel quale si compiono — pur se in modo transitorio — atti della vita privata (Cass. V, n. 7293/2014); d. un cantiere edile, nel quale erano al momento in corso lavori e che era stato allestito all'interno del cortile di un edificio in ristrutturazione (Cass. V, n. 2768/2014); e. uno studio odontoiatrico (Cass. V, n. 10187/2011); f. la portineria di un condominio, trattandosi di un luogo destinato a privata dimora, peraltro costituente pertinenza rispetto sia all'unità immobiliare occupata dal portiere, sia, pro quota, rispetto agli altri appartamenti facenti parte del medesimo edificio (Cass. V, n. 28192/2008); g. un garage, in quanto questo è un locale legato da un rapporto di pertinenzialità ad un appartamento, dunque ad un luogo che per definizione è di privata dimora (Cass. II, n. 22937/2012); h . la baracca adibita a spogliatoio sita in un cantiere edile (Cass. V, n. 32093/2010); i . una sagrestia, in quanto luogo deputato allo svolgimento di attività complementari e correlate a quelle nelle quali strettamente si estrinseca il culto, oltre che pertinenziale non solo all'edificio nel quale si celebra lo stesso culto dei fedeli, ma anche alla casa canonica; la sagrestia è dunque definibile come privata dimora, sussistendo la possibilità per l'avente diritto di selezionare l'ingresso a terzi e non consentirlo a tutti in modo indifferenziato (Cass. IV, n. 40245/2008; nello stesso senso si è recentemente espressa Cass. IV, n. 13492/2020). Si è poi ulteriormente precisato come non sia riconducibile entro l'alveo previsionale del delitto de quo, la condotta consistente nell'impossessarsi di denaro riposto nella cassetta destinata alle elemosine, collocata non all'interno della sagrestia, bensì nella parte della chiesa che è destinata all'esercizio del culto dei fedeli. Tale ultima porzione della chiesa non può infatti essere considerata quale privata dimora — secondo l'accezione rilevante in relazione al modello legale in commento — in quanto essa è ovviamente accessibile ad opera di una moltitudine indifferenziata di soggetti e non è deputata allo svolgimento di atti genuinamente propri della vita privata delle persone (Cass. V, n. 23641/2016). l . un campo da tennis inserito in un complesso alberghiero, del quale il primo rappresenta una pertinenza, nel quale gli ospiti si trattengano per espletare un'attività privata di tipo ludico (Cass. V, n. 4569/2010; i Giudici di legittimità hanno però poi ritenuto non integrato il delitto in commento nella condotta consistente nell'impossessarsi di beni mobili previo ingresso nella segreteria di un circolo sportivo, essendo essa un luogo deputato ad attività – come ad esempio possono essere il versamento di quote sociali o l'adesione a iniziative ad opera degli iscritti - che non possono essere ricondotte a comportamenti attinenti allo svolgimento della vita privata (Cass. V, n. 11744/2020). m. la stanza di un b&b (Cass. V, n. 8043/2025); n. tutti i luoghi nei quali ci si porti per compiere — anche se in modo provvisorio ed eventuale — atti comunque rientranti nel normale svolgimento della vita privata; il riferimento è quindi agli studi professionali in genere, agli stabilimenti industriali, agli opifici della più variegata tipologia, oltre che agli esercizi commerciali o, come nella concreta fattispecie, ad un negozio di ferramenta (Cass. IV, n. 43671/2003). È però importante evidenziare come le Sezioni Unite della Suprema Corte abbiano ormai risolto la questione attinente alla configurabilità del delitto di cui all'art. 624-bis, allorquando il furto avvenga in esercizi commerciali, studi professionali o comunque in luoghi di lavoro, durante l'orario di chiusura al pubblico e in assenza di persone dedite ad una qualche attività o mansione all'interno di tali luoghi in detti orari. Il contrasto è stato infatti sottoposto al vaglio di Cass. S.U. n. 31345/2017, la quale ha ricondotto al concetto di privata dimora, rilevante ai fini della configurabilità del reato in esame, solo quei luoghi – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale - nei quali si svolgano in maniera non occasionale atti appartenenti alla vita privata e che non siano aperti al pubblico o accessibili a terzi, in mancanza del consenso del titolare (trattavasi nella specie di un furto perpetrato in un ristorante nell'orario di chiusura). Cass. V, n. 34478/2018 – nel ribadire come rientrino tra i luoghi rilevanti ex art. 624-bis quelli deputati all'espletamento non occasionale di atti facenti parte della vita privata, ivi compresi i siti destinati ad attività professionale o lavorativa – ha ritenuto correttamente ricompreso entro tale alveo previsionale uno studio legale, in presenza di furto ivi consumato nottetempo. In tale caso, infatti ricorrono tutti i requisiti postulati dalla norma, quali lo jus excludendi alios, la possibilità non indifferenziata e generalizzata di accesso da parte del pubblico e infine la costante presenza all'interno di persone (avendo il legale il diritto di accedere allo studio in ogni ora del giorno). Secondo Cass. IV (notizia di decisione), merita la definizione di luogo destinato a privata dimora anche la cabina di uno stabilimento balneare, utilizzata dalla vittima del delitto di furto per cambiarsi d’abito e lasciarvi in deposito abbigliamento ed effetti speciali. È noto come il concetto di privata dimora, penalisticamente rilevante, sia da sempre controverso in dottrina e giurisprudenza. Esso è stato a volte inteso in senso limitativo, ossia circoscritto “al luogo del quale si ha il godimento esclusivo e dal quale si ha quindi diritto di escludere chiunque altro”; altre volte è stata invece propugnata una accezione di più ampio respiro, riferita a qualsivoglia “luogo non pubblico, all'interno del quale le persone possono trattenersi anche in maniera transitoria e contingente, per svolgere atti della propria vita privata” (Perna, 1 ) Più nello specifico, con riferimento proprio ai connotati del concetto di privata dimora rilevanti in relazione al modello legale in commento, si è scritto quanto segue: “In definitiva, dalla ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte, emerge che la nozione di privata dimora, ai fini della configurabilità dell'art. 624 bis, è stata intesa in accezioni molto diverse tra loro: - per ammetterla , si è valorizzato il profilo della difesa della privacy, richiedendosi che il luogo sia utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata di chi lo occupa, purché vi sia continuità temporale del rapporto tra il luogo e le persone, nonché la effettiva presenza di queste ultime al momento della condotta illecita; - per escluderla , si è valorizzato il profilo della accessibilità ai luoghi di un numero indiscriminato di persone, nonostante l'utilizzabilità di tali luoghi anche per atti della vita privata, per cui non può ritenersi privata dimora il luogo che sia accessibile ad un numero indeterminato di persone; o quello della stabilità della presenza nei luoghi, per cui non può invocarsi la riservatezza in relazione a luoghi in cui ci si trovi solo occasionalmente e transitoriamente.” (Perna, 4 ). Secondo la Cassazione, inoltre, commette il fatto di cui all’art. 624-bis chiunque si introduca in un luogo semplicemente destinato ad un uso abitativo, indipendentemente dunque dall’effettivo utilizzo in tal senso dell’immobile stesso (Cass. II, n. 23402/2005; Cass. IV n. 27678/2022 ha inoltre ritenuto conforme alla accezione di privata dimora, rilevante ai fini della configurabilità del modello legale de quo, l’immobile che – sebbene risulti allo stato attuale non abitato – possa reputarsi non abbandonato ad opera dell’avente diritto, in quanto oggetto di un negozio di compravendita di poco tempo precedente rispetto al fatto e nel quale siano ancora allocati beni appartenenti al dante causa). L’impostazione oggi prevalente riconduce il concetto di privata dimora a tre differenti criteri: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata, in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo da parte di terzi senza il consenso del titolare. Quest’impostazione è stata seguita anche da Cass. V, n. 8346/2025, la quale ha sostenuto che si possa parlare di privata dimora anche con riguardo all’immobile che, seppure non abitato, sia, per caratteristiche intrinseche e destinazione, funzionalmente destinato allo svolgimento di atti della vita privata. Nel caso di specie si parlava di una struttura alberghiera in disuso in cui i sistemi di videosorveglianza erano ancora attivi e gli elettrodomestici funzionanti. Si segnala altresì come la Corte abbia affrontato il tema della ammissibilità del concorso fra i reati di furto in abitazione e di violazione di domicilio. Trattasi di statuizione assunta in via incidentale, in quanto il tema affrontato era invece inerente alla compatibilità tra la violazione di domicilio e l'aggravante di cui all'art. 628 comma 3 n. 3-bis). Ad ogni modo i Giudici di legittimità — con un obiter dictum — hanno stabilito come il furto commesso mediante introduzione in edificio destinato ad uso abitativo costituisca reato complesso, nella cui struttura convergono e vanno a unificarsi il furto e la violazione di domicilio nella forma consumata; violazione di domicilio che rappresenta il reato-mezzo, avvinto da un nesso di strumentalità rispetto all'altra condotta tipica. Si verifica però il fenomeno dell'assorbimento — secondo la forma del reato complesso — soltanto nel caso in cui l'agente si introduca o si trattenga nell'altrui residenza al solo fine specifico di rubare; è invece ipotizzabile il concorso di reati, allorquando il soggetto attivo entri in casa contro l'espressa volontà di chi aveva il diritto di escluderlo, ma lo faccia per fini diversi da quello di commettere un furto e si trattenga poi in tale luogo, allo scopo di sottrarre determinate cose (Cass. II, n. 40382/2014). Non sarà infine ravvisabile la fattispecie in esame allorquando ricorra — tra l'impossessamento e l'ingresso in casa — una relazione di mera occasionalità, rappresentata dalla semplice presentazione di una situazione propizia; sarà in tal caso configurabile il reato di furto aggravato dalla relazione di ospitalità, ai sensi dell'art. 61 comma 1, n. 11) (Cass. V, n. 21293/2014). Corte Cost. n. 117/2021 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale che era stata posta dal Tribunale di Lecce, per presunto contrasto della norma in commento con gli artt. 3 e 27 Cost. Secondo i Giudici delle leggi, l'A.G. rimettente – nel censurare l'eccessivo rigore della norma quanto al minimo edittale di pena – ha omesso di specificare le ulteriori previsioni sanzionatorie presenti nell'ordinamento e in grado di fungere da tertia comparationis. Il Tribunale si è quindi limitato a denunciare l'entità troppo alta di tale minimo di pena, senza però indicare una quantità esistente e relativa ad altre fattispecie incriminatrici di fatti contro il patrimonio, ricollegabile in qualche modo alla fattispecie censurata e atta a dimostrarne l'eccessivo rigore sanzionatorio. Il tutto si risolve quindi in una richiesta alla Corte di operare un intervento di carattere non correttivo, bensì sostitutivo rispetto a una scelta legislativa. Con riferimento al furto con strappo, si segnalano invece i seguenti arresti giurisprudenziali: n. è punibile a titolo di concorso ordinario il soggetto che aderisca alla commissione del delitto di furto con strappo — offrendosi di svolgere la funzione di palo, ossia attendendo gli esecutori materiali in automobile pronto a garantirne la fuga — nel caso in cui venga da questi ultimi invece concretizzata una rapina. L'adozione di una attività violenta sulla persona rappresenta infatti — nello snodarsi dinamico dell'iter criminis — uno sviluppo prevedibile dell'azione originariamente voluta, rappresentata dalla violenza sulla cosa. Non è quindi configurabile la fattispecie del concorso anomalo ex art. 116 , bensì l'ordinario concorso di persone nel reato ai sensi dell'art. 110 (Cass. II, n. 48330/2015); o. resta integrato il delitto di furto con strappo, nel caso in cui l'attività violenta sia indirizzata in via immediata sulla res, riverberando i suoi effetti in via solo indiretta sulla persona del detentore. È al contrario configurabile il reato di rapina, allorquando la cosa sia posizionata in maniera notevolmente connessa, ossia unita al corpo di chi la detiene e il soggetto agente estenda l'azione violenta direttamente alla persona, avendo la necessità di vincerne una effettiva reazione. La resistenza opposta dalla vittima, peraltro, è cosa diversa rispetto a quella reazione minima, che è connaturata alla stretta relazione fisica esistente fra il detentore e la cosa (Cass. II, n. 41464/2010). La Corte ha poi anche precisato come lo strappo — previsto quale attività esecutiva tipica dal dettato normativo in esame — si sostanzia in una azione che è inevitabilmente caratterizzata da una certa forma di violenza, sebbene esercitata sulla cosa e non sulla persona. È dunque proprio la direzione dell'azione violenta ciò che costituisce il criterio discretivo fra la figura delittuosa in argomento e la rapina (Cass. V, n. 44976/2016). p. la Corte ha precisato come la circostanza aggravante della destrezza si connoti per la particolare fulmineità della condotta dell'impossessamento di cosa mobile altrui; lo strappo al quale si riferisce invece la norma in commento è caratterizzato da un certo contenuto di violenza — seppur espletata sulla cosa e non sulla persona — che sia immediatamente rivolta allo spossessamento. I Giudici di legittimità hanno pertanto riqualificato in termini di furto aggravato dalla destrezza l'azione — in principio ascritta quale furto con strappo — di alcuni soggetti che, una volta accostatisi alla vittima e dopo averla distratta, facendole venir meno l'equilibrio mediante uno sgambetto, le avevano sottratto il telefono, sfilandoglielo via dalla tasca posteriore dei pantaloni (Cass. V, n. 44976/2016). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio; è prevista la citazione diretta a giudizio. Le modifiche introdotte dalla c.d. “Riforma Cartabia” in tema di procedibilità a querela in riferimento al reato di furto riguardano espressamente il solo reato di cui all’art. 624 c.p., come aggravato ex art. 625 c.p. (con le specificazioni all’uopo previste), e non anche i furti previsti dall’art. 624-bis c.p., che, come premesso nel § 1, costituisce reato autonomo. Per esso: a) è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'art. 61 comma 1 n. 4; il fermo è consentito solo nell'ipotesi indicata dal comma 3; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. Molto dibattuta è stata la questione delle modalità attraverso le quali si debba instaurare il giudizio ordinario, in relazione al modello legale in commento. La giurisprudenza della Suprema Corte è in verità stata sempre graniticamente orientata nel ritenere che tale instaurazione debba avvenire per il tramite della citazione diretta. Si è infatti sempre considerato che l'omesso inserimento dell'art. 624 bis nella elencazione di quelle fattispecie di reato, in relazione alle quali è prevista ex art. 550 c.p.p. la citazione diretta a giudizio, fosse niente altro che il frutto di un difetto di adeguamento normativo. Un mancato coordinamento che risulta però agevolmente emendabile in via interpretativa, valorizzando come l'art. 625 – punito con la medesima pena edittale massima di anni sei - sia invece ricompreso nell'elenco suddetto. Non mancano anzi pronunce che ritengono addirittura abnorme il provvedimento in forza del quale il Giudice del dibattimento decida per la restituzione degli atti al P.M., affinché questi proceda mediante la richiesta di rinvio a giudizio. Secondo Cass. V, n. 22256/2011, il fatto che il giudizio relativo all'art. 624 bis venga promosso ricorrendo alla citazione diretta, non provoca nullità di sorta o comunque alcuna patologia invalidante il rapporto processuale. L'omesso inserimento di tale paradigma normativo nell'elencazione di cui all'art. 550 c.p.p. deve infatti ricollegarsi semplicemente alla sua introduzione nel sistema in epoca posteriore, rispetto all'entrata in vigore del codice; deve quindi imputarsi ad un mero difetto di adeguamento normativo. A tale mancato coordinamento tra norme può porsi rimedio in via interpretativa, tenendo presente il fatto che il delitto di furto aggravato ex art. 625 è espressamente inserito nell'elenco sopra detto [art. 550, comma II, lett. f) c.p.p.] ed è punito con la medesima pena detentiva massima del furto di cui all'art. 624 bis (esattamente negli stessi termini si erano del resto espresse Cass. VI, n. 29815/2012 e, recentemente, anche Cass. V, n. 3807/2017). I Giudici di legittimità hanno poi ritenuto abnorme il provvedimento emesso dal giudice del dibattimento, il quale disponga la restituzione degli atti al P.M. per avere questi promosso l'azione penale – in relazione alla fattispecie ex art. 624 bis - ricorrendo alla citazione diretta a giudizio e dunque senza la celebrazione dell'udienza preliminare. La Corte ha qui ritenuto che tale decisione fosse produttiva di una stasi irreversibile del processo. Ciò in quanto risultava impossibile la ripetizione del decreto di citazione diretta, trattandosi di atto già annullato, ma al contempo impraticabile il ricorso alla richiesta di rinvio a giudizio, che sarebbe stato un atto non corretto in ordine allo specifico titolo di reato (il principio si trova sia in Cass. IV, n. 53382/2016, sia in Cass. V, n. 46489/2015; ricordiamo che secondo Cass. V, n. 47635/2014, invece, non è abnorme il suddetto provvedimento di restituzione degli atti al P.M., trattandosi di provvedimento né estraneo al sistema normativo (perché espressivo di un potere espressamente riservato al giudice dall'ordinamento), né produttivo di una stasi irreversibile del procedimento (avendo il P.M. la possibilità esercitare nuovamente l'azione penale nei modi indicatigli). Ulteriori applicazioni processuali L'art. 36 l. n. 104/1992, come sostituito dall'art. 3 l. n. 94/2009 prevede che — quando uno dei delitti non colposi previsti dai Titoli XII e XIII del Libro secondo del codice, oltre che i reati di cui alla l. n. 75/1958 — vengano perpetrati in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, la pena sia aumentata da un terzo alla metà. Nel relativo processo, inoltre, è ammessa la costituzione di parte civile da parte sia del difensore civico, sia dell'associazione alla quale risulti iscritta la vittima del reato, ovvero una persona che sia familiare di questa. L'art. 649 prevede i casi di non punibilità e di procedibilità a querela, in relazione ai fatti previsti dal Titolo XIII del codice. La Consulta, con sentenza del 6 aprile 2016, depositata in data 1 giugno 2016 (si tratta di Corte cost. n. 125/2016), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p., come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. n. 125/2008, nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo. Segnaliamo anzitutto che la questione è stata posta solo con riferimento al furto con strappo e non anche in relazione al furto in abitazione. Essa si fonda inoltre sull’asserita violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità ex art. 3 Cost., dal momento che un divieto analogo a quello previsto per il furto con strappo non è invece posto in relazione al delitto di rapina semplice (delitto, quest’ultimo, che nella sua forma non aggravata, è peraltro escluso anche dell’elenco dei reati di cui all’art. 4 bis l. n. 354/1975, in ordine ai quali non può esser disposta la sospensione dell’esecuzione). La Consulta, in motivazione, ha ricordato come il furto con strappo e la rapina siano spesso legati tra loro da una consequenzialità logica e fattuale, tanto da giungere a costituire una progressione criminosa; non è infatti raro che il furto trasmodi nel reato di rapina propria o impropria, stante la necessità per il reo di elidere la resistenza della vittima durante o dopo l’impossessamento della res. Pare dunque incongrua la previsione normativa che – pur prevedendo per il reato di rapina una pena ben più severa rispetto a quella prevista per il furto – riconosca poi al protagonista del fatto più grave un trattamento più favorevole nella fase esecutiva della pena. Si è in presenza, in definitiva, di una ingiustificata disparità di trattamento. Le caratteristiche ontologiche dei due modelli legali e la stessa previsione sanzionatoria conducono infatti inevitabilmente a riconnettere una maggiore pericolosità a chi si renda autore del reato di rapina, rispetto a chi invece commetta un furto con strappo. Considerazione che ha dunque condotto la Consulta a dichiarare la sopra detta illegittimità dell’art. 656 c.p.p., nella parte in cui esclude dalla possibilità di fruire della sospensione dell’esecuzione i condannati per il delitto di furto con strappo. BibliografiaCaringella, De Palma, Farini, Trinci, Manuale di diritto penale - Parte speciale, VI, 2016, Leoncini, voce Patrimonio (delitti contro il), IX, in Enc. dir., X, Milano, 2007; Farini, Trinci, Diritto penale - Parte speciale, Roma, 2015; Marini, LA Monica, Mazza, Commentario al Codice penale, Torino, 2002; Perna, La nozione di privata dimora nella giurisprudenza di legittimità, in ilpenalista.it, 26 gennaio 2017. |