Codice Penale art. 734 - Distruzione o deturpamento di bellezze naturali.

Roberto Carrelli Palombi di Montrone

Distruzione o deturpamento di bellezze naturali.

[I]. Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'Autorità, è punito con l'ammenda da 1.032 euro a 6.197 euro (1).

(1) Per i successivi aggiornamenti dell'ammenda originaria, che era da lire cinquecento a tremila, v. sub art. 733.

Inquadramento

L'art. 734 è volto a tutelare l'interesse alla salvaguardia delle bellezze naturali, fonte di godimento spirituale, di vantaggi economici e di motivi artistici, soggette alla speciale protezione dell'autorità, quale patrimonio storico ed artistico della Nazione in base all'art. 9 Cost. (Vigna-Bellagamba, 358). Si tratta di una norma penale in bianco che presuppone l'esistenza di un atto amministrativo che dichiari soggette a vincolo protettivo quelle località che, per la loro particolare bellezza, sono dichiarate di notevole interesse pubblico.

La giurisprudenza è andata di contrario avviso affermando che in tema di protezione delle bellezze naturali, il reato di cui all'art. 734 non è norma penale in bianco, essendo il disvalore focalizzato sull'evento causato dalla condotta dell'agente, e non anche sulla violazione di un precetto individuabile altrove; ne deriva che il riferimento alla "speciale protezione dell'autorità", contenuto nel predetto articolo, ha solo la funzione di delimitare l'oggetto dell'azione, nel senso che il reato è configurabile solo in relazione ai luoghi individuati da un qualsiasi provvedimento, legislativo o amministrativo, come meritevoli di una tutela particolare e specifica (Cass. III, n. 31282/2017).

Oggetto della tutela sono i luoghi e gli immobili indicati nell'art. 139 d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, testo che individua anche l'iter previsto per l'apposizione del vincolo: si tratta delle cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o singolarità geologica; delle ville, dei giardini e dei parchi che abbiano un interesse artistico o storico; dei complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; delle bellezze panoramiche considerate come quadri naturali, dei punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.

Soggetto attivo

Può essere soggetto attivo del reato qualsiasi persona che distrugga o alteri le bellezze naturali dei luoghi sottoposti alla speciale protezione dell'autorità; non si tratta solo dei proprietari, ma anche dei possessori, dei detentori o di altri soggetti ai quali la legge abbia affidato il compitato di preservare dalla distruzione l'immobile vincolato o di introdurvi modifiche che rechino pregiudizio all'aspetto esteriore di esso.

Elemento materiale

Generalmente si ritiene che il reato sia integrato quando le bellezze naturali siano eliminate o diminuite, indipendentemente dall'alterazione o distruzione materiale del luogo, anche quando il luogo non sia più suscettibile di prestarsi alla visione perché occultato, anche solo parzialmente, dalla predisposizione di ostacoli o barriere (Albamonte). In questa direzione si è ritenuto che, ai fini dell'integrazione del reato, non occorre la materiale ed irreparabile distruzione in senso fisico delle componenti strutturali, naturali e culturali, del paesaggio, ma è sufficiente una alterazione, che ne comporti il deturpamento, anche se realizzata senza costruzioni, demolizioni, distruzione di vegetazione, sbancamenti, ecc. bensì con l'aggiunta di elementi che rompano l'equilibrio delle varie componenti, come accade nel caso delle apposizioni di cartelli pubblicitari, di antenne paraboliche od altro. Infatti, ha precisato la Cassazione che l'alterazione delle bellezze naturali può avvenire «in qualsiasi altro modo», sicché le condotte elencate nell'art. 734 sono soltanto le più frequenti (costruzioni o demolizioni), ma non le uniche.

Il reato in esame tutela l'interesse della comunità alla conservazione ed al godimento del patrimonio estetico costituito dall'armonica fusione di forme e di colori assunta dalla natura in particolari località, con la conseguenza che per integrare l'alterazione delle bellezze naturali dei luoghi è sufficiente la modifica totale o parziale delle visioni panoramiche ed estetiche offerte dalla natura tanto da turbare sensibilmente il giudizio estetico (Cass. III, n. 29508/2019).

In sostanza occorre che il fatto previsto nella norma incriminatrice abbia provocato una diminuzione del godimento estetico che il luogo offriva (Albamonte).

Così si è precisato con riferimento alla realizzazione di opere edilizie, che, per la realizzazione de reato di cui all'art. 734 non è necessaria l'irreparabile distruzione o alterazione della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico, essendo sufficiente che, a causa delle nuove opere edilizie, siano in qualsiasi modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla natura (Cass. III, n. 10030/2015).

Si tratta, quindi, di un reato a condotta libera che può essere realizzato attraverso qualsiasi condotta che sia in grado di integrare la distruzione o deturpamento delle bellezze naturali, essendo le condotte indicate nell'art. 734 soltanto le più frequenti in grado di determinare l'evento del reato. In tale direzione si è ritenuto che debba rispondere del reato di cui all'art. 734 il sindaco che non abbia prevenuto l'abbandono di rifiuti lungo l'alveo di confine o non abbia sanzionato tali comportamenti imponendo lo sgombero o non abbia provveduto d'ufficio alla loro rimozione (Cass. III, n. 9233/1995). La condotta di deturpamento, poi, può anche essere successiva ad altri fatti nel senso che l'alterazione del luogo protetto ascritta all'imputato non abbia carattere primario; in una tale fattispecie si è ritenuto, però, che il giudice debba motivare adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito (Cass. III, n. 46992/2004). In tale direzione in precedenza di erano espresse le sezioni unite della Corte di Cassazione, affermando, appunto, che, per la sussistenza del reato di cui all'art. 734 non è necessario che l'alterazione del luogo protetto abbia carattere primario, potendo anche l'opera abusiva seguire altre e così concorrere ad alterare la conformazione originaria del paesaggio (Cass. S.U. , n. 72/1993).

L'accertamento concreto della compromissione delle bellezze naturali protette è rimesso alla concreta valutazione del giudice penale e prescinde sia dallo stato in cui si trovano i lavori, sia dalla valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione (Cass. III, n. 44012/2015). Trattasi di un giudizio insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato (Cass. III, n. 11773/1998).

Elemento soggettivo

Ai fini dell'integrazione del reato, da un punto di vista psicologico, è irrilevante che l'attività di distruzione o deturpamento sia stata per lungo tempo tollerata dal comune e che non siano stati apposti cartelli indicativi dell'esistenza del vincolo. In tale direzione la Cassazione ha affermato che il vincolo panoramico imposto su una zona ai sensi della l. 29 giugno 1939, n 1497 comporta per i proprietari, possessori o detentori degli immobili in essa compresi il dovere giuridico, sanzionato dall'art 734 di non effettuarvi lavori e introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio al loro aspetto esteriore, essendo l'esecuzione di qualsiasi opera condizionata al rilascio di espressa autorizzazione da parte della sovraintendenza. Tale obbligo, che costituisce un limite al diritto di proprietà e più precisamente all'jus aedificandi et modificandi il cui esercizio e subordinato al benestare dell'autorità amministrativa preposta alla tutela delle bellezze naturali, discende direttamente dalla legge; onde a nulla rileva che, ad esempio, l'Esercizio di una cava sia stato per lungo tempo tollerato dal comune o che quest'ultimo abbia omesso di apporre cartelli indicativi della sussistenza del vincolo panoramico (Cass. VI, n. 6476/1975).

Sempre in tema di elemento soggettivo del reato si è ritenuto che l'attività del soggetto che astrattamente possa porsi in violazione dell'art. 734, ma in concreto risulti debitamente autorizzata dalla competente autorità amministrativa, non integra gli estremi della contravvenzione di cui all'art. 734, non soltanto per difetto dell'elemento psicologico, bensì anche di quello materiale del reato (Cass. II, n. 8974/1988). Quindi l'esistenza di un'autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della contravvenzione in esame, ma può assumere rilevanza nell'ambito della valutazione dell'elemento psicologico del reato o ai fini della valutazione della gravità dello stesso, dovendo il giudice comunque valutare se sia verificato l'evento del reato rappresentato dalla distruzione o il deturpamento della bellezza naturale protetta. In tale direzione la Cassazione ha affermato che, in materia di tutela del patrimonio paesistico e ambientale in presenza di un provvedimento dell'autorità amministrativa cui compete la gestione del vincolo posto a protezione del bene, le opere autorizzate non possono integrare il reato di cui all'art. 734 perché l'autorizzazione amministrativa costituisce un modo di gestione del vincolo sul luogo protetto, secondo regole alle quali la norma penale effettua rinvio. Si è ritenuto però che il giudice penale non debba limitarsi a prendere atto dell'esistenza di un'autorizzazione, essendo suo compito verificare, a fronte di una compromissione del paesaggio e dell'ambiente derivante da opere autorizzate dalla pubblica amministrazione, l'effettiva esecuzione delle opere nei limiti in cui è stato autorizzato l'impatto territoriale nonché la liceità e legittimità (ma non l'opportunità) dei relativi atti amministrativi in quanto l'illegittimità di tali atti potrebbe essa stessa costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa (Cass. III, n. 3125/1996). Ed inoltre la legittimità di un atto amministrativo, già accertata dal giudice amministrativo, è sindacabile dal giudice penale, a fronte di una compromissione del paesaggio e dell'ambiente, sì come è sindacabile, fatta eccezione del profilo della opportunità, la corrispondenza degli interventi eseguiti all'atto medesimo, in quanto l'eventuale illegittimità può essa stessa costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa (Cass. III, n. 42065/2011).

Consumazione

La giurisprudenza ha ritenuto che la contravvenzione prevista dall'art. 734 si configura come un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette. Pertanto non è sufficiente per integrare gli estremi del reato né l'esecuzione di un'opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali (Cass . S.U. , n. 248/1992). Segnatamente si tratta di un reato a forma libera, di evento, istantaneo con effetti permanenti, che viene a consumazione quando si verifica, in concreto, la distruzione o alterazione della bellezza protetta. La Cassazione ha, in proposito, affermato che il reato di cui all'art. 734, nell'ipotesi di alterazione delle bellezze naturali, ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti, consumandosi ed esaurendosi con la costruzione lesiva delle bellezze naturali protette, sicché, agli effetti della prescrizione, il decorso del termine ha inizio dal momento in cui il reato si è realizzato con il compimento dell'opera ovvero con l'attuazione dei mezzi che hanno determinato il deturpamento (Cass. III, n. 36605/2017 ; conf.Cass. III, n. 29508/2019). Nell'ultima decisione ora citata si trattava della fattispecie relativa al naufragio della nave Costa Corcordia e si è ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dall'impatto della nave sugli scogli e dal conseguente naufragio; si è ritenuto, quindi, trattarsi di un reato istantaneo insuscettibile di permanenza, in quanto la condotta si era integralmente esaurita e nulla poteva esigersi dall'imputato per fare cessare la lesione del bene dopo l'impatto.

Un'isolata affermazione della Cassazione ha ritenuto, invece, che la contravvenzione di deturpamento o alterazione di bellezze naturali (nella specie sistemazione di un cartellone pubblicitario stradale) ha natura di reato permanente, poiché la condotta non si esaurisce con la sistemazione dell'ostacolo alle bellezze naturali, ma perdura fino alla sua rimozione (Cass. III, n. 6200/1993). Ma in senso parzialmente contrario si è affermato che la distruzione o l'alterazione del paesaggio si verifica, nell'ipotesi di costruzione o demolizione, all'epoca della ultimazione delle due attività. A ciò consegue che in quel momento il danno è ormai intervenuto e la successiva protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo. Il reato, quindi, secondo la giurisprudenza prevalente, ha carattere di permanenza, che termina con la cessazione dei lavori (Cass. II, n. 9229/1994). Il principio è stato recentemente riaffermato nel senso che Il reato di distruzione o alterazione delle bellezze naturali, previsto dall'art. 734, ha natura permanente, ma la permanenza cessa, nell'ipotesi di costruzione o demolizione abusiva in luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, all'epoca di ultimazione dell'attività edilizia o del sequestro che la inibisce (Cass. III, n. 21977/2016).

Deve poi evidenziarsi che la mancata richiesta dell'autorizzazione all'autorità competente ovvero l'inosservanza degli ordini e delle norme di esecuzione dei lavori espongono il trasgressore alle sanzioni ed ai provvedimenti di cui all'art. 15 l. 29 giugno 1939 n. 1497, ma fanno scattare la sanzione comminata dall'art. 734, solo quando si sia effettivamente arrecato pregiudizio alle bellezze delle località protette; quindi, secondo la Cassazione, il contenuto della autorizzazione potrà avere rilevanza ai fini dell'accertamento del reato o dell'indagine sull'elemento psicologico (Cass. II, n. 2854/1983).

Rapporti con altri reati

Si è ritenuto che il reato, formale e di pericolo, previsto dall'art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, che, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, sanziona la violazione del divieto di intervento in determinate zone vincolate senza la preventiva autorizzazione amministrativa, può concorrere con la contravvenzione punita dall'art. 734, la quale, invece, presuppone l'effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione (Cass. III, n. 37472/2014 ; conf. Cass. III, n. 8499/2020).

Casistica

Sbancamento di un ettaro di terreno

Lo sbancamento di una superficie di oltre un ettaro di terreno sottoposto a vincolo paesaggistico integra il reato di deturpamento di bellezze naturali (Cass. II, n. 5033/1981).

Motivi di particolare valore morale o sociale in relazione ai lavori appaltati da un Ministero ed eseguiti in violazione

Si è escluso che possa configurarsi l'attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale nell'ipotesi di lavori eseguiti per conto della pubblica amministrazione in virtù della posizione che rivestiva l'appaltatore. Ha precisato, al riguardo, la Cassazione che l'attenuante in questione può essere riconosciuta non per una qualsiasi ragione socialmente o moralmente apprezzabile in genere, ma solo quando l'imputato sia stato mosso da motivi di speciale rilevanza etico sociale, come tali riconosciuti dalla collettività (Cass. III, n. 7275/1994).

Associazioni ambientaliste. Legittimazione processuale

Il danno ambientale non consiste solo in una «compromissione dell'ambiente» in violazione delle leggi ambientali, ma anche contestualmente in una «offesa della persona umana nella sua dimensione individuale e sociale». Pertanto, proprio perché nel danno ambientale è inscindibile l'offesa ai valori naturali e culturali e la contestuale lesione dei valori umani e sociali di ogni persona la legittimazione processuale non spetta solo ai soggetti pubblici, come Stato, Regione, Province, Comuni, Enti autonomi Parchi Nazionali ecc. (in nome dell'ambiente come interesse pubblico) ma anche alla persona singola od associata (in nome dell'ambiente come diritto soggettivo fondamentale di ogni uomo): le Associazioni di protezione dell'ambiente, ivi comprese quelle a carattere locale non riconosciute ex art. 13 l. 8 luglio 1986, n. 349, possono intervenire nel processo e costituirsi parti civili, in quanto abbiano dato prova di continuità della loro azione, aderenza al territorio, rilevanza del loro contributo, ma soprattutto perché formazioni sociali nelle quali si svolge dinamicamente la personalità di ogni uomo, titolare del diritto umano all'ambiente (Cass. III, n. 9837/1996).

Condono edilizio

In tema di cosiddetto condono edilizio, la contravvenzione di cui all'art. 734 è estinta per il pagamento dell'oblazione, seguito dal rilascio della concessione e dell'autorizzazione paesaggistica. La natura di reato di danno non è di ostacolo, poiché l'ampia formula utilizzata dal comma ottavo dell'art. 39 l. n. 724/1994 — secondo cui occorre un'espressa autorizzazione in sanatoria, differente dal semplice parere di cui all'art. 32 l. n. 47/1985 e successive modifiche ed integrazioni — rende possibile l'inclusione della violazione «de qua», tra quelle estinguibili (Cass. III, n. 2420/1997).

Profili processuali

Il reato è procedibile d'ufficio.

È ammessa l'oblazione ai sensi dell'art. 162

Bibliografia

Albamonte, In tema di tutela delle bellezze naturali, in Riv. pen. 1976, 609; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 1981; Ramacci, Il reato di danneggiamento del patrimonio storico ed artistico nazionale, in Nuovo dir. 1995, 730; Vigna-Bellagamba, Le contravvenzioni nel codice penale, Milano, 1974; Zannotti, L'art. 733 e la tutela del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, in Cass. pen. 1997, 1345.

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