Codice Civile art. 45 - Domicilio dei coniugi, del minore e dell'interdetto (1).Domicilio dei coniugi, del minore e dell'interdetto (1). [I]. Ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi. [II]. Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore. Se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive. [III]. L'interdetto ha il domicilio del tutore. (1) Articolo così sostituito dall'art. 1 l. 19 maggio 1975, n. 151. InquadramentoL'art. 45 disciplina il domicilio dei coniugi, della persona minore di età e della persona interdetta, riferendosi, con il concetto di “domicilio”, al luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi (art. 43, comma 1). Quanto alle persone minori di età e agli interdetti, il codice istituisce un domicilio legale ossia un luogo fissato direttamente dalla legge. In realtà, nella sua versione originaria, l'art. 45 aveva proprio la finalità di individuare i “domicili legali” poiché, prima della l. n. 151/1975, anche il domicilio coniugale, quanto alla moglie, era un domicilio legale. La riforma del 1975 ha rimosso quest'ultimo domicilio ex lege e dunque oggi il contenuto dell''art. 45 è eterogeneo. Domicilio dei coniugiL'art. 45 comma 1, prima della riscrittura ad opera della l. n. 151/1975, prevedeva che la moglie non legalmente separata avesse il domicilio del marito. Il legislatore aveva dato rilevanza al domicilio coniugale ai fini del rafforzamento dell'unità familiare, stabilendo che tale centro dovesse essere comune al marito e alla moglie fintanto che perdurasse la loro convivenza: aveva, dunque, istituito una forma di domicilio legale per la moglie. La Corte Costituzionale, con la sentenza Corte cost. n. 171/1976 aveva però dichiarato l'illegittimità costituzionale di questa norma, nella parte cui manteneva efficacia anche in caso di separazione “di fatto” dei coniugi, atteso che, in questa ipotesi veniva meno la ragione giustificatrice della disposizione, ossia la tutela dell'unità familiare. Con la l. n. 151/1975, il legislatore ha, però, cambiato la sua valutazione, adeguandosi al mutamento della situazione e della coscienza sociale, ribadendo per i coniugi il principio valido per ogni soggetto per cui ciascuno ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o dei propri interessi. Le sopravvenienze incidenti sui rapporti coniugali (separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, etc.) non determinano, automaticamente, un mutamento del domicilio dei coniugi: infatti, assieme alla separazione o al divorzio o all'annullamento di un matrimonio, non si realizza anche un cambio di domicilio ove non vi sia un effetto trasferimento del centro relazionale della persona; e ciò è ben possibile quante volte, nonostante i fatti giuridici de quibus, il coniuge comunque mantenga la sede principale dei suoi interessi nel precedente domicilio (Sesta, 268). Ai sensi dell'art. 21 d.P.R. n. 223/1989, come modificato dal d.P.R. n. 126/2015, la residenza anagrafica dei coniugi risulta dalla cd. “scheda di famiglia” nella quale devono essere indicate le posizioni anagrafiche relative alla famiglia ed alle persone che la costituiscono (per le convivenze, v. art. 22). Domicilio del minoreL''art. 45 istituisce, in favore del minore, un domicilio legale, stabilendo che la sede principale degli interessi del fanciullo coincida con la residenza della famiglia o, in caso di minore sotto tutela, del tutore. Il concetto di “residenza della famiglia” richiama, da un lato, la nozione di “residenza”, di cui all'art. 43 e, quindi, un luogo di dimora, una “casa familiare”; dall'altro la nozione di “famiglia” e, quindi, una entità che “somma” le figure parentali e può anche prescindere, allora, dalla singola residenza o dal singolo domicilio dell'uno e dell'altro genitore. “Residenza della famiglia” è, pertanto, il luogo inteso come abitazione, in cui i genitori hanno fissato la sede principale della loro vita familiare ossia la casa destinata alle esigenze di crescita, educazione, istruzione del fanciullo. Questo rilievo “oggettivizza” la nozione di residenza familiare e ciò è necessario ove si rilevi che, secondo gli ultimi dati statistici ufficiali (fonte: Istat, 2013-2014), il “pendolarismo della famiglia”, cioè «le persone che vivono per motivi vari e con una certa regolarità in luoghi diversi dall'abitazione abituale» così spesso «mantenendo residenze in luoghi diversi» è ormai dato sociale largamente diffuso. In altri termini, non vi è più coincidenza tra “convivenza” (intesa come “stare insieme”, nel senso in cui ciò accade per i coniugi o i genitori) e “coabitazione” (intesa come contestuale permanenza nella stessa casa). La residenza della famiglia, insomma, non è necessariamente equivalente alla residenza della persona fisica dei coniugi-genitori. In linea di principio la residenza della famiglia è nella casa coniugale (Cass. n. 6012/2001). La nozione sostanziale di “residenza del minore”, di cui all'art. 45 può coincidere (e in genere coincide) con quella a rilevanza processuale, di riferimento per le azioni concernenti i minori di età (es. azioni ex artt. 316, 333, 337-bis e ss. c.c.). Ai fini processuali (ad es., per determinare la competenza territoriale) si discorre di “residenza abituale” del minore, da identificarsi in quello in cui costui ha consolidato una rete di affetti e relazioni, tali da assicurare un armonico sviluppo psicofisico (Cass. n. 21285/2015). Nel lessico internazionale, la nozione di «residenza abituale» corrisponde al luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione (Cass. n. 22507/2006). Se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive. È ben possibile che il minore conviva con entrambi (ad es., in caso di affidamento condiviso ex art. 337-ter) seppur in diversi periodi. In questo caso, si discorre di «collocamento prevalente», inteso come maggiore quantità di tempo che il figlio trascorre con uno piuttosto che con l'altro genitore: è il collocamento prevalente, in questa ipotesi, a determinare la residenza del minore (anche anagrafica). Alcune pronunce di giurisprudenza, in caso di affidamento condiviso, hanno affermato la necessità della “doppia residenza anagrafica" (v. Trib. Firenze, 9 aprile 2012) ma l'opinione non convince e anzi sembra non distinguere opportunamente la nozione di domicilio, da quella di residenza da quella di iscrizione anagrafica. Dal punto di vista dell'anagrafe, è chi esercita la responsabilità genitoriale a dover curare l'iscrizione anagrafica (art. 2 l. n. 1228/1954): nel caso in cui la richiesta pervenga da un solo genitore, l'ufficiale deve darne notizia all'altro, quale controinteressato ex l. n. 241/1990. Domicilio dell'interdettoUna tradizione risalente (v. art. 18 del Codice civile del 1865 e art. 108 del Code Napoléon) fissa il domicilio dell'interdetto presso quello del tutore (Sesta, 271). Questa tradizione è conservata dall'art. 45. BibliografiaCian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |